FSipario Mensile e Portale: scopri il mondo dello spettacolo. Guida ai Teatri, ai Festival, alle Scuole di Danza e di Teatro; Recensioni degli spettacoli, Comunicati stampa, Cyclopedia e molto altro.https://www.sipario.it/recensioniprosaf.feed2024-03-29T11:10:31+01:00Joomla! - Open Source Content ManagementF(O)U ALFRED JARRY (IL) - regia Sergio Basile2007-07-15T02:00:00+02:002007-07-15T02:00:00+02:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/2170-sipario-recensioni-fou-alfred-jarry-il.htmlDiana Palma<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/5cd3404b81e1b1afeecd5ba49e2fa4df_S.jpg" alt="Il F(o)u Alfred Jarry" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Luciana Grifi Macchine sceniche di Gianandrea Gazzola</strong><br /><strong>Con Gianni De Feo, Roberto Turchetta, Donatella Lotta, Alessandra Roca, Andrea Nolfo</strong><br /><strong>Costumi di Ottavia Valvo</strong><br /><strong>Musiche di Francis Poulenc a cura del M.o Marco Scolastra</strong><br /><strong>Regia di Sergio Basile</strong><br /><strong>Compagnia Les Deux Dames</strong><br /><strong>Roma, Teatro Sala Uno 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 2007</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Quando uno scrittore inventa un personaggio e questo diviene così famoso da oscurarne la fama, allora si creano complicazioni non indifferenti per l'autore: questo è il caso di Alfred Jarry e di Padre Ubu.</p> <p style="text-align: justify;">Luciana Grifi, autrice di Il f(o)u Alfred Jarry, si propone di salvare dalla invadenza del suo personaggio la fama dello scrittore francese, Alfred Jarry, figura fondamentale per l'arte e la letteratura del XX° secolo.</p> <p style="text-align: justify;">"Il famoso burattino Padre Ubu, - scrive la Grifi - raffigurato dal suo artefice come cloaca di tutti i difetti umani, è riuscito con la sua invadenza e cialtroneria ad oscurare la fama del suo creatore. Ma l'autore aveva abbastanza fascino da diventare anche lui personaggio. Ad Alfred Jarry è dedicato questo divertissement nella Parigi dei primi del Novecento, nella creazione del quale non si esclude possa esserci anche lo zampino di Padre Ubu. In realtà, è solo un sistema per affermare verità impraticabili attraverso personaggi improponibili che, essendo tali, possono almeno farla franca".</p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo è brillante, divertente, originale e sconfina dalla dimensione reale per muoversi in un mondo nel quale fantasia, realtà e sogno si incontrano e si scontrano al tempo stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Creature reali e personaggi fantastici interagiscono in pari misura non prevaricandosi l'un l'atro, ed altri personaggi "speciali" sono le "patamacchine" di Gianandrea Gazzola, artista che scolpisce macchine funzionanti, create appositamente per lo spettacolo e realizzate dallo studio Finzioni di Verona.</p> <p style="text-align: justify;">Molti sono i riferimenti alla vita dello scrittore, come la sua abitazione al terzo piano e mezzo, luogo mitico di incontri dove non mancavano mai alcool, assenzio e l'inseparabile pistola esibita nei momenti meno opportuni, l'incontro con il grande Apollinaire alle serate organizzate dalla storica rivista "La Plume", ed altri ancora.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto mai appropriato è quanto ci dice il regista Sergio Basile "L'universo è pieno di ragioni, cause ed effetti, per ciò siamo attirati dall'assurdo.</p> <p style="text-align: justify;">....La pluralità delle citazioni e delle sollecitazioni della drammaturgia non risponde a un'ansia filologica ma cerca un'emozione, una sensazione che riporti l'atmosfera mentale di Jarry, sospesa in una incredulità fantastica e posseduta al tempo stesso da un'indicibile frenesia demolitoria: un grande festoso cortocircuito cerebrale iniziato nell'adolescenza sui banchi di scuola a Rennes e terminato il 1° novembre 1907 a Rue Cassette, numero 7, a Parigi."</p> <p style="text-align: justify;">Un ottimo cast, un'originale regia ed un testo davvero intrigante fanno di IL F(O)U ALFRED JARRY uno spettacolo di alto livello.</p> <p><strong>DIANA PALMA</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/5cd3404b81e1b1afeecd5ba49e2fa4df_S.jpg" alt="Il F(o)u Alfred Jarry" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Luciana Grifi Macchine sceniche di Gianandrea Gazzola</strong><br /><strong>Con Gianni De Feo, Roberto Turchetta, Donatella Lotta, Alessandra Roca, Andrea Nolfo</strong><br /><strong>Costumi di Ottavia Valvo</strong><br /><strong>Musiche di Francis Poulenc a cura del M.o Marco Scolastra</strong><br /><strong>Regia di Sergio Basile</strong><br /><strong>Compagnia Les Deux Dames</strong><br /><strong>Roma, Teatro Sala Uno 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 2007</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Quando uno scrittore inventa un personaggio e questo diviene così famoso da oscurarne la fama, allora si creano complicazioni non indifferenti per l'autore: questo è il caso di Alfred Jarry e di Padre Ubu.</p> <p style="text-align: justify;">Luciana Grifi, autrice di Il f(o)u Alfred Jarry, si propone di salvare dalla invadenza del suo personaggio la fama dello scrittore francese, Alfred Jarry, figura fondamentale per l'arte e la letteratura del XX° secolo.</p> <p style="text-align: justify;">"Il famoso burattino Padre Ubu, - scrive la Grifi - raffigurato dal suo artefice come cloaca di tutti i difetti umani, è riuscito con la sua invadenza e cialtroneria ad oscurare la fama del suo creatore. Ma l'autore aveva abbastanza fascino da diventare anche lui personaggio. Ad Alfred Jarry è dedicato questo divertissement nella Parigi dei primi del Novecento, nella creazione del quale non si esclude possa esserci anche lo zampino di Padre Ubu. In realtà, è solo un sistema per affermare verità impraticabili attraverso personaggi improponibili che, essendo tali, possono almeno farla franca".</p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo è brillante, divertente, originale e sconfina dalla dimensione reale per muoversi in un mondo nel quale fantasia, realtà e sogno si incontrano e si scontrano al tempo stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Creature reali e personaggi fantastici interagiscono in pari misura non prevaricandosi l'un l'atro, ed altri personaggi "speciali" sono le "patamacchine" di Gianandrea Gazzola, artista che scolpisce macchine funzionanti, create appositamente per lo spettacolo e realizzate dallo studio Finzioni di Verona.</p> <p style="text-align: justify;">Molti sono i riferimenti alla vita dello scrittore, come la sua abitazione al terzo piano e mezzo, luogo mitico di incontri dove non mancavano mai alcool, assenzio e l'inseparabile pistola esibita nei momenti meno opportuni, l'incontro con il grande Apollinaire alle serate organizzate dalla storica rivista "La Plume", ed altri ancora.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto mai appropriato è quanto ci dice il regista Sergio Basile "L'universo è pieno di ragioni, cause ed effetti, per ciò siamo attirati dall'assurdo.</p> <p style="text-align: justify;">....La pluralità delle citazioni e delle sollecitazioni della drammaturgia non risponde a un'ansia filologica ma cerca un'emozione, una sensazione che riporti l'atmosfera mentale di Jarry, sospesa in una incredulità fantastica e posseduta al tempo stesso da un'indicibile frenesia demolitoria: un grande festoso cortocircuito cerebrale iniziato nell'adolescenza sui banchi di scuola a Rennes e terminato il 1° novembre 1907 a Rue Cassette, numero 7, a Parigi."</p> <p style="text-align: justify;">Un ottimo cast, un'originale regia ed un testo davvero intrigante fanno di IL F(O)U ALFRED JARRY uno spettacolo di alto livello.</p> <p><strong>DIANA PALMA</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>F-AIDA - testo e regia Salvatore Arena e Massimo Barilla2022-05-01T09:34:30+02:002022-05-01T09:34:30+02:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/14400-f-aida-testo-e-regia-salvatore-arena-e-massimo-barilla.htmlGigi Giacobbe<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/9c9b378a0888cf866ed729f4a7b7d4f3_S.jpg" alt=""F-Aida", testo e regia Salvatore Arena e Massimo Barilla" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>testo e regia di Salvatore Arena e Massimo Barilla<br />Interprete: Salvatore Arena<br />Musiche originali e sound design: Luigi Polimeni<br />Scene: Aldo Zucco<br />Disegno luci: Luigi Biondi<br />Regista assistente: Mariano Nieddu<br />Produzione: Mana Chuma Teatro<br /> Teatro Cilea. Reggio Calabria <strong>25 aprile 2022</strong></strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 26 aprile 2022</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Il termine F trattino Aida avrebbe fatto gioire Stefano Bartezzaghi e ne avrebbe scritto sulla sua rubrica “Lessico e Nuvole” che appare sul <em>Venerdì</em> di <em>Repubblica</em>. Avrebbe parlato di “elisione” o di “scarto”, o di altro ancora perché senza il trattino otteniamo la parola “Faida”, una sorta di guerra tra gruppi privati a scopo di vendetta, inserendo il trattino e togliendo la “F” avremo “Aida”, la nota opera lirica di Giuseppe Verdi che, stranamente, non si udrà nessuna delle sue arie per tutto lo spettacolo. In tutti e due i casi, con o senza trattino, sono due espressioni che per trent’anni hanno accompagnato la vita di Rocco, vestito da un formidabile Salvatore Arena che assieme a Massimo Barilla hanno scritto il testo <em>F-Aida</em> e lo hanno messo in scena con successo al Teatro Cilea di Reggio Calabria. Arena è solo sulla scena per 70 minuti e si muove come una belva chiusa in gabbia, o meglio in una squallida baracca (quella architettata da Aldo Zucco) come quelle che possono rinvenirsi ancora nelle periferie di Messina. Lo vediamo all’inizio, mentre echeggiano le note di “Casta Diva” di Bellini, col proprio corpo adagiato su quello del padre ucciso a coltellate. Rocco gli parla come se fosse vivo gridandogli in faccia la pena che gli ha inflitto: quella di averlo chiuso per 30 anni in quel tugurio dove ci si vede a malapena, solo perché innamorato d’un giovane come lui che si chiamava Alfredo. Un amore omosessuale lontano dalla mentalità del padre. Lui, maschio della Sila, non può accettare d’avere un figlio ricchione, meglio allora rinchiuderlo in un luogo sicuro dove nessuno lo possa vedere. Nel frattempo scatta la faida che coinvolge le famiglie dei due giovani e si odono colpi di lupara senza che si vedano i morti ammazzati. Rocco intanto serba di Alfredo solo il ricordo d’un fugace bacio sulla riva d’un fiume e poi basta, nient’altro. Continua a dilaniarsi l’anima Rocco, gli fanno compagnia i dischi in vinile di tanti melodrammi che ascolta da un vecchio giradischi, nessuno può aiutarlo, neppure i familiari più intimi che passano in rassegna nella sua mente, mimando le loro sembianze disarmate e incapaci per farlo evadere da quella prigione, compresa la madre che gli apparirà in un lato come una statua della Madonna, piangendo alla fine lacrime di sangue. Rocco è allo stremo, continua ad aggirarsi in quell’antro senza sosta, si scaglia ancora contro il padre morto e poi si toglie la vita col veleno. Lo spettacolo è struggente e Salvatore Arena ci offre un’interpretazione da ascriversi nelle antologie teatrali, ricordandomi in tanti momenti un ispirato Flavio Bucci alle prese con <em>Il diario d’un pazzo</em> di Gogol e <em>Opinioni d’un Clown</em> di Heinrich Böll. Leggo da qualche parte che il lavoro di Arena-Barilla si svolge negli anni ’80 del secolo scorso, sarebbe infatti un fatto inconcepibile che episodi di questo genere potessero ripetersi ancora ai giorni nostri, in una realtà certamente più evoluta, più cosciente e più colta in cui le coppie dello stesso sesso possono sposarsi e vivere la propria vita in piena libertà. Continua con F-Aida l’impegno nel sociale di questi due teatranti che operano nello Stretto tra Messina e Reggio, dopo aver narrato con <em>70VolteSud</em> la rivolta di Reggio Calabria e la strage del treno a Gioia Tauro nel 1970 e dopo aver fatto conoscere a tanti spettatori attraverso la <em>pièce</em> <em>Come un granello di sabbia</em> la figura di Giuseppe Gulotta vittima innocente d’un caso di malagiustizia.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/9c9b378a0888cf866ed729f4a7b7d4f3_S.jpg" alt=""F-Aida", testo e regia Salvatore Arena e Massimo Barilla" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>testo e regia di Salvatore Arena e Massimo Barilla<br />Interprete: Salvatore Arena<br />Musiche originali e sound design: Luigi Polimeni<br />Scene: Aldo Zucco<br />Disegno luci: Luigi Biondi<br />Regista assistente: Mariano Nieddu<br />Produzione: Mana Chuma Teatro<br /> Teatro Cilea. Reggio Calabria <strong>25 aprile 2022</strong></strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 26 aprile 2022</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Il termine F trattino Aida avrebbe fatto gioire Stefano Bartezzaghi e ne avrebbe scritto sulla sua rubrica “Lessico e Nuvole” che appare sul <em>Venerdì</em> di <em>Repubblica</em>. Avrebbe parlato di “elisione” o di “scarto”, o di altro ancora perché senza il trattino otteniamo la parola “Faida”, una sorta di guerra tra gruppi privati a scopo di vendetta, inserendo il trattino e togliendo la “F” avremo “Aida”, la nota opera lirica di Giuseppe Verdi che, stranamente, non si udrà nessuna delle sue arie per tutto lo spettacolo. In tutti e due i casi, con o senza trattino, sono due espressioni che per trent’anni hanno accompagnato la vita di Rocco, vestito da un formidabile Salvatore Arena che assieme a Massimo Barilla hanno scritto il testo <em>F-Aida</em> e lo hanno messo in scena con successo al Teatro Cilea di Reggio Calabria. Arena è solo sulla scena per 70 minuti e si muove come una belva chiusa in gabbia, o meglio in una squallida baracca (quella architettata da Aldo Zucco) come quelle che possono rinvenirsi ancora nelle periferie di Messina. Lo vediamo all’inizio, mentre echeggiano le note di “Casta Diva” di Bellini, col proprio corpo adagiato su quello del padre ucciso a coltellate. Rocco gli parla come se fosse vivo gridandogli in faccia la pena che gli ha inflitto: quella di averlo chiuso per 30 anni in quel tugurio dove ci si vede a malapena, solo perché innamorato d’un giovane come lui che si chiamava Alfredo. Un amore omosessuale lontano dalla mentalità del padre. Lui, maschio della Sila, non può accettare d’avere un figlio ricchione, meglio allora rinchiuderlo in un luogo sicuro dove nessuno lo possa vedere. Nel frattempo scatta la faida che coinvolge le famiglie dei due giovani e si odono colpi di lupara senza che si vedano i morti ammazzati. Rocco intanto serba di Alfredo solo il ricordo d’un fugace bacio sulla riva d’un fiume e poi basta, nient’altro. Continua a dilaniarsi l’anima Rocco, gli fanno compagnia i dischi in vinile di tanti melodrammi che ascolta da un vecchio giradischi, nessuno può aiutarlo, neppure i familiari più intimi che passano in rassegna nella sua mente, mimando le loro sembianze disarmate e incapaci per farlo evadere da quella prigione, compresa la madre che gli apparirà in un lato come una statua della Madonna, piangendo alla fine lacrime di sangue. Rocco è allo stremo, continua ad aggirarsi in quell’antro senza sosta, si scaglia ancora contro il padre morto e poi si toglie la vita col veleno. Lo spettacolo è struggente e Salvatore Arena ci offre un’interpretazione da ascriversi nelle antologie teatrali, ricordandomi in tanti momenti un ispirato Flavio Bucci alle prese con <em>Il diario d’un pazzo</em> di Gogol e <em>Opinioni d’un Clown</em> di Heinrich Böll. Leggo da qualche parte che il lavoro di Arena-Barilla si svolge negli anni ’80 del secolo scorso, sarebbe infatti un fatto inconcepibile che episodi di questo genere potessero ripetersi ancora ai giorni nostri, in una realtà certamente più evoluta, più cosciente e più colta in cui le coppie dello stesso sesso possono sposarsi e vivere la propria vita in piena libertà. Continua con F-Aida l’impegno nel sociale di questi due teatranti che operano nello Stretto tra Messina e Reggio, dopo aver narrato con <em>70VolteSud</em> la rivolta di Reggio Calabria e la strage del treno a Gioia Tauro nel 1970 e dopo aver fatto conoscere a tanti spettatori attraverso la <em>pièce</em> <em>Come un granello di sabbia</em> la figura di Giuseppe Gulotta vittima innocente d’un caso di malagiustizia.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>F.C.A. FASCISMI COMUNISMI ALCOLISMI - regia Alessandro Veronese2019-06-10T21:04:10+02:002019-06-10T21:04:10+02:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/12538-f-c-a-fascismi-comunismi-alcolismi-regia-alessandro-veronese.htmlDanilo Caravà<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/fe57b9dfdec96814e4adfa256ac79c47_S.jpg" alt=""F.C.A. Fascismi Comunismi Alcolismi", regia Alessandro Veronese" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Drammaturgia e regia Alessandro Veronese</strong><br /><strong>Con Luisa Bigiarini, Cinzia Brugnola, Alessandro Prioletti, Alessandro Veronese</strong><br /><strong>Produzione Fenice dei Rifiuti</strong><br /><strong>Milano, Teatro Libero al 06 al 09 giugno e dal 13 al 16 giugno 2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 10 giugno 2019</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Immaginate che Sartre decida di non chiudere completamente le porte, e lasci uno spiraglio perché entri un po' di esprit de finesse della commedia, che si possa pronunciare la fatale battuta "l'enfer, c'est le autres" con la levità della danzatrice classica, in punta di piedi, dando la sensazione che anche le verità più scomode possano camminare leggere, togliendosi idealmente le pesanti coturnate calzature dell'engangement. Alessandro Veronese è riuscito in questa impresa e, drammaturgicamente, ha costruito una perfetta bigamia con la Musa Talia e Melpomene, un menage a trois che ha dato al testo il giusto sapore agrodolce di tre creature immortalate nel momento del loro licenziamento, nel tragicomico istante del Capodanno, durante il quale vorrebbero un leopardiano venditore d'almanacchi per raccontare e raccontarsi l'autoinganno della speranza di un nuovo inizio. Tre cuori in una stanza, talmente vicini da avvertire le reciproche irregolarità cardiache, le sincopi, i sussulti, infarinano la faccia e chaplinianamente sorridono con il loro sorriso più accentuato ed insieme doloroso, proprio mentre incombono su di loro le nuvole di un'esistenza in grado di caricare la loro recitazione di un'umidità fatta di nero spleen. Un angryman e due angrywomen spogliati dalla dignità di un lavoro, hanno giusto una voglia di pioggia, per avere l'illusione di non piangere da soli, ma in compagnia di silenziosi dei, i quali non possono più presentarsi in scena perché la produzione della "machina" è stata de localizzata altrove. E mentre i personaggi esprimono il loro sincero, godardiano "crepa padrone, tutto va bene", il capitalista, incarnato con sulfurea e mefistofelica efficacia dallo stesso Veronese, come ultima beffa, trasforma il Capitale marxiano in un Kamasutra, e compra gli spiccioli dell'estremo valore aggiunto di un'anima, della stessa operaia che licenziò. E perché tutto si compia basta una stanza, perché gli involontari protagonisti di questo laboratorio di sperimentazione sociale scatenino la loro ira funesta, e siano dei perfetti clown del loro dramma esistenziale, che brucia sul loro viso nella forma di una lacrima ferma, immobile come quella di Pierrot. Luisa Bigiarini riesce nell'impresa di esprimere un personaggio che vive due volte, incarnando ora i toni lievi di una ludopatica alcolista con fonemi di testa, leggeri, che volano lievi nel cielo della comicità insieme agli asini di Stanlio e Ollio, ora reinventando la storia di una bambola abbandonata, uno psicodramma moreniano che è più freddo della morte. Alessandro Prioletti riesce a far detonare con efficacia ogni spunto umoristico, e gratta dalla laringe una musica berkoffiana con i tirapugni nascosti nelle risate. Cinzia Brugnola costruisce un personaggio comico, madido della rugiada esistenziale, avendo camminato a piedi nudi nel parco di Neil Simon, riesce efficacemente a far recitare anche i tacet, i cinematografici piani reazione, i tentativi hell-zapoppiniani di sfuggire alla pellicola esistenziale che scorre implacabile, e proietta sullo schermo della scena le acrobazie accompagnate da un sonoro "oplà, siamo vivi". Tutto vive in quei pochi metri di una casa che di bambola non può contenerne che una soltanto, ed in cattivissimo stato per giunta, e mentre l'eterna dialettica di destra e sinistra, di fascismi e comunismi si scalda la testa ad ogni sorso di grappa, riconciliandosi nell'improbabile tentativo bombarolo, affinché per una volta la rabbia si faccia cosa dura, ed esploda in faccia all'iniqua società, un'anima con estremo coraggio si sbozzola delicatamente davanti al pubblico, e più deposita seta fonetica sulla platea, più, svestendosi di quella serica pelle, mostra la carne viva e ferita che le vive dentro, riportando la storia ad un redde rationem, alla verità di un mondo che oltre a delocalizzare le sedi legali e quelle fiscali, vorrebbe fare lo stesso con la coscienza umana, la quale non può far altro che sedersi su un divano, per aspettare un Godot, o almeno un Godard, perché lo sfruttatore passi a peggior vita.</p> <p><strong>Danilo Caravà</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/fe57b9dfdec96814e4adfa256ac79c47_S.jpg" alt=""F.C.A. Fascismi Comunismi Alcolismi", regia Alessandro Veronese" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Drammaturgia e regia Alessandro Veronese</strong><br /><strong>Con Luisa Bigiarini, Cinzia Brugnola, Alessandro Prioletti, Alessandro Veronese</strong><br /><strong>Produzione Fenice dei Rifiuti</strong><br /><strong>Milano, Teatro Libero al 06 al 09 giugno e dal 13 al 16 giugno 2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 10 giugno 2019</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Immaginate che Sartre decida di non chiudere completamente le porte, e lasci uno spiraglio perché entri un po' di esprit de finesse della commedia, che si possa pronunciare la fatale battuta "l'enfer, c'est le autres" con la levità della danzatrice classica, in punta di piedi, dando la sensazione che anche le verità più scomode possano camminare leggere, togliendosi idealmente le pesanti coturnate calzature dell'engangement. Alessandro Veronese è riuscito in questa impresa e, drammaturgicamente, ha costruito una perfetta bigamia con la Musa Talia e Melpomene, un menage a trois che ha dato al testo il giusto sapore agrodolce di tre creature immortalate nel momento del loro licenziamento, nel tragicomico istante del Capodanno, durante il quale vorrebbero un leopardiano venditore d'almanacchi per raccontare e raccontarsi l'autoinganno della speranza di un nuovo inizio. Tre cuori in una stanza, talmente vicini da avvertire le reciproche irregolarità cardiache, le sincopi, i sussulti, infarinano la faccia e chaplinianamente sorridono con il loro sorriso più accentuato ed insieme doloroso, proprio mentre incombono su di loro le nuvole di un'esistenza in grado di caricare la loro recitazione di un'umidità fatta di nero spleen. Un angryman e due angrywomen spogliati dalla dignità di un lavoro, hanno giusto una voglia di pioggia, per avere l'illusione di non piangere da soli, ma in compagnia di silenziosi dei, i quali non possono più presentarsi in scena perché la produzione della "machina" è stata de localizzata altrove. E mentre i personaggi esprimono il loro sincero, godardiano "crepa padrone, tutto va bene", il capitalista, incarnato con sulfurea e mefistofelica efficacia dallo stesso Veronese, come ultima beffa, trasforma il Capitale marxiano in un Kamasutra, e compra gli spiccioli dell'estremo valore aggiunto di un'anima, della stessa operaia che licenziò. E perché tutto si compia basta una stanza, perché gli involontari protagonisti di questo laboratorio di sperimentazione sociale scatenino la loro ira funesta, e siano dei perfetti clown del loro dramma esistenziale, che brucia sul loro viso nella forma di una lacrima ferma, immobile come quella di Pierrot. Luisa Bigiarini riesce nell'impresa di esprimere un personaggio che vive due volte, incarnando ora i toni lievi di una ludopatica alcolista con fonemi di testa, leggeri, che volano lievi nel cielo della comicità insieme agli asini di Stanlio e Ollio, ora reinventando la storia di una bambola abbandonata, uno psicodramma moreniano che è più freddo della morte. Alessandro Prioletti riesce a far detonare con efficacia ogni spunto umoristico, e gratta dalla laringe una musica berkoffiana con i tirapugni nascosti nelle risate. Cinzia Brugnola costruisce un personaggio comico, madido della rugiada esistenziale, avendo camminato a piedi nudi nel parco di Neil Simon, riesce efficacemente a far recitare anche i tacet, i cinematografici piani reazione, i tentativi hell-zapoppiniani di sfuggire alla pellicola esistenziale che scorre implacabile, e proietta sullo schermo della scena le acrobazie accompagnate da un sonoro "oplà, siamo vivi". Tutto vive in quei pochi metri di una casa che di bambola non può contenerne che una soltanto, ed in cattivissimo stato per giunta, e mentre l'eterna dialettica di destra e sinistra, di fascismi e comunismi si scalda la testa ad ogni sorso di grappa, riconciliandosi nell'improbabile tentativo bombarolo, affinché per una volta la rabbia si faccia cosa dura, ed esploda in faccia all'iniqua società, un'anima con estremo coraggio si sbozzola delicatamente davanti al pubblico, e più deposita seta fonetica sulla platea, più, svestendosi di quella serica pelle, mostra la carne viva e ferita che le vive dentro, riportando la storia ad un redde rationem, alla verità di un mondo che oltre a delocalizzare le sedi legali e quelle fiscali, vorrebbe fare lo stesso con la coscienza umana, la quale non può far altro che sedersi su un divano, per aspettare un Godot, o almeno un Godard, perché lo sfruttatore passi a peggior vita.</p> <p><strong>Danilo Caravà</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>FABBRICA DEI PRETI (LA) - regia Giuliana Musso2012-12-01T00:00:00+01:002012-12-01T00:00:00+01:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/1762-sipario-recensioni-fabbrica-dei-preti-la.htmlValentina Dall'Ara<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/3e1c81f7f34a02a320d491ddfbf334e0_S.jpg" alt="La fabbrica dei preti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di e con Giuliana Musso</strong><br /><strong>Assistenza e ricerche fotografiche di Tiziana De Mario, Responsabile tecnico Claudio Parrino, Collaborazione allestimento di Massimo Somaglino</strong><br /><strong>Realizzazione video a cura di Giovanni Panozzo e Gigi Zilli, Elementi di scena a cura di Francesca Laurino, Ricerche bibliografiche Francesca Del Mestre</strong><br /><strong>Consulenza musicale di RiccardoTordoni, Musiche di Giovanni Panozzo, Daniele Silvestri, Maxmaber Orchestra, Mario D'Azzo, Tiromancino</strong><br /><strong>Organizzazione Patrizia Baggio</strong><br /><strong>Produzione La Corte Ospitale, Rubiera (Re)</strong><br /><strong>Teatro Ca' Foscari, Venezia 28 novembre 2012</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 1 dicembre 2012</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Con <em>La fabbrica dei preti</em> Giuliana Musso mette in scena uno spaccato di vita nei seminari italiani degli anni '60 e prosegue quel lavoro di ricerca sociale che aiuta a ricordare e ricostruire tasselli di storie vissute, dimenticate o nascoste. Il suo è un "teatro d'indagine" che parla del passato per aiutare a capire meglio il presente, senza avere la pretesa di esprimere un punto di vista assoluto.<br />Lo spettacolo, ispirato a "La fabriche de predis" di Don Pietrantonio Bellina, sacerdote friulano, restituisce l'immagine di una società negli anni del Concilio Vaticano II ed è apertamente dedicato a quei ragazzi che, nel '65, pronunciarono i voti.</p> <p style="text-align: justify;">Giuliana Musso è impeccabile, divertente ed acuta nel ricostruire tre testimonianze, tre storie di vita talmente assurde da non sembrare vere. Storie di preti ribelli, controcorrente, semplicemente onesti, memori di un'educazione che rivela un sistema gerarchico e proibitivo, fatto di giorni uguali, di banchi uguali, finestre, letti, tavoli, lavandini uguali e ragazzi in fila, contrassegnati non più da nomi ma da numeri; greggi di pecore di Cristo che vivevano giornate fatte di studio e preghiera, occhi bassi e bocche chiuse.<br />La descrizione che ne emerge ricorda i regimi militari di un tempo dove le regole erano fisse ed era proibito tutto, anche pensare.</p> <p style="text-align: justify;">Dai seminari venivano sfornati preti in serie che si ritrovavano impreparati alla vita stessa e obbligati a fare i conti con un mondo che fino a quel momento non conoscevano affatto.</p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo fa riemergere tematiche tabù secondo il punto di vista del tempo come, ad esempio, la geografia del corpo, diviso in parti lecite e meno lecite, oppure, le donne, "l'altro elemento", innominabili, simili ad "animali mitologici", incarnanti il peccato, ostacoli per arrivare a Dio.<br />Vengono messi in discussione secoli di "mentalità perversa capace solo di generare perversi" incapaci di distinguere veramente il bene dal male, incapaci di riconoscere l'amore vero.</p> <p style="text-align: justify;">E tutta questa disciplina centenaria venne scalfita grazie anche a quella piccola rivoluzione che fu il Concilio Vaticano II tra il 1962 al 1965, grazie alle parole dei protagonisti di quel grandioso evento come furono quelle del <em>Discorso alla Luna</em> di Papa Giovanni XIII.</p> <p style="text-align: justify;">Nel testo e nell'interpretazione dello spettacolo non ci sono forzature, il tempo del racconto scorre alternato a proiezioni di fotografie d'archivio che ancor più riecheggiano l'atmosfera di un tempo passato ma che ancora appartiene alla memoria storica collettiva, un passato su cui sono state gettate le fondamenta della nostra società e in cui poter trovare ancora spunti per riflettere.</p> <p><strong>Valentina Dall'Ara</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/3e1c81f7f34a02a320d491ddfbf334e0_S.jpg" alt="La fabbrica dei preti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di e con Giuliana Musso</strong><br /><strong>Assistenza e ricerche fotografiche di Tiziana De Mario, Responsabile tecnico Claudio Parrino, Collaborazione allestimento di Massimo Somaglino</strong><br /><strong>Realizzazione video a cura di Giovanni Panozzo e Gigi Zilli, Elementi di scena a cura di Francesca Laurino, Ricerche bibliografiche Francesca Del Mestre</strong><br /><strong>Consulenza musicale di RiccardoTordoni, Musiche di Giovanni Panozzo, Daniele Silvestri, Maxmaber Orchestra, Mario D'Azzo, Tiromancino</strong><br /><strong>Organizzazione Patrizia Baggio</strong><br /><strong>Produzione La Corte Ospitale, Rubiera (Re)</strong><br /><strong>Teatro Ca' Foscari, Venezia 28 novembre 2012</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 1 dicembre 2012</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Con <em>La fabbrica dei preti</em> Giuliana Musso mette in scena uno spaccato di vita nei seminari italiani degli anni '60 e prosegue quel lavoro di ricerca sociale che aiuta a ricordare e ricostruire tasselli di storie vissute, dimenticate o nascoste. Il suo è un "teatro d'indagine" che parla del passato per aiutare a capire meglio il presente, senza avere la pretesa di esprimere un punto di vista assoluto.<br />Lo spettacolo, ispirato a "La fabriche de predis" di Don Pietrantonio Bellina, sacerdote friulano, restituisce l'immagine di una società negli anni del Concilio Vaticano II ed è apertamente dedicato a quei ragazzi che, nel '65, pronunciarono i voti.</p> <p style="text-align: justify;">Giuliana Musso è impeccabile, divertente ed acuta nel ricostruire tre testimonianze, tre storie di vita talmente assurde da non sembrare vere. Storie di preti ribelli, controcorrente, semplicemente onesti, memori di un'educazione che rivela un sistema gerarchico e proibitivo, fatto di giorni uguali, di banchi uguali, finestre, letti, tavoli, lavandini uguali e ragazzi in fila, contrassegnati non più da nomi ma da numeri; greggi di pecore di Cristo che vivevano giornate fatte di studio e preghiera, occhi bassi e bocche chiuse.<br />La descrizione che ne emerge ricorda i regimi militari di un tempo dove le regole erano fisse ed era proibito tutto, anche pensare.</p> <p style="text-align: justify;">Dai seminari venivano sfornati preti in serie che si ritrovavano impreparati alla vita stessa e obbligati a fare i conti con un mondo che fino a quel momento non conoscevano affatto.</p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo fa riemergere tematiche tabù secondo il punto di vista del tempo come, ad esempio, la geografia del corpo, diviso in parti lecite e meno lecite, oppure, le donne, "l'altro elemento", innominabili, simili ad "animali mitologici", incarnanti il peccato, ostacoli per arrivare a Dio.<br />Vengono messi in discussione secoli di "mentalità perversa capace solo di generare perversi" incapaci di distinguere veramente il bene dal male, incapaci di riconoscere l'amore vero.</p> <p style="text-align: justify;">E tutta questa disciplina centenaria venne scalfita grazie anche a quella piccola rivoluzione che fu il Concilio Vaticano II tra il 1962 al 1965, grazie alle parole dei protagonisti di quel grandioso evento come furono quelle del <em>Discorso alla Luna</em> di Papa Giovanni XIII.</p> <p style="text-align: justify;">Nel testo e nell'interpretazione dello spettacolo non ci sono forzature, il tempo del racconto scorre alternato a proiezioni di fotografie d'archivio che ancor più riecheggiano l'atmosfera di un tempo passato ma che ancora appartiene alla memoria storica collettiva, un passato su cui sono state gettate le fondamenta della nostra società e in cui poter trovare ancora spunti per riflettere.</p> <p><strong>Valentina Dall'Ara</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>FACCIAMO L'AMORE - regia Gianluca Guidi2008-12-11T01:00:00+01:002008-12-11T01:00:00+01:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/2153-sipario-recensioni-facciamo-lamore.htmlCarlo Maria Pensa<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/084e87a704762fed2247732a795060ad_S.jpg" alt="Facciamo l'amore" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Norman Krasna con Gianluca Guidi, Lorenza Mario, Enzo Garinei, Aldo Ralli</strong><br /><strong>regia di Gianluca Guidi</strong><br /><strong>Milano, Teatro Manzoni, dal 2 dicembre 2008 al 4 gennaio 2009</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Libero, 11 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Il musical "Facciamo l'amore"</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Gianluca Guidi e la Mario come Marilyn e Montand</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Fate conto che Silvio Berlusconi venga a sapere che in un certo teatro, non di sua proprietà, si sta provando uno spettacolo satirico contro di lui, nel quale dovrà apparire, per ridicolizzarlo, un attore che gli somigli. Ma l'attore non si trova e a Berlusconi altro non resta da fare che presentarsi in teatro fingendosi il sosia di se stesso... No, scusate, Silvio Berlusconi non c'entra per niente in questa storia: ce l'abbiamo messo noi solo perché il protagonista della commedia musicale "Facciamo l'amore" è un miliardario come lui, ma americano di origine francese visto che si fa chiamare Giacomo La Rochefort. E presentatosi, con lo pseudonimo di Victor Hugo, all'impresario, viene subito scritturato. Quando poi lo spettacolo sta per debuttare, il padrone del teatro chiede un anno di affitto anticipato all'impresario, il quale non ha abbastanza dollari; allora interviene l'amministratore di La Rochefort. Nel frattempo Victor si è innamorato della soubrette, la quale quando sa che Victor Hugo è Giacomo rifiuta. Per poco, però. Vince l'amore e lo spettacolo va in scena col più vivo successo. Lo stesso successo che ha accolto adesso l'edizione italiana di "Facciamo l'amore", di cui è regista e protagonista Gianluca Guidi. Il titolo e il copione sono gli stessi di un film di George Cukor con Yves Montand e, Marilyn Monroe. Ora in scena, con Guidi, sono Lorenza Mario, Enzo Garinei, Aldo Ralli, Aldo Bergamaschi.</p> <p><strong>Carlo Maria Pensa</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Giorno, 16 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Strenna natalizia con Guidi povero miliardario</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Commedia musicale al Manzoni</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Che faticaccia, per un povero miliardario dongiovanni, espugnare il cuore di una soubrette candida come una novizia! La strenna natalizia che il Manzoni offre racconta queste traversie. «Facciamo l'amore» è un incrocio fra la commedia musicale all'italiana - garantita dall'applaudita presenza di due «glorie», Enzo Garinei e Aldo Ralli - e il musical americano, con sei bravi ballerini e il mixer di Giorgio Calabrese e Riccardo. Gianluca Guidi l'interprete, ne è anche il regista: un figlio d'arte che oggi sa accentuare l'à-plomb ironico e i toni da cantante confidenziale di papà Dorelli. «Facciamo l'amore», da Guidi riadattato con Giovanetti e Pallottini, ha una lunga storia. Viene da Broadway anni Trenta, è stato rielaborato Norman Krasna e ha avuto due film (uno nel '60 di Cukor a Monroe e Montand). Con Guidi oppone adesso leggi del cuore nel mondo cinico delle multinazionali. Ci sono tutti gli ingredienti del panettone di Natale, e il pubblico del Manzoni mostra di gradire. Giacomo de La Rochefort, il miliardario innamorato, va a vedere in un teatro periclitante per i debiti le prove di un «musical» in cui lo prendono per i fondelli. Ha un coup-de-foudre per la soubrette, figlia dell'impresario; viene scambiato per un attorucolo che sa imitare il ricco uomo d'affari ed è scritturato. «Teatro nel Teatro», se vogliamo. Fatto sta che, senza scomodare Pirandello, il Giacomo innamorato elabora col suo amministratore (Garinei), che in gioventù fu un caratterista con l'impresario padre dell'amata (il Ralli), una complicata strategia. Ma prima del lieto fine suderà le sette camicie per convincere tutti della sua vera identità. Coreografato da Stefano Bontempi che in scena è uno spassoso sopranista - il cast attraversa con fluidità di passaggi l'ingarbugliata vicenda. La scenografia dell'austerità che colpisce anche il teatro: peccato.</p> <p><strong>Ugo Ronfani</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Giornale, 30 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Guidi e la Mario rilanciano «Facciamo l'amore»</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">E' tempo di lustrini, palle di neve, biglie colorate, panettoni e stelle filanti: insomma siamo tra Natale e Capodanno, la festa religiosa per eccellenza che, a modo suo, imita il più pagano Carnevale. E nelle nostre sale teatrali è tempo di musical. All'italiana naturalmente, sia pur servito con un pizzico di salsa di marca newyorchese. È il caso del pacco-regalo spiritoso e graffiante che ci offre quest'anno con squisito tempismo la cara vecchia sala del Manzoni ospitando un Facciamo l'amore, a suo modo inedito. Dato che, oltre a rifarsi alla commedia incantevole e pruriginosa varata nel '60 a Hollywood da un veterano di nome George Cukor con la celebre coppia Marilyn MonroeYves Montand, il copione sbrigliato e tenerissimo riscritto ad hoc dall'eclettico Gianluca Guidi e dai suoi collaboratori, contiene più di un'allusione al buono e al pessimo costume di casa nostra. Dove le compagnie, come si sa, per colpa di certa austerity rischiano la chiusura a meno che non si presenti, come nel copione di Norman Krasna, una fata turchina sotto le spoglie del miliardario Giacomo de La Rochefort (Clément, nell'originale) a salvare la situazione. Chiamato in causa da un'indiscrezione (è appena venuto a sapere che è invia di allestimento uno spettacolo dove gli si tagliano i panni addosso), Giacomo-Clément si fa scritturare dalla troupe spacciandosi per l'involontario sosia di se stesso. Naturalmente il delizioso qui pro quo funziona fino a un certo punto, anche se nel frattempo il nostro eroe è riuscito a conquistare l'esilarante Miss Amanda spacciandosi per un francese di nome Victor Hugo (nel film, invece, Montano dichiarava all'ingenua Marilyn di chiamarsi Alexandre Dumas). Com'è ovvio, l'happy end è assicurato: a Hollywood come a Broadway e nella Milano natalizia i miliardari, si sa, hanno il cuore d'oro. È questo il succo dell'esile commediola che, per merito di una regia intelligente e fragrante come un biscuit, allinea un Guidi informa strepitosa accanto alla sensuale Lorenza Mario e all'impagabile Aldo Ralli. Cui si aggiunge, viva gli ottantenni, la classe di Enzo Garinei.</p> <p><strong>Enrico Groppali</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Messaggero, 21 marzo 2009</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Chiare, fresche, dolci storie</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Fin dalle prime battute di Facciamo l'amore, la commedia musicale che Gianluca Guidi interpreta e dirige (al Sistina di Roma fino al 9 aprile), ci si rende conto di una precisa volontà di fondo: dare allo spettacolo un segno demodé, una patina d'altri tempi in cui siano legittimi certi ripescaggi, certi omaggi all'arte di ieri, certe autoconcessioni. Il soggetto viene da una vecchia commmedia di Norman Krasna, diventata un film di George Cukor nel 1960 per la coppia Marylin MonroeYves Montand. Massimiliano Giovanetti e Claudio Pallottini hanno reso la materia d'origine una storia d'amore semplice, fresca, incapace di portare le ciglia finte e il troppo rossetto. Guidi regista esalta appositamente questi tratti per costruire due tempi sfaccettati, onnivori: al centro la vicenda d'amore di un giovane miliardario che entra per avventura in una compagnia di guitti e si invaghisce della primattrice (la bella e sempre pimpante Lorenza Mario); attorno, numeri e numeretti che lasciano brillare i comprimari, avanti a tutti Enzo Garinei (Mr Gallagher) e Aldo Ralli (Mr Shean) con una loro storia alle spalle, i caratteristi, il corpo di ballo, il ventaglio di grandi canzoni firmato Porter, Gershwin, Coleman, Trenet. Ma la degustazione più gradevole, che annulla qualche vuoto di ritmo e non poche lungaggini, è associata ai siparietti di umorismo surreale creati sia da Guidi, sia dalla coppia dei veterani. Par di stare seduti davanti alla tv quando, a notte fonda e grazie ai magici archivi della Rai, assistiamo a sketches di gran marca interpretati da Renato Rascel, Paolo Panelli, Raimondo Vianello, Carlo Dapporto, Ugo Tognazzi, Alberto Lionello... La risata sorge spontanea, ma è umorismo lieve, mai cabarettaro, spesso sognante, sempre e comunque elegante. Stefano Bontempi, che sa cantare da soprano, brilla nella parte di Penelope Horowiz, segretariona a fiori&frutti.</p> <p><strong>Rita Sala</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Mattino, 3 marzo 2009</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Guidi, l'arte della commedia di un seduttore finto-povero</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Il salotto ovattato dell'alta finanza e il backstage di un teatro polvere e lustrini. Il cinico miliardario, donnaiolo impenitente, e la giovane attrice di sani principi morali. Il colpo di fulmine dietro le quinte, equivoci e contrasti d'amore, il lieto fine. Se si aggiungono gli sketch comici, romantiche canzoni, musica e balletto, il plot è servito. Eterna ricetta per un gradevole spettacolo di intrattenimento, com'è «Facciamo l'amore», in scena all'Augusteo con Gianluca Guidi e Lorenza Mario. La commedia, con le debite variazioni, ha illustri precedenti. Nasce a Broadway negli anni Trenta come musical, presto trasferito in un film-rivista con l'elegante Dick Powell. Nel 1960 George Cukor, raffinato regista di sophisticated-comedy, ne trae una nuova versione, «Let's make love», pellicola di successo con Yves Montand e Marilyn Monroe (per la cronaca, nacque su quel set la vicenda sentimentale tra le due star). Ora, l'adattamento di Guidi che, con la Mario, è affiancato da due veterani del teatro leggero, Enzo Garinei e Aldo Ralli. Le canzoni portano la firma di prestigio di Giorgio Calabrese, assieme ad alcuni motivi che Cole Porter scrisse per Cukor. Lo scapolo e straricco Giacomo de la Rochefort scopre che su una ribalta off del Greenwich Village si sta allestendo uno spettacolo satirico sulla sua figura di squalo degli affari e farfallone amoroso. Recatosi alle prove, resta folgorato dalla bella Julie e, scambiato per un sosia del vero bersaglio dello show, sta al gioco e accetta, in incognito, di essere scritturato per l'ingrato ruolo. Scatta il classico meccanismo di teatro nel teatro e della sostituzione di persona. E il lavoro procede come un colorato vaudeville, in un mix di coreografie, soft pathos e situazioni comiche. Garinei e Ralli danno vita a una coppia di vecchi artisti di varietà che (citazione da «I ragazzi irresistibili» di Neil Simon) si ritrovano dopo anni e, con paglietta e tip-tap, si esibiscono nei loro antichi successi. Stefano Bontempi, en travesti, veste il sontuoso costume di eccentrica primadonna dell'opera barocca. Gianluca Guidi (figlio d'arte, della Masiero e di Johnny Dorelli, cui assomiglia sempre di più) assolve con affabile vena il suo ruolo di seduttore finto povero, redento dall'amore e dalla lezione di vita della candida Julie, resa da Lorenza Mario che recita, canta e balla con versatile talento. Favoletta di garbo, un po' retrò.</p> <p><strong>Franco de Ciuceis</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Corriere della Sera, 18 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Pièce brillante per Guidi ottimo attore</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Fortunata commedia musicale, fortunato film di Cukor del 1960 con Marilyn Monroe e Yves Montand, «Facciamo l' amore» di Norman Krasna, autore raffinato e ricco di humour, è in scena nel riadattamento di Massimiliano Giovanetti, Claudio Pallottini e Gianluca Guidi, anche regista e bravo interprete con la sua recitazione «a buttare via», fatta di tempi stretti e controtempi perfetti, e la sua bella voce. Guidi è il ricchissimo Giacomo che scopre che una compagnia sta allestendo uno spettacolo satirico in cui viene messa alla berlina la sua figura di impenitente donnaiolo, figlio di papà. Deciso a impedire che vada in scena, assiste alle prove e rimane folgorato dalla protagonista. Accanto a lui in questa commedia brillante che gioca sul meccanismo del teatro nel teatro, sullo scambio di identità e nella quale molti generi si intrecciano, dalla rivista con balli e canzoni alla prosa, due grandi caratteristi Enzo Garinei e Aldo Ralli. La brava Lorenza Mario è la soubrette tutta acqua, sapone e polvere del palcoscenico che lo incanterà e per la quale Giacomo si fingerà attore disposto a ricoprire il ruolo di se stesso. Una commedia divertente che dovrebbe essere resa drammaturgicamente più agile e coerente in uno spettacolo ben confezionato che ha il sapore d' altri tempi e che vive per la bravura degli attori. Manzoni, fino al 4 gennaio</p> <p><strong>Magda Poli</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/084e87a704762fed2247732a795060ad_S.jpg" alt="Facciamo l'amore" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Norman Krasna con Gianluca Guidi, Lorenza Mario, Enzo Garinei, Aldo Ralli</strong><br /><strong>regia di Gianluca Guidi</strong><br /><strong>Milano, Teatro Manzoni, dal 2 dicembre 2008 al 4 gennaio 2009</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Libero, 11 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Il musical "Facciamo l'amore"</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Gianluca Guidi e la Mario come Marilyn e Montand</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Fate conto che Silvio Berlusconi venga a sapere che in un certo teatro, non di sua proprietà, si sta provando uno spettacolo satirico contro di lui, nel quale dovrà apparire, per ridicolizzarlo, un attore che gli somigli. Ma l'attore non si trova e a Berlusconi altro non resta da fare che presentarsi in teatro fingendosi il sosia di se stesso... No, scusate, Silvio Berlusconi non c'entra per niente in questa storia: ce l'abbiamo messo noi solo perché il protagonista della commedia musicale "Facciamo l'amore" è un miliardario come lui, ma americano di origine francese visto che si fa chiamare Giacomo La Rochefort. E presentatosi, con lo pseudonimo di Victor Hugo, all'impresario, viene subito scritturato. Quando poi lo spettacolo sta per debuttare, il padrone del teatro chiede un anno di affitto anticipato all'impresario, il quale non ha abbastanza dollari; allora interviene l'amministratore di La Rochefort. Nel frattempo Victor si è innamorato della soubrette, la quale quando sa che Victor Hugo è Giacomo rifiuta. Per poco, però. Vince l'amore e lo spettacolo va in scena col più vivo successo. Lo stesso successo che ha accolto adesso l'edizione italiana di "Facciamo l'amore", di cui è regista e protagonista Gianluca Guidi. Il titolo e il copione sono gli stessi di un film di George Cukor con Yves Montand e, Marilyn Monroe. Ora in scena, con Guidi, sono Lorenza Mario, Enzo Garinei, Aldo Ralli, Aldo Bergamaschi.</p> <p><strong>Carlo Maria Pensa</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Giorno, 16 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Strenna natalizia con Guidi povero miliardario</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Commedia musicale al Manzoni</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Che faticaccia, per un povero miliardario dongiovanni, espugnare il cuore di una soubrette candida come una novizia! La strenna natalizia che il Manzoni offre racconta queste traversie. «Facciamo l'amore» è un incrocio fra la commedia musicale all'italiana - garantita dall'applaudita presenza di due «glorie», Enzo Garinei e Aldo Ralli - e il musical americano, con sei bravi ballerini e il mixer di Giorgio Calabrese e Riccardo. Gianluca Guidi l'interprete, ne è anche il regista: un figlio d'arte che oggi sa accentuare l'à-plomb ironico e i toni da cantante confidenziale di papà Dorelli. «Facciamo l'amore», da Guidi riadattato con Giovanetti e Pallottini, ha una lunga storia. Viene da Broadway anni Trenta, è stato rielaborato Norman Krasna e ha avuto due film (uno nel '60 di Cukor a Monroe e Montand). Con Guidi oppone adesso leggi del cuore nel mondo cinico delle multinazionali. Ci sono tutti gli ingredienti del panettone di Natale, e il pubblico del Manzoni mostra di gradire. Giacomo de La Rochefort, il miliardario innamorato, va a vedere in un teatro periclitante per i debiti le prove di un «musical» in cui lo prendono per i fondelli. Ha un coup-de-foudre per la soubrette, figlia dell'impresario; viene scambiato per un attorucolo che sa imitare il ricco uomo d'affari ed è scritturato. «Teatro nel Teatro», se vogliamo. Fatto sta che, senza scomodare Pirandello, il Giacomo innamorato elabora col suo amministratore (Garinei), che in gioventù fu un caratterista con l'impresario padre dell'amata (il Ralli), una complicata strategia. Ma prima del lieto fine suderà le sette camicie per convincere tutti della sua vera identità. Coreografato da Stefano Bontempi che in scena è uno spassoso sopranista - il cast attraversa con fluidità di passaggi l'ingarbugliata vicenda. La scenografia dell'austerità che colpisce anche il teatro: peccato.</p> <p><strong>Ugo Ronfani</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Giornale, 30 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Guidi e la Mario rilanciano «Facciamo l'amore»</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">E' tempo di lustrini, palle di neve, biglie colorate, panettoni e stelle filanti: insomma siamo tra Natale e Capodanno, la festa religiosa per eccellenza che, a modo suo, imita il più pagano Carnevale. E nelle nostre sale teatrali è tempo di musical. All'italiana naturalmente, sia pur servito con un pizzico di salsa di marca newyorchese. È il caso del pacco-regalo spiritoso e graffiante che ci offre quest'anno con squisito tempismo la cara vecchia sala del Manzoni ospitando un Facciamo l'amore, a suo modo inedito. Dato che, oltre a rifarsi alla commedia incantevole e pruriginosa varata nel '60 a Hollywood da un veterano di nome George Cukor con la celebre coppia Marilyn MonroeYves Montand, il copione sbrigliato e tenerissimo riscritto ad hoc dall'eclettico Gianluca Guidi e dai suoi collaboratori, contiene più di un'allusione al buono e al pessimo costume di casa nostra. Dove le compagnie, come si sa, per colpa di certa austerity rischiano la chiusura a meno che non si presenti, come nel copione di Norman Krasna, una fata turchina sotto le spoglie del miliardario Giacomo de La Rochefort (Clément, nell'originale) a salvare la situazione. Chiamato in causa da un'indiscrezione (è appena venuto a sapere che è invia di allestimento uno spettacolo dove gli si tagliano i panni addosso), Giacomo-Clément si fa scritturare dalla troupe spacciandosi per l'involontario sosia di se stesso. Naturalmente il delizioso qui pro quo funziona fino a un certo punto, anche se nel frattempo il nostro eroe è riuscito a conquistare l'esilarante Miss Amanda spacciandosi per un francese di nome Victor Hugo (nel film, invece, Montano dichiarava all'ingenua Marilyn di chiamarsi Alexandre Dumas). Com'è ovvio, l'happy end è assicurato: a Hollywood come a Broadway e nella Milano natalizia i miliardari, si sa, hanno il cuore d'oro. È questo il succo dell'esile commediola che, per merito di una regia intelligente e fragrante come un biscuit, allinea un Guidi informa strepitosa accanto alla sensuale Lorenza Mario e all'impagabile Aldo Ralli. Cui si aggiunge, viva gli ottantenni, la classe di Enzo Garinei.</p> <p><strong>Enrico Groppali</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Messaggero, 21 marzo 2009</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Chiare, fresche, dolci storie</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Fin dalle prime battute di Facciamo l'amore, la commedia musicale che Gianluca Guidi interpreta e dirige (al Sistina di Roma fino al 9 aprile), ci si rende conto di una precisa volontà di fondo: dare allo spettacolo un segno demodé, una patina d'altri tempi in cui siano legittimi certi ripescaggi, certi omaggi all'arte di ieri, certe autoconcessioni. Il soggetto viene da una vecchia commmedia di Norman Krasna, diventata un film di George Cukor nel 1960 per la coppia Marylin MonroeYves Montand. Massimiliano Giovanetti e Claudio Pallottini hanno reso la materia d'origine una storia d'amore semplice, fresca, incapace di portare le ciglia finte e il troppo rossetto. Guidi regista esalta appositamente questi tratti per costruire due tempi sfaccettati, onnivori: al centro la vicenda d'amore di un giovane miliardario che entra per avventura in una compagnia di guitti e si invaghisce della primattrice (la bella e sempre pimpante Lorenza Mario); attorno, numeri e numeretti che lasciano brillare i comprimari, avanti a tutti Enzo Garinei (Mr Gallagher) e Aldo Ralli (Mr Shean) con una loro storia alle spalle, i caratteristi, il corpo di ballo, il ventaglio di grandi canzoni firmato Porter, Gershwin, Coleman, Trenet. Ma la degustazione più gradevole, che annulla qualche vuoto di ritmo e non poche lungaggini, è associata ai siparietti di umorismo surreale creati sia da Guidi, sia dalla coppia dei veterani. Par di stare seduti davanti alla tv quando, a notte fonda e grazie ai magici archivi della Rai, assistiamo a sketches di gran marca interpretati da Renato Rascel, Paolo Panelli, Raimondo Vianello, Carlo Dapporto, Ugo Tognazzi, Alberto Lionello... La risata sorge spontanea, ma è umorismo lieve, mai cabarettaro, spesso sognante, sempre e comunque elegante. Stefano Bontempi, che sa cantare da soprano, brilla nella parte di Penelope Horowiz, segretariona a fiori&frutti.</p> <p><strong>Rita Sala</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Mattino, 3 marzo 2009</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Guidi, l'arte della commedia di un seduttore finto-povero</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Il salotto ovattato dell'alta finanza e il backstage di un teatro polvere e lustrini. Il cinico miliardario, donnaiolo impenitente, e la giovane attrice di sani principi morali. Il colpo di fulmine dietro le quinte, equivoci e contrasti d'amore, il lieto fine. Se si aggiungono gli sketch comici, romantiche canzoni, musica e balletto, il plot è servito. Eterna ricetta per un gradevole spettacolo di intrattenimento, com'è «Facciamo l'amore», in scena all'Augusteo con Gianluca Guidi e Lorenza Mario. La commedia, con le debite variazioni, ha illustri precedenti. Nasce a Broadway negli anni Trenta come musical, presto trasferito in un film-rivista con l'elegante Dick Powell. Nel 1960 George Cukor, raffinato regista di sophisticated-comedy, ne trae una nuova versione, «Let's make love», pellicola di successo con Yves Montand e Marilyn Monroe (per la cronaca, nacque su quel set la vicenda sentimentale tra le due star). Ora, l'adattamento di Guidi che, con la Mario, è affiancato da due veterani del teatro leggero, Enzo Garinei e Aldo Ralli. Le canzoni portano la firma di prestigio di Giorgio Calabrese, assieme ad alcuni motivi che Cole Porter scrisse per Cukor. Lo scapolo e straricco Giacomo de la Rochefort scopre che su una ribalta off del Greenwich Village si sta allestendo uno spettacolo satirico sulla sua figura di squalo degli affari e farfallone amoroso. Recatosi alle prove, resta folgorato dalla bella Julie e, scambiato per un sosia del vero bersaglio dello show, sta al gioco e accetta, in incognito, di essere scritturato per l'ingrato ruolo. Scatta il classico meccanismo di teatro nel teatro e della sostituzione di persona. E il lavoro procede come un colorato vaudeville, in un mix di coreografie, soft pathos e situazioni comiche. Garinei e Ralli danno vita a una coppia di vecchi artisti di varietà che (citazione da «I ragazzi irresistibili» di Neil Simon) si ritrovano dopo anni e, con paglietta e tip-tap, si esibiscono nei loro antichi successi. Stefano Bontempi, en travesti, veste il sontuoso costume di eccentrica primadonna dell'opera barocca. Gianluca Guidi (figlio d'arte, della Masiero e di Johnny Dorelli, cui assomiglia sempre di più) assolve con affabile vena il suo ruolo di seduttore finto povero, redento dall'amore e dalla lezione di vita della candida Julie, resa da Lorenza Mario che recita, canta e balla con versatile talento. Favoletta di garbo, un po' retrò.</p> <p><strong>Franco de Ciuceis</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Corriere della Sera, 18 dicembre 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Pièce brillante per Guidi ottimo attore</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Fortunata commedia musicale, fortunato film di Cukor del 1960 con Marilyn Monroe e Yves Montand, «Facciamo l' amore» di Norman Krasna, autore raffinato e ricco di humour, è in scena nel riadattamento di Massimiliano Giovanetti, Claudio Pallottini e Gianluca Guidi, anche regista e bravo interprete con la sua recitazione «a buttare via», fatta di tempi stretti e controtempi perfetti, e la sua bella voce. Guidi è il ricchissimo Giacomo che scopre che una compagnia sta allestendo uno spettacolo satirico in cui viene messa alla berlina la sua figura di impenitente donnaiolo, figlio di papà. Deciso a impedire che vada in scena, assiste alle prove e rimane folgorato dalla protagonista. Accanto a lui in questa commedia brillante che gioca sul meccanismo del teatro nel teatro, sullo scambio di identità e nella quale molti generi si intrecciano, dalla rivista con balli e canzoni alla prosa, due grandi caratteristi Enzo Garinei e Aldo Ralli. La brava Lorenza Mario è la soubrette tutta acqua, sapone e polvere del palcoscenico che lo incanterà e per la quale Giacomo si fingerà attore disposto a ricoprire il ruolo di se stesso. Una commedia divertente che dovrebbe essere resa drammaturgicamente più agile e coerente in uno spettacolo ben confezionato che ha il sapore d' altri tempi e che vive per la bravura degli attori. Manzoni, fino al 4 gennaio</p> <p><strong>Magda Poli</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>FACCIO DEL MIO MEGLIO - regia Giampiero Solari2007-11-07T01:00:00+01:002007-11-07T01:00:00+01:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/2171-sipario-recensioni-faccio-del-mio-meglio.htmlMagda Poli<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/42433d914d50be2debde725181e28d45_S.jpg" alt="Faccio del mio meglio" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di e con Giorgio Panariello</strong><br /><strong>regia: Giampiero Solari</strong><br /><strong>Milano, Teatro Smeraldo, dal 6 novembre 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Corriere della Sera, 11 novembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Canzoni, poesie, gag è il «gran varietà» del bravo Panariello</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Un filo sottile e ben costruito percorre e dà compiutezza allo show di Giorgio Panariello «Faccio del mio meglio» - scritto dallo stesso attore, da Riccardo Cassini, Carlo Pistarino e Giampiero Solari, che firma anche la regia -, è il logorarsi della comunicazione tra uomo e donna, tra animale e uomo, tra adulti e bambini. Sono vizi comportamentali osservati con occhio ironico, benevolo ma non indulgente. Incomunicabilità nell' era dello comunicazione? Uno slogan che ha in sé una parte di verità e Panariello ne scopre il filo in uno spettacolo godibile, fluido e divertente, tra battute un pò «grassocce» e l' irruzione dei suoi più popolari personaggi, da Renato Zero a Briatore, da Merigo all' anziano Raperino, sempre misurata e ben risolta in un dialogare tra immagini proiettate su un grande schermo che prendono poi vita sul palcoscenico. Il bravo «one man show» sa creare una bella complicità, una rispondenza che nutre con ottimi tempi comici, con un gusto del coinvolgimento in un procedere da «gran varietà». Canta canzonette che tutto il pubblico accompagna a piena voce, recita poesie, evoca i suoi personaggi «cavallo di battaglia» che diventano così più che ospiti d' onore, amici che vengono a trovare un pubblico che li vuole rivedere, i complici di una serata ben riuscita come l' «orchestra», il divertente, bravo tastierista Dino Mancino, e Carlo Pistarino sommelier dai cognomi variabili ogni dieci secondi come i nomi dei suoi vini. Giorgio Panariello, dopo aver raccontato surreali avventure di cani, nella realtà troppo spesso maltrattati, si permette di concludere con un tocco di malinconia, quella del vecchio ex partigiano che ha combattuto per la libertà di tutti e ora è messo da parte anche dalla sua famiglia, relegato al quotidiano «trasporto rifiuti». Una bella nota dolce-amara in uno spettacolo di grande, meritato successo.</p> <p><strong>Magda Poli<span id="_plain_text_marker"> </span></strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/42433d914d50be2debde725181e28d45_S.jpg" alt="Faccio del mio meglio" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di e con Giorgio Panariello</strong><br /><strong>regia: Giampiero Solari</strong><br /><strong>Milano, Teatro Smeraldo, dal 6 novembre 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Corriere della Sera, 11 novembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Canzoni, poesie, gag è il «gran varietà» del bravo Panariello</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Un filo sottile e ben costruito percorre e dà compiutezza allo show di Giorgio Panariello «Faccio del mio meglio» - scritto dallo stesso attore, da Riccardo Cassini, Carlo Pistarino e Giampiero Solari, che firma anche la regia -, è il logorarsi della comunicazione tra uomo e donna, tra animale e uomo, tra adulti e bambini. Sono vizi comportamentali osservati con occhio ironico, benevolo ma non indulgente. Incomunicabilità nell' era dello comunicazione? Uno slogan che ha in sé una parte di verità e Panariello ne scopre il filo in uno spettacolo godibile, fluido e divertente, tra battute un pò «grassocce» e l' irruzione dei suoi più popolari personaggi, da Renato Zero a Briatore, da Merigo all' anziano Raperino, sempre misurata e ben risolta in un dialogare tra immagini proiettate su un grande schermo che prendono poi vita sul palcoscenico. Il bravo «one man show» sa creare una bella complicità, una rispondenza che nutre con ottimi tempi comici, con un gusto del coinvolgimento in un procedere da «gran varietà». Canta canzonette che tutto il pubblico accompagna a piena voce, recita poesie, evoca i suoi personaggi «cavallo di battaglia» che diventano così più che ospiti d' onore, amici che vengono a trovare un pubblico che li vuole rivedere, i complici di una serata ben riuscita come l' «orchestra», il divertente, bravo tastierista Dino Mancino, e Carlo Pistarino sommelier dai cognomi variabili ogni dieci secondi come i nomi dei suoi vini. Giorgio Panariello, dopo aver raccontato surreali avventure di cani, nella realtà troppo spesso maltrattati, si permette di concludere con un tocco di malinconia, quella del vecchio ex partigiano che ha combattuto per la libertà di tutti e ora è messo da parte anche dalla sua famiglia, relegato al quotidiano «trasporto rifiuti». Una bella nota dolce-amara in uno spettacolo di grande, meritato successo.</p> <p><strong>Magda Poli<span id="_plain_text_marker"> </span></strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>FACTORY 2 - regia Krystian Lupa2009-04-25T02:00:00+02:002009-04-25T02:00:00+02:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/2154-sipario-recensioni-factory-2.htmlGigi Giacobbe<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/9217346f41a5b7e8e45bd1d2bf97a850_S.jpg" alt="Factory 2" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>Testo, allestimento e regia di Krystian Lupa</strong><br /><strong>Costumi di Piotr Skiba</strong><br /><strong>Scritto con Ida Ganczarczyk e Magda Stojowska</strong><br /><strong>Musica di Mieczyslaw Mejza</strong><br /><strong>Interpreti: venti attori della compagnia</strong><br /><strong>Prima rappresentazione febbraio 2008</strong><br /><strong>Wroclaw, Premio Europa, aprile 2009</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 25 aprile 2009</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">In <em>Factory 2</em>, collaudato e lunghissimo spettacolo con due intervalli iniziato intorno alle 16 e finito poco prima di mezzanotte, non c'era Lupa a bofonchiare e dare indicazioni ai sui attori e neppure il fantasma di Grotowski, per il quale l'Unesco, nel decennale della sua scomparsa, consacrava questo 2009 come "Anno Grotowski", piuttosto un pubblico numeroso assiepato in ogni posto d'una immensa sala degli austeri Studi Cinematografici di foggia piuttosto nazista alla periferia di Wroclaw. Un fantasy o un reality tipo Grande Fratello (in particolare la prima parte) ispirato al lavoro di Andy Warhol nella sua ampia Factory frequentata da donne vampiro, sdolcinati omosessuali, qualche bel maschio, travestiti disinibiti, drogati, una ventina di personaggi colorati e bislacchi, sempre sopra le righe, filmati senza soste e senza veli da Paul Morissey ( qui vestito da Zbigniew W. Kaleta) e da altri operatori, i cui molti spunti faranno parte in un secondo momento, come si sa, di alcuni film come Flesh e Trash sul mondo degradato e carnale di Warhol qui interpretato con grande senso comico, infantile, ludico, anche timido e sfrontato da Piotr Skiba. I protagonisti seduti e distesi scompostamente in tutte le posizioni, fumano di continuo di fronte al pubblico, parlano al telefonino dei loro fatti e le loro immagini filmate in diretta appaiono su un grande schermo in fondo la scena. L'improvvisazione gioca un ruolo importante e il mistero della vita arriva attraverso la sua parodia. Lo spettacolo va avanti tra esibizionismi, solitudini, pornografia e voyeurismo e sono di grandi ilarità le scene che ritraggono un giornalista del New York Times (Szymon Kaczmarek) intervistare Warhol con risposte più che evasive da parte di quest'ultimo; ancora Warhol svegliato di prima mattina dall'amica Brigid (Iwona Bielska) oltremodo loquace che continua a parlare senza sosta, mentre lui tra acrobazie varie riesce a fare colazione spalmando di marmellata le sue fette di pane, a fare pipì, finanche ad avere l'ispirazione di ritrarre su una tela una sedia con i colori della bandiera americana. Lo spettacolo va avanti stancamente quasi al ralenti con la bionda Edi di Sandra Korzeniak, la Nico di Katatarzyna Warnke e fino alla fine non succede più niente.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/9217346f41a5b7e8e45bd1d2bf97a850_S.jpg" alt="Factory 2" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>Testo, allestimento e regia di Krystian Lupa</strong><br /><strong>Costumi di Piotr Skiba</strong><br /><strong>Scritto con Ida Ganczarczyk e Magda Stojowska</strong><br /><strong>Musica di Mieczyslaw Mejza</strong><br /><strong>Interpreti: venti attori della compagnia</strong><br /><strong>Prima rappresentazione febbraio 2008</strong><br /><strong>Wroclaw, Premio Europa, aprile 2009</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 25 aprile 2009</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">In <em>Factory 2</em>, collaudato e lunghissimo spettacolo con due intervalli iniziato intorno alle 16 e finito poco prima di mezzanotte, non c'era Lupa a bofonchiare e dare indicazioni ai sui attori e neppure il fantasma di Grotowski, per il quale l'Unesco, nel decennale della sua scomparsa, consacrava questo 2009 come "Anno Grotowski", piuttosto un pubblico numeroso assiepato in ogni posto d'una immensa sala degli austeri Studi Cinematografici di foggia piuttosto nazista alla periferia di Wroclaw. Un fantasy o un reality tipo Grande Fratello (in particolare la prima parte) ispirato al lavoro di Andy Warhol nella sua ampia Factory frequentata da donne vampiro, sdolcinati omosessuali, qualche bel maschio, travestiti disinibiti, drogati, una ventina di personaggi colorati e bislacchi, sempre sopra le righe, filmati senza soste e senza veli da Paul Morissey ( qui vestito da Zbigniew W. Kaleta) e da altri operatori, i cui molti spunti faranno parte in un secondo momento, come si sa, di alcuni film come Flesh e Trash sul mondo degradato e carnale di Warhol qui interpretato con grande senso comico, infantile, ludico, anche timido e sfrontato da Piotr Skiba. I protagonisti seduti e distesi scompostamente in tutte le posizioni, fumano di continuo di fronte al pubblico, parlano al telefonino dei loro fatti e le loro immagini filmate in diretta appaiono su un grande schermo in fondo la scena. L'improvvisazione gioca un ruolo importante e il mistero della vita arriva attraverso la sua parodia. Lo spettacolo va avanti tra esibizionismi, solitudini, pornografia e voyeurismo e sono di grandi ilarità le scene che ritraggono un giornalista del New York Times (Szymon Kaczmarek) intervistare Warhol con risposte più che evasive da parte di quest'ultimo; ancora Warhol svegliato di prima mattina dall'amica Brigid (Iwona Bielska) oltremodo loquace che continua a parlare senza sosta, mentre lui tra acrobazie varie riesce a fare colazione spalmando di marmellata le sue fette di pane, a fare pipì, finanche ad avere l'ispirazione di ritrarre su una tela una sedia con i colori della bandiera americana. Lo spettacolo va avanti stancamente quasi al ralenti con la bionda Edi di Sandra Korzeniak, la Nico di Katatarzyna Warnke e fino alla fine non succede più niente.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>FAHRENHEIT 451 - regia Luca Ronconi2008-03-01T01:00:00+01:002008-03-01T01:00:00+01:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/2161-sipario-recensioni-farenheit-451.htmlDomenico Rigotti<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/b96b0675996074d026b87e19f230d72d_S.jpg" alt="Fahrenheit 451" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Ray Bradbury</strong><br /><strong>versione teatrale tradotta da Monica Capuani e Daniele D'Angelo</strong><br /><strong>un progetto di Luca Ronconi ed Elisabetta Pozzi</strong><br /><strong>con Elisabetta Pozzi, Alessandro Benvenuti, Fausto Russo Alesi, Melania Giglio, Maria Grazia Mandruzzato</strong><br /><strong>e con Stefano Alessandroni, Fortunato Cerlino, Mariangela Granelli, Michele Maccagno, Andrea Simonetti, Carlotta Viscovo</strong><br /><strong>regia: Luca Ronconi, scene: Tiziano Santi, costumi: Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi, suono: Daniel D'Angelo, luci: Sergio Rossi, regista assistente: Carmelo Rifici, movimenti: Alessio Romano</strong><br /><strong>Torino, Limone Fonderie Teatrali di Moncalieri, dal 21 aprile al 06 maggio 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Il Messaggero, 1 marzo 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>"Fahrenheit 451", libri</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>al rogo che commedia</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Una fantasticheria di figure animate. Ma dietro, fra incendi e agguati del Segugio Meccanico, c'è il mondo di Fahrenheit 451, il romanzo fantascientifico di Ray Bradbury, del 1953, dall'autore stesso riscritto per il teatro e poi diventato film (nel 1967) ad opera di Francois Truffaut, interpreti Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack e Anton Diffring.</p> <p style="text-align: justify;">Luca Ronconi debuttò, con lo spettacolo dedicato a questo classico, il 21 aprile dell'anno scorso alle Fonderie Limone di Moncalieri, in occasione della rassegna "Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma". Il lungo viaggio dell'allestimento è approdato il 15 febbraio all'Argentina di Roma, dove replica ancora oggi e domani. Interpreti principali, la sempre ottima Elisabetta Pozzi (corresponsabile del progetto), Alessandro Benvenuti e Fausto Russo Alesi.</p> <p style="text-align: justify;">L'ambiente di Fahrenheit è un mondo organizzato, lindo, dominato dalla televisione, nel quale è vietato possedere e leggere libri. Contempla e mantiene, anzi, un corpo di vigili del fuoco il cui compito non è spegnere, bensì appiccare incendi, polverizzando, con falò al kerosene, volumi e biblioteche. Eppure la magia della carta stampata riesce a trasfondere brama di sapere anche negli umani votati alla distruzione della Cultura. Che imparano a memoria i testi e diventano, intesi poeticamente, creature-libro. Ronconi non propone né le atmosfere mitiche del romanzo, né, tantomeno, il romanticismo del film di Truffaut. Si affida piuttosto al senso intimo dell'opera che l'immaginario collettivo trasforma in memoria, lontano dal caso al quale si riferisce. Così le pagine di Bradbury diventano, in palcoscenico, commedia, con i relativi connotati, le rughe, le ingenuità, le deformazioni inutili, la fantasia, l'ironia. Un evento pieno di humour critico nel quale la mancata lettura di un libro incenerisce più e meglio di un rogo. E Fahrenheit non è più un incubo, bensì una favola piena di metafore. Scene di Tiziano Santi.</p> <p><strong>Rita Sala</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Corriere della Sera, 16 gennaio 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>La barbarie per Ronconi in un ottimo spettacolo</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Luca Ronconi portando in scena «Fahrenheit 451» di Ray Bradbury, ben individua il nucleo forte in una drammaturgia che il tempo ha reso fragile, nella descrizione del rischio di una società senza pensiero, senza cultura, senza memoria, piegata al conformismo. In un inquietante futuro, uno Stato totalitario mette al rogo i libri. Pompieri addetti ai fuochi irrompono nelle case dei lettori e riducono il «pensiero» in cenere. Lo Stato controlla tutto e tutti, e impone ritmi di vita forsennati, per svago su maxischermi nelle case scorrono incessantemente programmi televisivi, reality show interattivi dove ognuno ha il suo quarto d' ora di celebrità. Ma un pompiere, Montag che lavora con il cinico caposquadra Beatty, incontra una donna misteriosa e affascinante e da un possibile amore nasce la voglia di conoscere e capire. Si apre per lui un mondo ignoto, il mondo del sapere sostenuto da uomini che «sono i libri che amano», imparati a memoria e tramandati. I costumi sono tute e abiti d' oggi, la scena, di Tiziano Santi, è una piattaforma di grate di ferro sulle quali divampano incendi, su grandi schermi appaiono immagini di vecchi film in un «blob» ottundente, un mostro tecnologico è a caccia di «sovversivi». Elisabetta Pozzi con bravura e intensità interpreta il doppio ruolo di Clarisse, la misteriosa donna che ama la cultura e di un vecchio pavido «maestro». Inquietante il Beatty del bravissimo Alessandro Benvenuti, tormentato e attonito il Montag di Fausto Russo Alesi, in uno spettacolo che ben racconta la barbarie dell' ignoranza.</p> <p><strong>Magda Poli</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Avvenire, 24 aprile 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Non brillano i roghi di Ronconi</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Se roghi furiosi e improvvisi si levano in scena («coup de théâtre» che Luca Ronconi regala sin dall'inizio), se nella sala (e siamo nel vasto spazio delle Limone Fonderie Teatrali di Moncalieri) si spande un acre odore di kerosene, se alte ardono le fiamme dei libri che vengono bruciati, cataste intere di volumi, nessuna preoccupazione. È pronta a intervenire la squadra di vigili del fuoco capeggiata dal comandante Beatty. Soltanto che i baldanzosi pompieri di Fahrenheit 451 quei roghi non li spengono ma li attizzano. Nella società di Ray Bradbury è reato possedere qualsiasi libro. Al popolo basta per distrarsi e vivere una onnipresente televisione che sforna pazzeschi «reality show» e idioti quiz interattivi. Tutto deve essere ridotto in cenere, ordina il comandante Beatty, l'ex intellettuale passato nelle file degli incendiari. Al cui servizio opera il pompiere Montag la cui giovane moglie, Mildred, è la prima vittima di questo mondo svuotato. Montag che un giorno incontra Clarisse, e da un possibile amore si accende in lui la voglia di capire. Il giovane inizia a vivere in quella confraternita di esseri che «sono i libri che amano», libri imparati a memoria da uomini che vivono in un altrove che Ronconi colloca in platea.</p> <p style="text-align: justify;">È aspro, amaro l'apologo di Bradbury, e Ronconi - che proprio ieri è stato confermato direttore artistico del Piccolo di Milano - basandosi sulla versione teatrale dello stesso scrittore ce lo racconta con passione. Traducendolo sottoforma di una fiaba grigia e inquietante, costruendo uno di quegli spettacoli popolati di marchingegni quali solo lui sa inventare.</p> <p style="text-align: justify;">È sicuramente prodigiosa (e minacciosa) la macchina teatrale creata dal regista con il concorso di Tiziano Santi, e però lo spettacolo, produzione di ben quattro «stabili», (in testa quello di Torino) non raggiunge un risultato del tutto soddisfacente. Soffre di elefantiasi e di prolissità. Cosa che mette a dura prova gli attori pur assai bravi. In primis Elisabetta Pozzi, nel doppio ruolo di Clarisse e del vecchio Faber. Eroica poi, la prova di Fausto Russo Alesi il cui Montag riceve richiesta espressiva ma il personaggio deve ancora trovare il giusto fuoco. Così come non convince, nel ruolo di Beatty, il pur solido Alessandro Benvenuti. Da citare nel numeroso cast la presenza interessante di Melania Giglio (Mildred) e soprattutto di Maria Grazia Mandruzzato nelle vesti della vecchia signora Hudson.</p> <p><strong>Domenico Rigotti</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Giornale, 6 maggio 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Ronconi perde la sfida con «Fahrenheit»</strong></span></p> <p>da Torino</p> <p style="text-align: justify;">Il coraggioso Luca Ronconi, raccolta la sfida di riproporre in teatro su invito di Elisabetta Pozzi il libro cult di Ray Bradbury Fahrenheit 451, divenuto nel'66 l'omonimo film cult di Truffaut e, in data più recente, una logorroica pièce rivisitata senza estro dall'autore della fabula originale, si è sforzato in ogni modo nelle dichiarazioni alla stampa fornite prima dell'andata in scena di minimizzare il valore letterario dell'apologo che si è trovato tra le mani. Nulla di più conforme al vero, anche se forse tanto onesto furore autolesionista avrebbe potuto più utilmente esercitarsi sul rifiuto di metterci mano. Dal momento che la storia del pompiere Montag che, sedotto dalla vivacità culturale della giovane Clarisse, decide di abbandonare la sua professione di incendiario sovvenzionato dallo stato per bruciare i libri responsabili di far pensare l'umanità, per lui si riduce a una favola che - presumibilmente - l'ha interessato solo per l'aspetto formale e l'uso degli effetti speciali indispensabili alla rappresentazione dell'eccentrica parabola. Fondata sul potere fascinoso della parola, l'unica in grado di assicurare al genere umano la dignità che gli spetta in quanto roseau pensant come a suo tempo si espresse Pascal.</p> <p style="text-align: justify;">Peccato in quanto l'idea di misurarsi con questo tremendo problema, nell'era del crollo delle ideologie e della dimissione promossa dai media, era allettante come era indubbiamente encomiabile la scelta dello Stabile di Torino, e degli altri enti confederati a promuoverne l'allestimento. Ma cominciamo dal principio. Cosa ci mostra Ronconi, per eccellenza mago barocco del Maraviglioso, in questa sua ennesima fatica? Piazza dietro alle paratie rugginose di Tiziano Santi che si alzano a tagliola perdendosi nel cielo del teatro, un pavimento di griglie metalliche da sadica cantina dei supplizi qua e là agìta da altissime vampe di fuoco, fa calare i giallastri camici degli addetti al rogo tramutando chi li indossa in minacciose parvenze d'assalto, fa scendere i suoi monatti da pertiche più cupe di qualsiasi attrezzo di tortura, esibisce a oltranza un metallico robot fornito di due teste canine che si agita grottesco sul fondo e, quando si tratta di indicare a ludibrio massimo della scomunica dell'intelligenza il gigantesco maxischermo televisivo si diverte a proiettarci sopra, accanto a spezzoni di varia provenienza, stacchi di Suspiria di Argento e statici quadri desunti dalla Nostalgia di Veronica Voss di Fassbinder.</p> <p style="text-align: justify;">Per non parlare dei soliti arredi semoventi che vengono da Diario privato e pile di libri reduci da Infinities. Mentre, per quanto riguarda la Pozzi, splendida come non mai nei panni virili del nonno di Clarisse, si limita a impostarla come Marisa Fabbri dopo averle imposto la maschera di Franca Nuti in Ignorabimus. E gli interpreti maschili? Mai visti così spaesati come in questo trionfo della visibilità pura a cominciare da Fausto Russo Alesi e dal ridicolo Beatty di Alessandro Benvenuti.</p> <p style="text-align: justify;">FAHRENHEIT 451 - di Ray Douglas Bradbury Teatro Stabile di Torino - Piccolo Teatro di Milano - Teatro di Roma - Biondo di Palermo. Regia di Luca Ronconi. Moncalieri, Fonderia Limone, in tournée</p> <p><strong>Enrico Groppali</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/b96b0675996074d026b87e19f230d72d_S.jpg" alt="Fahrenheit 451" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Ray Bradbury</strong><br /><strong>versione teatrale tradotta da Monica Capuani e Daniele D'Angelo</strong><br /><strong>un progetto di Luca Ronconi ed Elisabetta Pozzi</strong><br /><strong>con Elisabetta Pozzi, Alessandro Benvenuti, Fausto Russo Alesi, Melania Giglio, Maria Grazia Mandruzzato</strong><br /><strong>e con Stefano Alessandroni, Fortunato Cerlino, Mariangela Granelli, Michele Maccagno, Andrea Simonetti, Carlotta Viscovo</strong><br /><strong>regia: Luca Ronconi, scene: Tiziano Santi, costumi: Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi, suono: Daniel D'Angelo, luci: Sergio Rossi, regista assistente: Carmelo Rifici, movimenti: Alessio Romano</strong><br /><strong>Torino, Limone Fonderie Teatrali di Moncalieri, dal 21 aprile al 06 maggio 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Il Messaggero, 1 marzo 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>"Fahrenheit 451", libri</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>al rogo che commedia</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Una fantasticheria di figure animate. Ma dietro, fra incendi e agguati del Segugio Meccanico, c'è il mondo di Fahrenheit 451, il romanzo fantascientifico di Ray Bradbury, del 1953, dall'autore stesso riscritto per il teatro e poi diventato film (nel 1967) ad opera di Francois Truffaut, interpreti Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack e Anton Diffring.</p> <p style="text-align: justify;">Luca Ronconi debuttò, con lo spettacolo dedicato a questo classico, il 21 aprile dell'anno scorso alle Fonderie Limone di Moncalieri, in occasione della rassegna "Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma". Il lungo viaggio dell'allestimento è approdato il 15 febbraio all'Argentina di Roma, dove replica ancora oggi e domani. Interpreti principali, la sempre ottima Elisabetta Pozzi (corresponsabile del progetto), Alessandro Benvenuti e Fausto Russo Alesi.</p> <p style="text-align: justify;">L'ambiente di Fahrenheit è un mondo organizzato, lindo, dominato dalla televisione, nel quale è vietato possedere e leggere libri. Contempla e mantiene, anzi, un corpo di vigili del fuoco il cui compito non è spegnere, bensì appiccare incendi, polverizzando, con falò al kerosene, volumi e biblioteche. Eppure la magia della carta stampata riesce a trasfondere brama di sapere anche negli umani votati alla distruzione della Cultura. Che imparano a memoria i testi e diventano, intesi poeticamente, creature-libro. Ronconi non propone né le atmosfere mitiche del romanzo, né, tantomeno, il romanticismo del film di Truffaut. Si affida piuttosto al senso intimo dell'opera che l'immaginario collettivo trasforma in memoria, lontano dal caso al quale si riferisce. Così le pagine di Bradbury diventano, in palcoscenico, commedia, con i relativi connotati, le rughe, le ingenuità, le deformazioni inutili, la fantasia, l'ironia. Un evento pieno di humour critico nel quale la mancata lettura di un libro incenerisce più e meglio di un rogo. E Fahrenheit non è più un incubo, bensì una favola piena di metafore. Scene di Tiziano Santi.</p> <p><strong>Rita Sala</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Corriere della Sera, 16 gennaio 2008</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>La barbarie per Ronconi in un ottimo spettacolo</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Luca Ronconi portando in scena «Fahrenheit 451» di Ray Bradbury, ben individua il nucleo forte in una drammaturgia che il tempo ha reso fragile, nella descrizione del rischio di una società senza pensiero, senza cultura, senza memoria, piegata al conformismo. In un inquietante futuro, uno Stato totalitario mette al rogo i libri. Pompieri addetti ai fuochi irrompono nelle case dei lettori e riducono il «pensiero» in cenere. Lo Stato controlla tutto e tutti, e impone ritmi di vita forsennati, per svago su maxischermi nelle case scorrono incessantemente programmi televisivi, reality show interattivi dove ognuno ha il suo quarto d' ora di celebrità. Ma un pompiere, Montag che lavora con il cinico caposquadra Beatty, incontra una donna misteriosa e affascinante e da un possibile amore nasce la voglia di conoscere e capire. Si apre per lui un mondo ignoto, il mondo del sapere sostenuto da uomini che «sono i libri che amano», imparati a memoria e tramandati. I costumi sono tute e abiti d' oggi, la scena, di Tiziano Santi, è una piattaforma di grate di ferro sulle quali divampano incendi, su grandi schermi appaiono immagini di vecchi film in un «blob» ottundente, un mostro tecnologico è a caccia di «sovversivi». Elisabetta Pozzi con bravura e intensità interpreta il doppio ruolo di Clarisse, la misteriosa donna che ama la cultura e di un vecchio pavido «maestro». Inquietante il Beatty del bravissimo Alessandro Benvenuti, tormentato e attonito il Montag di Fausto Russo Alesi, in uno spettacolo che ben racconta la barbarie dell' ignoranza.</p> <p><strong>Magda Poli</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Avvenire, 24 aprile 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Non brillano i roghi di Ronconi</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Se roghi furiosi e improvvisi si levano in scena («coup de théâtre» che Luca Ronconi regala sin dall'inizio), se nella sala (e siamo nel vasto spazio delle Limone Fonderie Teatrali di Moncalieri) si spande un acre odore di kerosene, se alte ardono le fiamme dei libri che vengono bruciati, cataste intere di volumi, nessuna preoccupazione. È pronta a intervenire la squadra di vigili del fuoco capeggiata dal comandante Beatty. Soltanto che i baldanzosi pompieri di Fahrenheit 451 quei roghi non li spengono ma li attizzano. Nella società di Ray Bradbury è reato possedere qualsiasi libro. Al popolo basta per distrarsi e vivere una onnipresente televisione che sforna pazzeschi «reality show» e idioti quiz interattivi. Tutto deve essere ridotto in cenere, ordina il comandante Beatty, l'ex intellettuale passato nelle file degli incendiari. Al cui servizio opera il pompiere Montag la cui giovane moglie, Mildred, è la prima vittima di questo mondo svuotato. Montag che un giorno incontra Clarisse, e da un possibile amore si accende in lui la voglia di capire. Il giovane inizia a vivere in quella confraternita di esseri che «sono i libri che amano», libri imparati a memoria da uomini che vivono in un altrove che Ronconi colloca in platea.</p> <p style="text-align: justify;">È aspro, amaro l'apologo di Bradbury, e Ronconi - che proprio ieri è stato confermato direttore artistico del Piccolo di Milano - basandosi sulla versione teatrale dello stesso scrittore ce lo racconta con passione. Traducendolo sottoforma di una fiaba grigia e inquietante, costruendo uno di quegli spettacoli popolati di marchingegni quali solo lui sa inventare.</p> <p style="text-align: justify;">È sicuramente prodigiosa (e minacciosa) la macchina teatrale creata dal regista con il concorso di Tiziano Santi, e però lo spettacolo, produzione di ben quattro «stabili», (in testa quello di Torino) non raggiunge un risultato del tutto soddisfacente. Soffre di elefantiasi e di prolissità. Cosa che mette a dura prova gli attori pur assai bravi. In primis Elisabetta Pozzi, nel doppio ruolo di Clarisse e del vecchio Faber. Eroica poi, la prova di Fausto Russo Alesi il cui Montag riceve richiesta espressiva ma il personaggio deve ancora trovare il giusto fuoco. Così come non convince, nel ruolo di Beatty, il pur solido Alessandro Benvenuti. Da citare nel numeroso cast la presenza interessante di Melania Giglio (Mildred) e soprattutto di Maria Grazia Mandruzzato nelle vesti della vecchia signora Hudson.</p> <p><strong>Domenico Rigotti</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Il Giornale, 6 maggio 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Ronconi perde la sfida con «Fahrenheit»</strong></span></p> <p>da Torino</p> <p style="text-align: justify;">Il coraggioso Luca Ronconi, raccolta la sfida di riproporre in teatro su invito di Elisabetta Pozzi il libro cult di Ray Bradbury Fahrenheit 451, divenuto nel'66 l'omonimo film cult di Truffaut e, in data più recente, una logorroica pièce rivisitata senza estro dall'autore della fabula originale, si è sforzato in ogni modo nelle dichiarazioni alla stampa fornite prima dell'andata in scena di minimizzare il valore letterario dell'apologo che si è trovato tra le mani. Nulla di più conforme al vero, anche se forse tanto onesto furore autolesionista avrebbe potuto più utilmente esercitarsi sul rifiuto di metterci mano. Dal momento che la storia del pompiere Montag che, sedotto dalla vivacità culturale della giovane Clarisse, decide di abbandonare la sua professione di incendiario sovvenzionato dallo stato per bruciare i libri responsabili di far pensare l'umanità, per lui si riduce a una favola che - presumibilmente - l'ha interessato solo per l'aspetto formale e l'uso degli effetti speciali indispensabili alla rappresentazione dell'eccentrica parabola. Fondata sul potere fascinoso della parola, l'unica in grado di assicurare al genere umano la dignità che gli spetta in quanto roseau pensant come a suo tempo si espresse Pascal.</p> <p style="text-align: justify;">Peccato in quanto l'idea di misurarsi con questo tremendo problema, nell'era del crollo delle ideologie e della dimissione promossa dai media, era allettante come era indubbiamente encomiabile la scelta dello Stabile di Torino, e degli altri enti confederati a promuoverne l'allestimento. Ma cominciamo dal principio. Cosa ci mostra Ronconi, per eccellenza mago barocco del Maraviglioso, in questa sua ennesima fatica? Piazza dietro alle paratie rugginose di Tiziano Santi che si alzano a tagliola perdendosi nel cielo del teatro, un pavimento di griglie metalliche da sadica cantina dei supplizi qua e là agìta da altissime vampe di fuoco, fa calare i giallastri camici degli addetti al rogo tramutando chi li indossa in minacciose parvenze d'assalto, fa scendere i suoi monatti da pertiche più cupe di qualsiasi attrezzo di tortura, esibisce a oltranza un metallico robot fornito di due teste canine che si agita grottesco sul fondo e, quando si tratta di indicare a ludibrio massimo della scomunica dell'intelligenza il gigantesco maxischermo televisivo si diverte a proiettarci sopra, accanto a spezzoni di varia provenienza, stacchi di Suspiria di Argento e statici quadri desunti dalla Nostalgia di Veronica Voss di Fassbinder.</p> <p style="text-align: justify;">Per non parlare dei soliti arredi semoventi che vengono da Diario privato e pile di libri reduci da Infinities. Mentre, per quanto riguarda la Pozzi, splendida come non mai nei panni virili del nonno di Clarisse, si limita a impostarla come Marisa Fabbri dopo averle imposto la maschera di Franca Nuti in Ignorabimus. E gli interpreti maschili? Mai visti così spaesati come in questo trionfo della visibilità pura a cominciare da Fausto Russo Alesi e dal ridicolo Beatty di Alessandro Benvenuti.</p> <p style="text-align: justify;">FAHRENHEIT 451 - di Ray Douglas Bradbury Teatro Stabile di Torino - Piccolo Teatro di Milano - Teatro di Roma - Biondo di Palermo. Regia di Luca Ronconi. Moncalieri, Fonderia Limone, in tournée</p> <p><strong>Enrico Groppali</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>FAKE – regia Mariano Lamberti2023-02-07T19:29:20+01:002023-02-07T19:29:20+01:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/14925-fake-regia-mariano-lamberti.htmlRoberta D'Agostino<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/6b269a3e5f06231894904125338c439f_S.jpg" alt="Lorenzo Balducci in "Fake", regia Mariano Lamberti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>Di Riccardo Pechini e Mariano Lamberti<br /></strong><strong>Con Lorenzo Balducci<br /></strong><strong>Regia Mariano Lamberti<br /></strong><strong>Produzione Teatro segreto<br /></strong><strong>Teatro Sannazaro Napoli dal 27 al 29 gennaio 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 28 gennaio 2023</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Vivere o postare e taggare? Questo è il dilemma che caratterizza la nostra epoca. Realtà o rappresentazione della realtà? Già Parmenide con il suo pensiero: "L'essere è e non può non essere”. “Il non essere non è e non può essere”. Il non essere non esiste" si interrogava su questo.<br />Lorenzo Balducci al teatro Sannazaro di Napoli con <em>Fake</em> spettacolo scritto da Riccardo Pechini e Mariano Lamberti, che cura anche la regia, racconta ciò.<br />E ci vuole coraggio e bravura per affrontare una prova attoriale come quella prevista per questo spettacolo. In esso un condensato di 'schiaffi in faccia al pubblico' che ride, ma riflette. Un one man show di grande efficacia che valorizza le capacità di Balducci che regge lo show con incredibile bravura.<br /><em>Fake</em> prende di mira il mondo dello spettacolo e in particolar modo la vita degli attori e di tutte le numerose categorie che costellano questa galassia: gli onnipresenti, i raccomandati, i “cani”, i caratteristi a vita, i sopravvalutati, gli egomaniaci e via dicendo. E ancora, Balducci si sofferma sul mondo dei provini, dei set televisivi, degli immancabili capricci delle “dive”, delle produzioni.<br />Tutto questo citando, imitando personaggi famosi, (bellissima la parentesi dedicata a Pasolini e quella per Meryl Streep ), riflettendo sulla loro recitazione, spesso involontariamente comica nel drammatico o, all’opposto, “drammatica” nel comico.<br />Oltre ad essere una critica, molto ben ideata e scritta, al mondo dello spettacolo Fake è una riflessione profonda sul modo in cui noi stessi viviamo, ossessionati dai social e dai loro meccanismi perversi e diabolici.<br />La regia è disegnata su Balducci, un perfetto vestito che accoglie alla perfezione il suo modo di stare in scena: i suoi ritmi, incalzanti, più intimi, un continuo alternarsi di umori, di velocità, di sensazioni.<br />Balducci è vero sul palco, decide di raccontarsi e lo fa a cuore aperto, eppure la sua vita non è stata facile. Parla del suo percorso umano e professionale, dal suo coming out pubblico che gli chiuse numerose porte, il suo inizio come attore molto richiesto, poi travolto da una serie di scandali familiari che lo hanno fatto diventare una sorta di reietto, soprattutto per le raccomandazioni, fatte spesso a sua insaputa, che lo imposero in alcune produzioni. Ma da qui parte la sua rinascita, il suo colpo di genio: l’invenzione di un personaggio gender fluid che spopola nei social e ne decreta il successo a teatro.<br />Un mitra che spara colpi sul pubblico, attirandoli nella sua rete di comicità e verità, ma anche un contenitore di emozioni, quelle vere.<br />Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi dentro e che ci comprenda nel profondo, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che sappia anche riconoscere la nostra stanchezza.<br />Come è bello quando sul palco trionfa la verità.<br />Bravo, davvero, Balducci un artista completo, coraggioso e magnetico.</p> <p><strong>Roberta D’Agostino</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/6b269a3e5f06231894904125338c439f_S.jpg" alt="Lorenzo Balducci in "Fake", regia Mariano Lamberti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>Di Riccardo Pechini e Mariano Lamberti<br /></strong><strong>Con Lorenzo Balducci<br /></strong><strong>Regia Mariano Lamberti<br /></strong><strong>Produzione Teatro segreto<br /></strong><strong>Teatro Sannazaro Napoli dal 27 al 29 gennaio 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 28 gennaio 2023</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Vivere o postare e taggare? Questo è il dilemma che caratterizza la nostra epoca. Realtà o rappresentazione della realtà? Già Parmenide con il suo pensiero: "L'essere è e non può non essere”. “Il non essere non è e non può essere”. Il non essere non esiste" si interrogava su questo.<br />Lorenzo Balducci al teatro Sannazaro di Napoli con <em>Fake</em> spettacolo scritto da Riccardo Pechini e Mariano Lamberti, che cura anche la regia, racconta ciò.<br />E ci vuole coraggio e bravura per affrontare una prova attoriale come quella prevista per questo spettacolo. In esso un condensato di 'schiaffi in faccia al pubblico' che ride, ma riflette. Un one man show di grande efficacia che valorizza le capacità di Balducci che regge lo show con incredibile bravura.<br /><em>Fake</em> prende di mira il mondo dello spettacolo e in particolar modo la vita degli attori e di tutte le numerose categorie che costellano questa galassia: gli onnipresenti, i raccomandati, i “cani”, i caratteristi a vita, i sopravvalutati, gli egomaniaci e via dicendo. E ancora, Balducci si sofferma sul mondo dei provini, dei set televisivi, degli immancabili capricci delle “dive”, delle produzioni.<br />Tutto questo citando, imitando personaggi famosi, (bellissima la parentesi dedicata a Pasolini e quella per Meryl Streep ), riflettendo sulla loro recitazione, spesso involontariamente comica nel drammatico o, all’opposto, “drammatica” nel comico.<br />Oltre ad essere una critica, molto ben ideata e scritta, al mondo dello spettacolo Fake è una riflessione profonda sul modo in cui noi stessi viviamo, ossessionati dai social e dai loro meccanismi perversi e diabolici.<br />La regia è disegnata su Balducci, un perfetto vestito che accoglie alla perfezione il suo modo di stare in scena: i suoi ritmi, incalzanti, più intimi, un continuo alternarsi di umori, di velocità, di sensazioni.<br />Balducci è vero sul palco, decide di raccontarsi e lo fa a cuore aperto, eppure la sua vita non è stata facile. Parla del suo percorso umano e professionale, dal suo coming out pubblico che gli chiuse numerose porte, il suo inizio come attore molto richiesto, poi travolto da una serie di scandali familiari che lo hanno fatto diventare una sorta di reietto, soprattutto per le raccomandazioni, fatte spesso a sua insaputa, che lo imposero in alcune produzioni. Ma da qui parte la sua rinascita, il suo colpo di genio: l’invenzione di un personaggio gender fluid che spopola nei social e ne decreta il successo a teatro.<br />Un mitra che spara colpi sul pubblico, attirandoli nella sua rete di comicità e verità, ma anche un contenitore di emozioni, quelle vere.<br />Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi dentro e che ci comprenda nel profondo, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che sappia anche riconoscere la nostra stanchezza.<br />Come è bello quando sul palco trionfa la verità.<br />Bravo, davvero, Balducci un artista completo, coraggioso e magnetico.</p> <p><strong>Roberta D’Agostino</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>FALSE CONFIDENZE (LE) - regia Toni Servillo2007-03-28T02:00:00+02:002007-03-28T02:00:00+02:00https://www.sipario.it/recensioniprosaf/item/2172-sipario-recensioni-false-confidenze-le.htmlFranco Cordelli<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/29666f18c8ad683bd36c77f4cd10ec88_S.jpg" alt="Le false confidenze" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Pierre Marivaux</strong><br /><strong>regia: Toni Servillo</strong><br /><strong>con Anna Bonaiuto, Andrea Renzi, Gigio Morra, Betti Pedrazzi, Toni Servillo, Monica Nappo, Lele Vezzoli, Salvatore Cantalupo, Francesco Paglino</strong><br /><strong>traduzione: Cesare Garboli</strong><br /><strong>scene: Toni Servillo, Daniele Spisa, costumi: Ortensia De Francesco, luci: Pasquale Mari, suono: Daghi Rondanini</strong><br /><strong>Roma, Teatro India, maggio 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Corriere della Sera, 28 maggio 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Piccola cronaca di un' impresa: raggiungere un teatro pubblico</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Marivaux, come tutti sanno, è un autore elegante. Toni Servillo, com' è nel suo stile, lo rende leggero, una libellula. Dunque, a distanza di qualche tempo (anno), desideravo rivedere il suo «Le false confidenze», in scena all' India. Non è stata un' impresa facile. Per l' accredito ho cominciato a telefonare tre settimane fa. Ho telefonato quasi tutti i giorni, mattina o pomeriggio. All' Argentina (il teatro di riferimento) non risponde mai nessuno. Poiché sapevo che era tutto prenotato fino all' ultimo giorno, ieri, cominciavo a dubitare che, quello spettacolo, lo avrei rivisto. Alla lettera, non sapevo con chi comunicare. Sabato pomeriggio mi sono detto: preché non provare con l' India, direttamente? Impossibile anche in questo caso. Niente ufficio stampa. Niente botteghino, il telefono occupato fisso. Certo, mi sono detto, è tutto pieno, il centralino non serve più, il botteghino è chiuso. Allora, impavido mi sono recato al teatro, saltando i passaggi intermedi. C' era una lunga e ordinata fila, mai vista all' India, per nessuno spettacolo. Mi sono accostato al personale di sala. Ho chiesto se gentilmente mi trovavano un posto, uno strapuntino, ero disposto a sedermi per terra. La fortuna è stata d' aver trovato una non formale comprensione da parte di persone che, del resto, conosco da anni. Sono riuscito a entrare. Mi sono addirittura seduto in prima fila. Ho rivisto «Le false confidenze». Ma l' ho davvero rivisto? La mia rabbia non diminuiva. Continuavo a chiedermi: è normale che il maggior teatro della città, uno dei più sovvezionati teatri d' Italia, non sia fornito delle più normali capacità di accoglienza? È inutile che il ministro Rutelli si dia tanto da fare per le sue vetrine se poi l' ordinaria amministrazione è questa! Il ministro beninteso non c' entra e non è detto che il suo festival del teatro napoletano, cioè: il suo festival napoletano del teatro, sia una vetrina, questo lo diranno i fatti. Il vero problema è la confusione amministrativa, organizzativa e infine politica in cui versa il sistema teatrale, di cui il piccolo episodio che ho raccontato è un indice. In quanto a Marivaux, non ha più importanza. In quanto a Servillo, lo ammiro senza condizioni. Egli asciuga i testi in modo formidabile. Li prosciuga, ne mostra il nerbo, l' essenziale. Forse, addirittura, eccede. Se si vede troppo l' osso si finisce con il credere che non vi siano più incidenti di percorso, gli incidenti della carne. Ma ciò egli fa per offrire tutto il rilievo possibile all' arte della recitazione: con una strizzata d' occhio, con una fuga dietro le quinte, con la punta di un piede appena intravista, lo spettatore capisce (o deve capire) ciò che del testo è scomparso o in esso è soltanto alluso. Mirabile. Non disponendo di locandina, come conseguenza di quanto fin qui raccontato, non posso menzionare gli attori che non ho riconosciuto. Seriamente me ne scuso, poiché lo avrebbero meritato. Ricorderò dunque la sottile strategia d' assedio di Anna Bonaiuto (ella assedia ma finge d' esserlo); i rossori, le timidezze, gli impacci adolescenziali di Monica Nappo; la impettit ritrosia di Andrea Renzi, che crede d' essere povero; la sottigliezza argomentativa (gestuale e verbale) di Toni Servillo, che ben s' accompagna con l' allegria di Gigio Morra.</p> <p><strong>Franco Cordelli</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/29666f18c8ad683bd36c77f4cd10ec88_S.jpg" alt="Le false confidenze" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Pierre Marivaux</strong><br /><strong>regia: Toni Servillo</strong><br /><strong>con Anna Bonaiuto, Andrea Renzi, Gigio Morra, Betti Pedrazzi, Toni Servillo, Monica Nappo, Lele Vezzoli, Salvatore Cantalupo, Francesco Paglino</strong><br /><strong>traduzione: Cesare Garboli</strong><br /><strong>scene: Toni Servillo, Daniele Spisa, costumi: Ortensia De Francesco, luci: Pasquale Mari, suono: Daghi Rondanini</strong><br /><strong>Roma, Teatro India, maggio 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Corriere della Sera, 28 maggio 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Piccola cronaca di un' impresa: raggiungere un teatro pubblico</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Marivaux, come tutti sanno, è un autore elegante. Toni Servillo, com' è nel suo stile, lo rende leggero, una libellula. Dunque, a distanza di qualche tempo (anno), desideravo rivedere il suo «Le false confidenze», in scena all' India. Non è stata un' impresa facile. Per l' accredito ho cominciato a telefonare tre settimane fa. Ho telefonato quasi tutti i giorni, mattina o pomeriggio. All' Argentina (il teatro di riferimento) non risponde mai nessuno. Poiché sapevo che era tutto prenotato fino all' ultimo giorno, ieri, cominciavo a dubitare che, quello spettacolo, lo avrei rivisto. Alla lettera, non sapevo con chi comunicare. Sabato pomeriggio mi sono detto: preché non provare con l' India, direttamente? Impossibile anche in questo caso. Niente ufficio stampa. Niente botteghino, il telefono occupato fisso. Certo, mi sono detto, è tutto pieno, il centralino non serve più, il botteghino è chiuso. Allora, impavido mi sono recato al teatro, saltando i passaggi intermedi. C' era una lunga e ordinata fila, mai vista all' India, per nessuno spettacolo. Mi sono accostato al personale di sala. Ho chiesto se gentilmente mi trovavano un posto, uno strapuntino, ero disposto a sedermi per terra. La fortuna è stata d' aver trovato una non formale comprensione da parte di persone che, del resto, conosco da anni. Sono riuscito a entrare. Mi sono addirittura seduto in prima fila. Ho rivisto «Le false confidenze». Ma l' ho davvero rivisto? La mia rabbia non diminuiva. Continuavo a chiedermi: è normale che il maggior teatro della città, uno dei più sovvezionati teatri d' Italia, non sia fornito delle più normali capacità di accoglienza? È inutile che il ministro Rutelli si dia tanto da fare per le sue vetrine se poi l' ordinaria amministrazione è questa! Il ministro beninteso non c' entra e non è detto che il suo festival del teatro napoletano, cioè: il suo festival napoletano del teatro, sia una vetrina, questo lo diranno i fatti. Il vero problema è la confusione amministrativa, organizzativa e infine politica in cui versa il sistema teatrale, di cui il piccolo episodio che ho raccontato è un indice. In quanto a Marivaux, non ha più importanza. In quanto a Servillo, lo ammiro senza condizioni. Egli asciuga i testi in modo formidabile. Li prosciuga, ne mostra il nerbo, l' essenziale. Forse, addirittura, eccede. Se si vede troppo l' osso si finisce con il credere che non vi siano più incidenti di percorso, gli incidenti della carne. Ma ciò egli fa per offrire tutto il rilievo possibile all' arte della recitazione: con una strizzata d' occhio, con una fuga dietro le quinte, con la punta di un piede appena intravista, lo spettatore capisce (o deve capire) ciò che del testo è scomparso o in esso è soltanto alluso. Mirabile. Non disponendo di locandina, come conseguenza di quanto fin qui raccontato, non posso menzionare gli attori che non ho riconosciuto. Seriamente me ne scuso, poiché lo avrebbero meritato. Ricorderò dunque la sottile strategia d' assedio di Anna Bonaiuto (ella assedia ma finge d' esserlo); i rossori, le timidezze, gli impacci adolescenziali di Monica Nappo; la impettit ritrosia di Andrea Renzi, che crede d' essere povero; la sottigliezza argomentativa (gestuale e verbale) di Toni Servillo, che ben s' accompagna con l' allegria di Gigio Morra.</p> <p><strong>Franco Cordelli</strong><span style="color: #006699; font-size: 12pt;"></span></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>