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EMIGRANTI - regia Paolo Orlandelli

"Emigranti", regia regia Paolo Orlandelli "Emigranti", regia regia Paolo Orlandelli

di Sławomir Mrożek
con Ivan Giambirtone e Rosario Altavilla
regia di Paolo Orlandelli
al Clan Off Teatro di Messina 22-23 aprile 2017

www.Sipario.it, 23 aprile 2017

La migliore stroncatura - diceva Umberto Eco - è quella che non si scrive. Disattendendo questo monito dell'illustre semeiotico di Alessandria, ho voluto ugualmente occuparmi di Emigranti : una pièce del 1974 del drammaturgo polacco Slawomir Mrozék, presentata adesso nello spazio in mattoni rossi del Clan Off Teatro di Messina diretta da Paolo Orlandelli con Ivan Gianbirtone e Rosario Altavilla protagonisti. Premetto d'essere stato fra i pochi ad aver assistito alla sua prima messinscena in Italia del 1975 transitata poi dalla Camera di Commercio di Messina, credo nell'inverno dello stesso anno o di quello successivo, quando ancora in città non c'era un Teatro che si potesse definire tale, infatti il Teatro in Fiera venne inaugurato nel 1977, il Vittorio Emanuele nel 1985. Regista era José Quaglio, la traduzione di Gerardo Guerrieri e i due ottimi interpreti erano Giulio Brogi nel ruolo dell'intellettuale dissidente AA e Gastone Moschin in quello dell'operaio di origini contadine XX. Non avevano nomi i due, solo delle sigle per identificare due poveri cristi che per motivi vari avevano deciso di lasciare i propri cari e i propri paesi del Sud. Senza voler fare letteratura del dolore sul fenomeno degli emigranti o dei migranti dei nostri giorni che vede il nostro paese in prima linea e poi il resto dell'Europa ad accogliere questi poveri disgraziati, dirò che i nostri due Emigranti vivono in uno squallido sottoscala con i muri tappezzati di cavi elettrici e tubi di scarico e dai loro dialoghi, inframmezzati da voci e rumori dei piani superiori e dall'esterno, si capisce che i due si trovano in una metropoli straniera del Nord e che la pièce li coglie nelle ore che precede l'inizio del nuovo anno. Ricordo che la messinscena di Quaglio aveva aure iperrealistiche e claustrofobiche, forse per il modo come i due protagonisti estremizzavano i loro comportamenti, sembrando a volte d'assistere ad un lavoro di Pinter o di Sartre fatto di dialoghi concitati che nascondevano noia, nausea e angoscia. L'intellettuale era tutto teso a capire con che tipo d'individuo condivideva quella stanza, ipotizzando pure di scrivere un libro sulla condizione dello schiavo, mentre l'operaio era tutto preso dal suo faticoso lavoro, che lo aveva pure fatto ammalare, mettere da parte una buona quantità di denaro, pensando a quando avrebbe fatto ritorno alla sua città e alla sua famiglia. Bastava un niente, un suono, un rumore, l'assenza d'una mosca, una musichetta, un borbottio proveniente dai piani alti per far sballare i due e farli andare in escandescenza. Addirittura durante una fase di violenti scambi verbali l'operaio arriva a stracciare la cartamoneta gelosamente nascosta all'interno d'un cagnolino di pelouche, tentando pure un ridicolo suicidio, e l'intellettuale strapperà gli appunti del suo libro che non scriverà mai. Per questi Emigranti si è parlato di "Teatro dell'assurdo", è stato scomodato Beckett e s'è citato Ionesco per il suo "Delirio a due". Diciamo solo che il lavoro riflette quanto vissuto da Mrozék nella sua Polonia al tempo in cui era ancora uno stato satellite dell'Unione Sovietica e lui da dissidente preferì emigrare a Parigi e scomparire nel 2013 a Nizza. Adesso lascia davvero perplessi la regia di Paolo Orlandelli, autore fra l'altro con Paolo Iorio del libro Il primo processo di Oscar Wilde "Regina contro Queensberry" edito dalla Ubulibri nel 2008, per il modo superficiale con cui ha messo in scena il testo di Mrozék agghindando lo spazio con solo due lettini con due valigie sotto e con l'operaio Giambirtone alla fine che accoltella a morte l'intellettuale Altavilla. Mrozék non ha scritto questo nella traduzione di Guerrieri utilizzata dallo stesso Orlandelli. Operai e intellettuali sono stati sempre uniti. Ce lo dice la storia del '68. Non si fa né si faceva così la lotta di classe.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Lunedì, 24 Aprile 2017 23:09

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