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EMPEDOCLE, IL CARCERIERE DEL VENTO - regia Mario Mattia Giorgetti

Empedocle, il carceriere del vento Empedocle, il carceriere del vento Regia Mario Mattia Giorgetti

Opera mista per narrazione, prosa, musica, danza Libretto: Claudio Forti
Musiche: Antonio Fortunato
Adattamento drammaturgico e regia: Mario Mattia Giorgetti
Coreografie: Elisa Ilari
Interpreti: Pino Caruso (il Narratore), Mario Mattia Giorgetti (Empedocle), Ki Ok Lee (soprano – Pantea), Alessandro Tirotta (basso – Pausania)
Orchestra da Camera del Mediterraneo diretta da Stefano Mazzoleni
Corpo di Ballo "Officina Tersicore"
Palermo, Circuito del Mito, 9 agosto, 2010

www.Sipario.it, 26 settembre 2010

Il pensiero che diventa visione e la visione che si tramuta in pensiero, la ragione si scioglie in poesia, poi in musica, si spinge a modellarsi in danza. Così prende forma e sostanza la figura del filosofo Empedocle, nell'opera portata in scena, per il Circuito del Mito, da Mario Mattia Giorgetti.

L'opera si dipana come un sogno di parole, interrogativi sul senso assoluto dell'esistenza, sulla radice delle cose, sull'archè fondamentale che origina il tutto e ne spiega il movimento. Un sapiente gioco di incastri fra parole, musica e danza che mantiene viva la pulsione intellettuale e la tensione visiva, sulle taglienti corde di una essenzialità concettuale mai esteriore.
La figura del filosofo agrigentino, narrata con voce semiseria dal grande attore Pino Caruso, e cui lo stesso regista presta corpo e voce in una lontananza che lo rende ancora più assoluto, viene fuori come un pensatore moderno, alla ricerca di una verità ultima, ma, forse, mai troppo definitiva.
Questa la sfaccettatura che riesce a dargli la sensibilità del drammaturgo Claudio Forti, che mette in rilievo il contrasto tra  una visione filosofico-scientifica del mondo e una visione mistico-religiosa della realtà di derivazione orfico-pitagorica.
Il rigore epistemico si mescola alla magia e allo slancio mistico che avverte, panteisticamente, l'unità della vita del cosmo, ma che si sente schiacciato da una fatalità priva di spiragli in quanto governata da forze oscure e misteriose. Empedocle viene concepito come un pensatore che sonda l'abisso, che sfida le certezze consolidate, medico e mago, un titano, un demone decaduto, un Prometeo che sfida gli dei, ma anche e soprattutto come un uomo, che, davanti la potenza del cosmo, sente di appartenervi, che avverte e soffre l'inquietudine che sale dal fondo oscuro e irrazionale dell'universo.
Il vibrante tessuto musicale, cadenzato e rarefatto, composto da Antonio Fortunato ed eseguito dall'"Orchestra da Camera del Mediterraneo" diretta dal Maestro Stefano Mazzoleni, offre un perfetto spunto alle voci, adamantine e smaglianti della soprano coreana Ki Ok Lee, nelle  vesti di Pentea, e del basso Alessandro Tirotta, nelle vesti di Pausania.
Perfetta la partitura gestuale affidata al Corpo di ballo "Officina Tersicore" su coreografie di Elisa Ilari che imprime nei movimenti un tratto estetico nitido e simbolicamente evocativo.

Su un fondo nudo ed essenziale, si scatenano ed esplodono i quattro elementi, terra, acqua, aria, fuoco. I corpi seguono millimetriche prospettive, ora vorticose, ora suadenti e rarefatte. A rendere ammalianti gli schemi compositivi delle danze è il distillare di immaginazione e visualizzazione, di pensiero e materia, di forma ed energia, ora ricerca l'armonia, ora il caos, ora le figure, ora le spezzature e le dissonanze; le movenze sembrano ora maestose, ora impercettibili, eteree, quintessenziate come fruscii del vento.
Così dalla molteplicità si forma l'unità e l'unità a sua volta si divide nella molteplicità, figure circolari (cerchio=armonia), movimenti vorticosi di unione e di separazione, il divenire, la trasformazione delle cose nella ciclicità di un riavvolgersi del tempo.
Il cosmo è il teatro di una drammatica lotta tra filia e neikos, amore e odio, attrazione e repulsione, spirito e materia, il provvisorio e l'immanente, l'unità e la molteplicità, la nascita e la morte. Il divenire ciclico è dato da opposti che si attraggono.
Sul finale, nella visione apocalittica del vulcano, la morte di Empedocle prende un carattere sacrificale, diventa un rito simbolicamente evocativo, egli sparisce come un semidio, scompare alla vista dei mortali per essere assunto tra gli dei come un martire della scienza lanciatosi dentro il cratere in eruzione. Essa non è fine, ma ritorno al Tutto, riconciliazione con il cosmo e con dio, riunione di ciò che è diviso.

Filippa Ilardo

Ultima modifica il Giovedì, 19 Settembre 2013 08:36

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