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GABBIANO (IL) - regia Marco Sciaccaluga

“Il Gabbiano”, regia Marco Sciaccaluga. Foto Maritati “Il Gabbiano”, regia Marco Sciaccaluga. Foto Maritati

di Anton Čechov
versione italiana Danilo Macrì
regia Marco Sciaccaluga
con: Elisabetta Pozzi: Irina Nikolaevna Arkadina, vedova Treplev, attrice
Francesco Sferrazza Papa: Konstantin Gavrilovič Treplev, suo figlio
Federico Vanni: Petr Nikolaevič Sorin, fratello di Irina
Alice Arcuri: Nina Michailovna Zarečnaja, la giovane figlia di un ricco possidente
Roberto Alinghieri: Il'ja Afana'sevič Ṧamraev, tenente in congedo, amministratore di Sorin
Elsa Bossi: Polina Andreevna, sua moglie
Eva Cambiale: Maṧa, sua figlia
Stefano Santospago: Boris Alekseevič Trigorin, scrittore
Roberto Serpi: Evgeneij Sergeevič Dorn, medico
Andrea Nicolini: Semen Semenovič Medvedenko, maestro
Kabir Tavani Jakov: operaio
scene e costumi Catherine Rankl
musiche Andrea Nicolini
luci Marco D'Andrea
Una produzione: Teatro Nazionale di Genova
Al Teatro Manzoni di Pistoia dal 18 al 20 gennaio 2019

www.Sipario.it, 21 gennaio 2019

PISTOIA - Acuto osservatore e narratore dell'animo umano, Anton Pavlovič Čechov ha scritto con Il gabbiano, un poetico capolavoro sulla prosaicità dell'esistenza, sul dolore di non riuscire a superare le proprie debolezze, sulla mancanza di punti di riferimento in un'epoca di transizione, sul disagio interiore e l'arte di maniera. Ma il dramma è anche scontro fra generazioni: quella del giovane Konstantin Gavrilovič Treplev da una parte, e quella della madre Irina (e dell'amante Trigorin) dall'altra. Si fronteggiano infatti due modi di intendere la scrittura e la drammaturgia: se Konstantin è fautore di un teatro nuovo, senza convenzioni, che sia capace di toccare l'eternità, la madre Irina, attrice civettuola e mondana non riesce a comprendere la violenza degli scritti del figlio; e infatti, quando in apertura di spettacolo si assiste alla rappresentazione del nuovo dramma del giovane, nel teatro della tenuta di famiglia, la donna esprime il suo disappunto. A complicare il già difficile rapporto, il fatto che la donna, ormai vedova, abbia una relazione con Trigorin, del quale in parte Konstantin invidia il successo di scrittore. Come se non bastasse, la giovane Nina Michailovna Zarečnaja che sogna un futuro di attrice e che Konstantin ha scelto come protagonista, cade ben presto nella rete di seduzione della madre Irina e dell'amante Trigorin, causando al giovane un'autentica crisi di gelosia e delusione. Ma l'amarezza dei tempi non risparmia nemmeno le classi sociali più umili. Il'ja Afana'sevič Ṧamraev, amministratore della tenuta - dove abitano Konstantin, la madre, lo zio Petr Nikolaevič Sorin, e occasionalmente anche Trigorin -, è un uomo meschino, autoritario, mal sopportato dalla moglie che si prende per amante il medico del villaggio, mentre la figlia Maṧa è prigioniera di un matrimonio infelice. Le due famiglie sovrappongono le loro tensioni, e si svolge sul palco un dramma della malinconia, della sopportazione, delle illusioni, intriso di quel fatalismo sognatore e idealista che caratterizza il popolo russo. Si parla di aspirazioni, rimpianti, conflitti personali, aspettative tradite, amori attesi e giunti troppo tardi; teatro di parola, più che di azione scenica, efficacemente sorretto da un cast affiatato al cui interno le battute trovano reciproca rispondenza d'atmosfera, concatenandosi come in una partitura musicale e creando un tessuto recitativo monocolore, metafora delle noiose giornate che si succedono nell'immobilità della campagna.
Non ci sono buoni o cattivi, vincitori o perdenti: ognuno dei protagonisti ha la sua dose di sofferenza e di piccole gioie. Le donne, romantiche, utilitariste, sottilmente egocentriche, sognatrici, sono lo "zoccolo duro" di una società altrimenti imbelle o comunque incapace di esprimere una personalità compiuta; scenario ancora oggi consueto, e ciò depone a favore dell'acutezza sociologica di Čechov. Elisabetta Pozzi dà vita a un'intensa Irina Nikolaevna Arkadina, donna frivola, in fondo anche sentimentale, tuttavia molto compresa della sua fama di attrice che non riesce a conciliare con il ruolo di madre; prende Trigorin come antidoto alla solitudine della vecchiaia, ma non rinuncia alla sua carriera in teatro. Alice Arcuri rende appieno le velleità da Lolita di periferia della giovane Nina, desiderosa di essere compresa e apprezzata nella sua femminilità; per questo, affascinata dalla carriera di Irina, ne segue le orme, e sceglie Trigorin come amante ambiguo, affascinata dal suo pur vacuo successo. Ma al suo ritorno, furtivo, alla tenuta, nell'ultimo incontro con Konstantin, gli rivela tutta l'insoddisfazione e la solitudine dopo la fine della relazione con Trigorin. Ugualmente sospesa sul filo dell'ambiguità, Polina Andreevna, donna modesta e silenziosa, tuttavia passionale, che Elsa Bossi interpreta con misura.
Dall'altro lato, il giovane Konstantin, il maturo Trigorin, il contemplativo e imbelle Petr Nikolaevič Sorin, l'ambiguo Evgeneij Sergeevič Dorn: ognuno prigioniero di se stesso. Personaggi non facili da rendere agli occhi del pubblico, ma che Sferrazza Papa, Santospago, Vanni, Serpi, hanno saputo interpretare con efficacia, calandosi nelle vesti del russo dell'Ottocento, che, come ci racconta Čechov, era un curioso mélange di grandi idee e poco coraggio. Konstantin, infatti, pur riuscendo a raggiungere una certa notorietà nell'ambiente letterario cittadino (città di cui non si specifica il nome, così come della tenuta in cui abita), non saprà sopportare la solitudine, l'amarezza per l'abbandono di Nina, la gelosia per Trigorin e il conflitto con la madre: soltanto un colpo di pistola metterà fine alla sua tormentata esistenza. Lui e Nina si rispecchiano nel gabbiano suggerito dal titolo, simbolo della libertà dell'artista, soggetta però al pericolo dei cacciatori, delle correnti d'aria, delle insidie della natura. Trigorin è l'intellettuale di maniera, attento all'estetica dei suoi scritti ma senza preoccuparsi della profondità; fatuo e vanitoso, cede alle lusinghe di Nina, preferendo poi tornare da Irina, della quale apprezza anche il patrimonio finanziario. Sorin è invece il tipico esempio del possidente russo ottocentesco, chiuso in una vita abitudinaria, piena di manie e timori, e che soltanto in vecchiaia si accorge di non aver vissuto. Più dinamico Dorn, il medico scapolo che si concede all'infelice Polina Andreevna, è un bon viveur cui è mancato il coraggio di volare sulla città, e solo per un caso non è finito come il gabbiano del titolo.
La regia di Sciaccaluga è rispettosa della versione originale del testo, così come dell'ambientazione storica, e il dramma si sviluppa sul palcoscenico come un brioso congegno all'interno del quale ogni attore si muove con sicurezza e padronanza del testo e del personaggio. Sullo sfondo, l'immenso e placido lago su cui si affaccia la tenuta, un paesaggio affascinante ma anche inquietante, che sembra inchiodare alle sue rive le esistenze di ognuno, su cui il gabbiano prova a volare, prima di essere ucciso a fucilate. Anche se foriera di sofferenza, come è stato per Konstantin, soltanto l'arte che nasce dall'anima può donare all'umanità quell'arricchimento spirituale che le permette di non affondare nella bestialità, o comunque nel grigiore di un'esistenza senza passioni, senza ideali, senza slanci. Qualsiasi possibile accostamento alla società contemporanea è puramente casuale.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Martedì, 22 Gennaio 2019 03:40

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