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ENRICO IV - regia Carlo Cecchi

Carlo Cecchi in "Enrico IV", adattamento e regia Carlo Cecchi. Foto Matteo Delbó Carlo Cecchi in "Enrico IV", adattamento e regia Carlo Cecchi. Foto Matteo Delbó

di Luigi Pirandello
Adattamento e regia, Carlo Cecchi
Scene, Sergio Tramonti
Costumi, Nanà Cecchi
Luci, Camilla Piccioni
Personaggi ed interpreti:
Enrico IV, Carlo Cecchi
La Marchesa Matilde Spina, Angelica Ippolito
Sua figlia Frida, Chiara Mancuso
Il Marchese Carlo Di Nolli, Remo Stella
Il Barone Tito Belcredi, Roberto Trifirò
Il Dottor Dionisio Genoni, Gigio Morra
Finti consiglieri segreti, Vincenzo Ferrera, Davide Giordano, Edoardo Coen, Dario Caccuri
al Teatro Verdi di Pordenone l'11 gennaio 2019

www.Sipario.it, 15 gennaio 2019

Alberto Savinio, negli anni tra le due guerre mondiali, soleva difendere Pirandello perché apprezzava, tra le molte qualità dello scrittore siciliano, la sua "fiducia nella follia". Il tema della pazzia, nell'Enrico IV, è esplorato in tutta la sua estensione, investendo buona parte dell'esistenza dell'aristocratico di cui conosciamo solo il nome del personaggio storico in cui si è identificato per ben 12 anni dopo la caduta da cavallo nel corso di una cavalcata storica organizzata in tempi di gioventù. Follia reale e follia simulata (per altri 8 anni, dopo i 12, Enrico IV, "rinsavito", prosegue nel suo travestimento) si intrecciano, nel corso della pièce, alimentando la classica dialettica pirandelliana di realtà-finzione e vita-forma.
La fastosa ambientazione della sala di corte del Castello di Goslar nell'undicesimo secolo, che rievoca, con rigorosa e didascalica precisione professorale, la storica vicenda di Enrico IV, imperatore di Germania scomunicato da Papa Gregorio VII (e perciò recatosi penitente a Canossa presso il castello della Contessa Matilde di Toscana), e si ispira polemicamente alla voga di inizio Novecento dei drammi medievali (dei vari Sem Benelli, Nino Berrini ecc.) è sempre stata preservata nelle messinscene della pièce, perché giustificata dalla "erudita follia" dell'aristocratico, assecondata da parenti e amici, e perché fornisce un insostituibile apporto di ludica ambiguità alla presenza scenica del protagonista e quindi alla prova recitativa del suo interprete, sempre in bilico tra follia sragionante e lucidità, crudeltà ed elegia, illusione e disincanto, maestosità e derelizione. Da questo punto di vista, Enrico IV, con i suoi numerosi ed estesi monologhi, ha sempre offerto al grande attore l'opportunità di sondare le risonanze e significazioni ulteriori della disarticolazione umorista pirandelliana, di cui la pièce costituisce un esempio principe: da Ruggero Ruggeri, per il quale fu scritta originariamente nel 1921 a Lamberto Picasso, da Renzo Ricci a Salvo Randone, da Tino Carraro a Romolo Valli, per citarne solo alcuni; e fuori d'Italia, da George Pitoeff a Max Von Sydow, da Rex Harrison a Jean Vilar.
Anche Carlo Cecchi, nella sua riscrittura (più di un adattamento) del capolavoro pirandelliano, pur sfoltendo la parte monologica del protagonista, non ha rinunciato all'effetto magnificente e solenne del decòr, costituito dalla scena mobile di Sergio Tramonti, due alte pareti ad angolo rappresentanti, a turno, la sala del castello e la parte posteriore delle quinte teatrali, e grazie anche ai sontuosi ed eleganti costumi di Nanà Cecchi. La conseguenza immediata dei tagli operati da Cecchi sul testo, ridotto da tre atti ad un lungo atto unico, è stata il bilanciamento della parte riservata al protagonista con quella degli altri due gruppi di personaggi: i quattro giovani assoldati, nelle vesti di consiglieri di Stato, per assistere Enrico IV nella sua follia-recita storica, e il gruppo di parenti e conoscenti composto dal giovane Marchese Carlo di Nolli (nipote di Enrico IV), la sua fidanzata Frida, la Marchesa Matilde Spina (madre di Frida e amata in gioventù da Enrico IV), Il Barone Tito Belcredi (amico-compagno di Matilde Spina), il Dottore Dionisio Genoni, incaricato di tentare di guarire il "malato" dalla sua bizzarra forma di pazzia. Ciò non ha impedito però che il focus sia rimasto sul protagonista attorno a cui continuano a ruotare la vicenda congegnata dall'autore e gli altri personaggi. La peculiarità dell'intervento di Cecchi, nell'inedita veste di drammaturgo, sta nello spostamento del baricentro del dramma dell'Enrico IV dal piano esistenziale del personaggio centrale a quello metateatrale. Nel testo di Pirandello, follia reale e follia simulata sono parte di una complessiva tragedia sia individuale, per la romantica e sofferta vicenda sentimentale del protagonista con Matilde, travestita da Contessa Matilde di Toscana nella fatale cavalcata storica, sia sociale, per la diversità di cultura e sensibilità del protagonista rispetto all'ambiente aristocratico di appartenenza, che amplificandosi e caricandosi di implicazioni filosofiche si configura come demistificazione di comportamenti e mentalità correnti, e come rovesciamento sovversivo delle categorie di "maschera" e "follia". Nella versione di Cecchi, la follia reale conseguente alla caduta da cavallo viene sostituita dalla scelta del protagonista di "fingersi pazzo" perché definitivamente disgustato dei suoi contemporanei ma soprattutto perché innamorato del teatro (da cui è rimasto folgorato interpretando una scena dell'Amleto in cui uno degli attori convocati dal principe danese recita la storia dell'assassinio di Priamo di fronte al quale Pirro per un istante rimane immobile con la spada sguainata). Così come, quindi, nell'opera di Pirandello l'Uomo-folle (poi consapevole) si fa attore per rifugiarsi in un'ambivalente dimensione di libertà e di prigionia in cui è ancora possibile vivere il sogno della giovinezza e dell'amore, nella versione di Cecchi, l'Attore-folle (da sempre consapevole) vive l'ambivalente dimensione esistenziale del teatro come spazio di libertà ("è l'unico luogo in cui si può ancora veramente giocare" dice l'Attore interprete di Enrico IV in un significativo passaggio) ma anche prigione in cui la magia della rappresentazione si è inspiegabilmente eclissata (in un altro passaggio emblematico l'Attore-Enrico IV racconta di come un giorno, durante uno spettacolo, intorno a lui improvvisamente tutto "si sia tramutato in cenere"). L'autobiografismo latente nell'Enrico IV pirandelliano, ravvisabile nello struggente sentimento del tempo irrimediabilmente trascorso senza che la vita sia stata pienamente vissuta mi sembra si rifletta nel lirismo di cui Cecchi ha intriso l'interpretazione del suo Enrico IV, facendo un bilancio, forse, della sua esperienza di artista teatrale di cui ha esplorato fino in fondo il fascino e il mistero.
La ricaduta di tale riscrittura drammaturgica sulla regia è stata lo sviluppo del lato comico della vicenda dal momento che l'Attore-Enrico IV è diventato una sorta di prim'attore-capocomico di una sgangherata compagnia formata da giovani attori catapultati nel mercato teatrale (i quattro "consiglieri di stato" interpretati con spigliatezza e incisività da Vincenzo Ferrera, Davide Giordano, Edoardo Coen e Dario Caccuri) che ha manifestato una farsesca inadeguatezza alla rappresentazione dei classici in versione "theatrically correct", e d'altro canto, riecheggiando la tradizione dell'avanspettacolo nella sua elaborazione eduardiana, ha fatto emergere, in alcuni passaggi della magistrale interpretazione di Cecchi, l'asciutta e tesa drammaticità del travaglio interiore del suo personaggio-Attore, suggerito con cenni e pause di sottile suggestione quando si è rivolto, non a caso, ad Angelica Ippolito nei panni di un'attrice ibseniana interprete, in questa occasione, della parte di Matilde Spina. La mescolanza di comicità e drammaticità ha caratterizzato anche l'ottima prova recitativa di quest'ultima che ha restituito un ritratto di donna-attrice dal carattere sanguigno e risoluto, lasciando però trapelare un'intima trepidazione per le sorti dell"ex-pretendente" e, parallelamente, dell'Attore-Enrico IV. . Su un'analoga linea di articolazione brechtiana del personaggio, mediata dalla lezione eduardiana, si sono tenuti, in un perfetto concertato, anche gli altri attori, dosando la tipizzazione sociale con la precisazione dei tratti individuali, evitando così ogni rischio di psicologismo. Gigio Morra ha reso credibile la vocazione scientifica del Dottor Genoni cogliendo la malinconia soggiacente allo stato di alterazione mentale del "paziente-Enrico IV", senza rinunciare alla caratterizzazione farsesca, in particolare nella sua dimostrazione di pusillanimità nell'affrontare da solo il pericoloso imperatore. Roberto Trifirò ha sbozzato il ruolo del Barone Belcredi venando di ironico cinismo il suo antagonismo nei confronti di Enrico IV e della stessa Matilde. Remo Stella e Chiara Mancuso, nei panni rispettivamente del Marchese Di Nolli e di Frida hanno costantemente partecipato con attenzione e viva preoccupazione alla fallimentare iniziativa dei "soccorritori" dando un contributo essenziale al gioco scenico di gruppo.

Lorenzo Mucci

Ultima modifica il Venerdì, 18 Gennaio 2019 19:38

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