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GIOIA (LA) - uno spettacolo di Pippo Delbono

Pippo Delbono in "La Gioia" Pippo Delbono in "La Gioia"

uno spettacolo di Pippo Delbono,
composizioni floreali Thierry Boutemy,
musiche Pippo Delbono, Antoine Bataille, Nicola Toscano e autori vari,
luci Orlando Bolognesi,
suono Pietro Tirella,
costumi Elena Giampaoli,
Compagnia Pippo Delbono,
con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono,
Ilaria Distante,  Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia,
Gianni Parenti, Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella e con la voce di Bobò,

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione,
coproduzione Théâtre de Liège, Le Manège Maubeuge – Scène Nationale,
Teatro Strehler, Milano, 5 maggio 2019

www.Sipario.it, 13 giugno 2019

La gioia non è una condizione, ma una ricerca, per Pippo Delbono la gioia è lo stordimento che si raggiunge in seguito all'assenza, è la possibilità di sconfiggere il dolore, si potrebbe dire che la gioia è assenza di dolore, che la gioia è la morte. Ne La gioia Pippo Delbono costruisce il suo canto di dolore, porta in scena il faccia a faccia con la morte, quella di Bobò, l'attore microcefalo liberato dal manicomio di Aversa, resuscitato al teatro e recentemente scomparso. Pippo Delbono racconta il suo dolore, l'assenza di Bobò e le storie dei suoi attori, della sua compagnia/famiglia in cui marginalità, dolore e un insistente procedere sul liminare dell'abisso accompagnano ogni creazione dell'artista, ogni suo poetico racconto fatto di immagini, musiche che straziano il cuore, di una verità dello stare che non può che commuovere fino alle lacrime. Tutto questo è La gioia.
La gioia è quella panchina di Barboni che è spazio vuoto, quella panchina che Delbono ha condiviso col suo Bobò, di cui ripropone il canto stridulo, evocando il piccolo uomo a cui l'attore e la compagnia regalavano di tanto in tanto un compleanno. Si assiste a La gioia col cuore in gola, in attesa dei rapimenti e degli sconvolgimenti iconici e sonori di cui è capace il teatro di Delbono e ci si ritrova, invece, a far i conti con un rito languido, malinconico, intimo. Quella panchina diventa allora la tomba di Bobò intorno e sopra la quale vengono composti fiori, una cascata di fiori coloratissimi. Non ci vuole molto a capire che in quell'addobbo floreale non c'è rinascita, non c'è primavera, ma c'è il colorato addio a Bobò, il guardare in faccia la morte nella speranza che la gioia sia lì, oltre quella cascata floreale, oltre quel corpo che imputridisce, sia oltre la morte.
La panchina di Bobò è relitto della memoria e della vita, è segno teatrale – segno dell'attesa di un Godot che non arriva – intorno a cui Pepe Robledo depone in fila una serie di barchette, facendo della scena un mare, così come subito dopo quello spazio è destinato a riempirsi di abiti colorati, resti di corpi, della strage di uomini nel nostro Mediterraneo. Ricomposti quegli abiti intorno al corpo diafano di Gianluca, Pippo Delbono evoca la Venere degli stracci... La storia della ballerina di Tango e del suo Nicola morto improvvisamente, Nelson che innaffia un giardino destinato a farsi rigoglioso e soffocante sono immagini della storia di Pippo Delbono e della sua famiglia. L'omaggio al teatro e al circo è tutto nei ricordi di Delbono bambino, ricordi che ricorrono con gusto felliniano e straziante nostalgia. Tutto si compie nello stupore e nel timore di quelle epifanie sceniche di clown, acrobati, belle ballerine destinate a sprofondare nel buio del fine recita. Ne La gioia perdura, insiste, avvolge lo spettatore un senso di morte imminente, di dolore che brucia, vuoto che soffoca, eppure Delbono e le sue creature di poesia non desistono, non smettono nel cercare quella gioia che appaga e lenisce il dolore. E noi spettatori non possiamo che essere con Pippo e i suoi e scioglierci in un applauso commosso e carico di gratitudine.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Giovedì, 13 Giugno 2019 10:24

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