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ENIGMA-NIENTE SIGNIFICA MAI UNA COSA SOLA - regia Silvano Piccardi

Silvia Piccardi e Ottavia Piccolo in "Enigma - Niente significa mai una cosa sola", regia Silvano Piccardi. Foto L. De Frenza Silvia Piccardi e Ottavia Piccolo in "Enigma - Niente significa mai una cosa sola", regia Silvano Piccardi. Foto L. De Frenza

di Stefano Massini
regia: Silvano Piccardi
con Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi
scene: Pierluigi Piantanida
luci: Marco Messeri
musiche originali: Marco Arcari
Produzione: Arca Azzurra Teatro e Ottavia Piccolo
Milano, Piccolo Teatro Studio Melato dal 4 al 9 ottobre 2016
Genova, Teatro Duse 4 febbraio 2017
al Vittorio Emanuele di Messina dall'1° al 12 febbraio 2017

www.Sipario.it, 12 feb 2017
www.Sipario.it, 4 feb 2017
www.Sipario.it, 6 ott 2016

Enigma è una pièce del 2009 di Stefano Massini che piacerebbe molto a Stefano Bartezzaghi esperto in giochi enigmistici e cruciverba e sarebbero andati in sollucchero sia George Perec che Umberto Eco, anche loro esperti in lipogrammi, anagrammi, palindromi, acrostici e altri giochi di parole, entrambi membri dell'OuLiPo, (acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero "officina di letteratura potenziale") fondato nel 1960 da Raymond Queneau e François Le Lionnais. E' un testo quello di Massini influenzato forse dal film del 2006 Le vite degli altri (Das Leben der Anderen) di Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore del Premio Oscar per il miglior film straniero incentrato - come si ricorderà - sullo scenario culturale della Berlino Est controllata dalle spie della Stasi (Ministero per la Sicurezza dello Stato), temuto organo di sicurezza e spionaggio interno, al tempo in cui la DDR (Repubblica democratica tedesca) eresse un muro di ferro e cemento che la separava dal mondo occidentale, durato in vita ben 28 anni sino alla sua completa distruzione il 9 novembre 1989. Enigma è ambientato nella Berlino Ovest 20 anni dopo l'abbattimento e la disgregazione di quella enorme massa di calcestruzzo ed è giocato da un uomo che in una notte di pioggia battente investe con la sua macchina (volutamente o involontariamente) una donna in bicicletta, condotta e rifocillata poi nel suo appartamento, dai colori plumbei come un ufficio di polizia (la scena è di Pierluigi Piantanida). La pièce d'un solo tempo di 70 minuti si muove per "segmenti" (ne conterò dieci sino alla fine), un modo per definire su uno schermo le varie "scene" che iniziano poi dal punto in cui si sono interrotte per qualche istante. Parlano i due, misurando attentamente le parole, sapendo entrambi che "niente significa mai una cosa sola" (sottotitolo tra l'altro della pièce) e che dietro un nome, un fatto, una professione, si cela dell'altro. Un modo, un vezzo o un vizio che ha segnato in maniera indelebile la mente dei cittadini della DDR, i cui nomi venivano segnati e numerati e i loro movimenti registrati su dei fascicoli. Si pensi che ogni spia della Stasi controllava sei persone. L'uomo, vestito con molta cura da Silvano Piccardi, pure regista d'un rigoroso spettacolo, muovendosi tutto in diagonale come un alfiere degli scacchi, dice di chiamarsi Jacob e d'essere stato un insegnante di matematica uno a cui piace scoprire gli enigmi della vita, come quello che porge all'ospite se è in grado di risolvere cosa si nasconde dietro la frase "quotidiano di gran formato" , la cui soluzione sarà il "gran", il "pane" appunto. La donna impersonata con grande senso tattico da una sempre magnifica Ottavia Piccolo dice di chiamarsi Ingrid e d'essere realmente un'insegnante di storia, sfoderando tratti ambigui, mezze verità e movimenti che somigliano ad una torre degli scacchi che si muove per "segmenti" paralleli e rettilinei. Commettendo il solo sbaglio di telefonare a qualcuno perché venisse a prenderla, dando motivo all'uomo di capire che lei ha mentito, perché un trillo dell'apparecchio con la voce d'un centralinista gli chiederà le scuse per le tre ore in cui il telefono è rimasto guasto. Troppe effettivamente, visto che la donna è in quella casa da una quarantina di minuti. Ecco dunque ognuno uscire all'aperto, sfoderare i loro dossier, scoprire i loro veri nomi, le loro vite, capire che sia lui che lei si erano spiati a vicenda senza tuttavia mettere in luce chissà quali reati o colpe. L'enigma s'è sciolto e chissà se i due personaggi riusciranno a vivere finalmente in piena libertà senza più nessuno che controlli ciò che fanno o pensano.

Gigi Giacobbe

È sera e sta piovendo. Ingrid è stata appena investita in bicicletta da Jacob alla guida della sua macchina. Mortificato dall'incidente l'uomo decide di portarla a casa sua per soccorrerla. L'atmosfera è rarefatta. Un interno grigio. Siamo in un appartamento della Berlino Est vent'anni dopo la caduta del Muro. Questa la premessa a Enigma, testo di Stefano Massini, drammaturgo alla guida del Piccolo Teatro di Milano.

Sul fondo frasi proiettate ci comunicano che la storia è divisa in segmenti e che uno dei due personaggi mentirà sapendo di mentire. Precisazione inutile per un pubblico pronto ad assistere ad una storia dai risvolti "gialli". La struttura drammaturgica di Massini rispecchia la natura dell'enigma di cui fa discutere i personaggi: chiara, semplice, addirittura banale. La storia scorre lineare. Nessuna rivelazione porta meraviglia. Ogni tassello va ad inserirsi, ubbidiente, al proprio posto. "Serenamente", direbbero Ingrid e Jacob.

 

E poco importa se scopriamo che i loro veri nomi sono Katarina e Markus, che lui lavorò per la Stasi e tra le persone che doveva controllare c'era lei, mite insegnante di storia allineata al regime. Nessuna conseguenza per lei, neanche un interrogatorio. E nonostante questo, caduto il Muro, Katarina sente la necessità di passare dall'altra parte diventando lei la spia e lui la preda dei suoi appostamenti. Senza un motivo, come lei stessa dichiara.

La pièce è verbosa e innocua: manca di tensione drammatica, rinunciando all'azione in favore del racconto a posteriori del passato di due vecchi nostalgici. Senza un vero conflitto da risolvere, una vera colpa da espiare, un vero obbiettivo da raggiungere.

Non c'è nulla di vivo e vibrante in questo spettacolo. Anche la musiche hanno un carattere mortifero. L'intepretazione di Piccolo e Piccardo è boriosa e monocorde. Nulla succede nel qui e ora. Non una luce nello sguardo o un movimento fuori dal tracciato. Le battute, dette bene, risuonano fino all'ultima fila ma senza ascolto, senza intenzione. Un'ora e dieci interminabile che si conclude con la stessa finta intensità con cui è iniziata.

Marianna Norese

L'uomo è per natura misoneista e ha così timore delle novità che quando terminano situazioni esistenziali e storiche di grande oppressione e di privazione di libertà civile e personale e ritorna il rispetto della dignità umana rimane frastornato, destabilizzato, deprivato delle false certezze e quasi della propria identità: il negativo genera, infatti, una sorta di adattamento che diviene assuefazione, naturalmente basata su false sicurezze.

Nessuna meraviglia quindi che a Berlino Est, dopo una ventina d'anni (e forse ancora oggi) dal 1989 - fatidico anno della caduta del tragico 'Muro di Berlino', che ha separato, diviso, tagliato e frantumato in due una città e migliaia di famiglie, e della conseguente riunificazione delle due Germanie - ci siano ancora persone problematizzate che non hanno superato lo strappo o che comunque ne portano segni indelebili, quasi stimmate.

In una sera piovosa e grigia un uomo e una donna s'incontrano in modo apparentemente casuale tanto che il primo si vede costretto a dare ricovero a questa estranea che il destino gli posto sulla propria strada: un appartamento triste e dimesso dove la solitudine sembra farla da padrona, ma il nostro ha trovato il modo di non essere avvolto dalle spire dell'isolamento rifugiandosi nel mondo degli enigmi e dei giochi matematici. L'universo della logica si disvela come "il più bello dei sogni perché lì tutto torna" e rivela un infelice alla ricerca di illusioni e incapace di risolvere l'enigma reale che gli è capitato di fronte.

Già perché dopo alcuni Segmenti (frammenti narrativi in cui ciascuno dei due protagonisti racconta una sua verità) le costruzioni crollano come castelli di carta ed emergono dal passato realtà drammatiche e nodi stretti e misteriosi frutto di false sicurezze e certezze garantite da un regime che controllava a vista i singoli.
Se durante il Terzo Reich Adolf Hitler esercitava il controllo tramite un agente della Gestapo ogni 2000 persone e nell'Unione Sovietica Stalin ne controllava 6000 con un incaricato del KGB, nella Germania dell'Est c'era un informatore della Stasi ogni 6 persone. Una situazione da incubo che rivela tutta la sua drammaticità quando nel 1991 i singoli possono accedere ai dossier stilati sulle loro vite private, ovviamente a quelli salvatisi dalla furia distruttrice dei giorni successivi alla caduta del muro e dalla probabile eliminazione o occultamento di altri a opera degli stessi agenti del servizio segreto.

Eppure sia il controllato, sia il controllore non acquisiscono consapevolezza piena, né spesso si rendono conto della ragnatela in cui erano costretti e costringevano: all'interno del sogno socialista tutto rientrava nella logica di un bene comune che allora come ora è spesso quello di pochi.

Un testo raffinato con un'analisi dettagliata e puntuale delle microsfumature psicologiche - in cui il male affiora con la lentezza inesorabile di una marea inarrestabile - reso con fine garbo da due attori capaci di evidenziare sia la grinta di una donna volitiva, sia la riservata ritrosia di un impiegato quasi inconsapevole di rubare la vita altrui così come ora fa invertendo i ruoli chi prima era vittima.

Non succedono forse situazioni analoghe non solo nella Storia, ma anche nel quotidiano di ciascuno? Controllori altrui veniamo continuamente controllati soprattutto oggi in cui la parola privacy ha acquistato pomposità a livello formale, ma profondamente perso come sostanza.

Wanda Castelnuovo

Ultima modifica il Lunedì, 13 Febbraio 2017 00:20

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