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GIANNI - regia Michelangelo Bellani e C.L.Grugher

Caroline Baglioni in "Gianni", regia Michelangelo Bellani e C.L.Grugher. Foto G. Soverini Caroline Baglioni in "Gianni", regia Michelangelo Bellani e C.L.Grugher. Foto G. Soverini

ispirato alla voce di Gianni Pampanini
di Caroline Baglioni
supervisione alla regia Michelangelo Bellani, C.L.Grugher
assistente alla regia Nicol Martini
luci Gianni Starapoli
suono Valerio Di Loreto
organizzazione Mariella Nanni
produzione La Società Dello Spettacolo
Campo Teatrale, Milano, dal 23 al 26 febbraio 2017

www.Sipario.it, 28 febbraio 2017

Gianni: storia di una vita difficile

"Gianni" nasce dal desiderio di Caroline Baglioni, giovane monologhista in questo spettacolo, di dare voce alle sofferenze dello zio, Gianni Pampanini poi suicida, incise su tre cassette trovate molti anni dopo in una scatola di vecchi dischi. L'inaspettata scoperta ha stimolato la Baglioni a riadattare drammaturgicamente per questo spettacolo i pensieri, le emozioni e i sentimenti registrati dallo zio, già conosciuto dalla nipote quando lui, orfano di entrambi i genitori, è stato accolto nella famiglia di lei.
La spoglia scenografia della messinscena si sposa bene con l'atmosfera intima della sala Off di Campo Teatrale. Un cumulo di scarpe di vario genere accatastate in un angolo del grande palco richiama, simbolicamente, altri spettacoli già visti e orbitanti all'interno del teatro di ricerca. Nel corso di un'ora assistiamo non proprio a una vera storia ma, più che altro, a frammenti di memoria con i quali l'attrice disegna l'anima e la mente dello sfortunato zio. Gianni è malato, soffre di problemi maniaco-depressivi che non gli consentono di adattarsi alla difficile realtà di tutti i giorni. È chiuso sempre più in sé stesso e nei suoi labirinti mentali. Ora fuma sulle note di una musica, ora parla da solo dei problemi della vita sembrandoci un filosofo esistenzialista, ora corre disperato in macchina ossessionato dagli altri automobilisti, ora si butta per terra imprecando contro le sorelle. E poi, la rabbia con cui scalcia disperatamente le scarpe. La sua incapacità di relazionarsi agli altri è un disperato tentativo di vivere senza gli altri che sono un peso, perché sono gli altri che vedono e non capiscono la sua diversità. E allora, Gianni fugge dalla vita e da sé stesso. Il sesso, forse, è l'unica valvola di sfogo ma anche questo mezzo non basta perché prevede l'altro. È una corsa a senso unico verso un traguardo dai prevedibili contorni foschi. Ma c'è anche un piccolo spazio per qualcosa d'altro. Il disagio esistenziale vissuto da Gianni è lucido. Le sue parole sono, anche, una forte critica alla società consumistica e alle sue leggi. E non solo. Il suo grido di dolore è, in ultima analisi, un bisogno estremo di esprimere "chili" di vita rimasti compressi nell'anima e, a tratti, traboccanti. Ecco perché le scarpe illuminate da una luce blu, che richiamano le sirene della polizia nel momento del ritrovamento del cadavere, rappresentano non solo un momento tragico ma anche l'inizio di una riflessione più generale su noi stessi e la società attuale: cos'è la normalità? Essere normali significa anche essere felici? Chi si può arrogare il diritto di rispondere a queste domande con la Verità?
Caroline Baglioni con il suo accento umbro ci restituisce autenticamente, e questo non è poco, quello che fu Gianni. La recitazione scorre lungo una drammaturgia (che avrebbe potuto includere, di più, il rapporto fra lo zio e la nipote lasciato nell'angolo) non sempre coerente e armonizzata nelle sue parti, spesso slegata ma sostenuta dalla regia che ha il punto più forte nella scelta delle musiche e delle luci. Nel finale, il pubblico applaude con il rispetto che si deve alla storia vera di un disagio esistenziale.

Andrea Pietrantoni

Ultima modifica il Martedì, 28 Febbraio 2017 22:03

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