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DIVO GARRY (IL) - regia Francesco Macedonio

Il Divo Garry Il Divo Garry Regia Francesco Macedonio

di Noel Coward
traduzione: Masolino d'Amico
scene: Andrea Stanisci, costumi: Fabio Bergamo, musiche: Massimiliano Forza
regia: Francesco Macedonio
con Gianfranco Jannuzzo e Daniela Poggi
Torino, Teatro Alfieri, dal 25 gennaio al 3 febbraio 2008

Il Messaggero, 13 dicembre 2008
Avvenire, 16 febbraio 2008
Libero, 14 febbraio 2008
Corriere della Sera, 13 febbraio 2008
Il Giorno, 7 febbraio 2008
Il Giornale, 14 febbraio 2008
La Stampa, 31 gennaio 2008
"Il divo Garry", un idolo

che vorrebbe tanto crescere

Fino al 4 gennaio, al Quirino, Gianfranco Jannuzzo è Il divo Garry (Present Laughter) di Noël Coward, diretto da Gianfranco Macedonio. Con la solita perizia, che garantisce a una traduzione anche la recitabilità, Masolino D'Amico gli offre un testo malleabile, brillante e al tempo stesso aristocratico, esattamente nelle corde di un attore che incarna, dentro e fuori, questo binomio di caratteristiche.

La commedia, del 1939, è un ritratto d'ambiente e di società al cui centro, nell'Inghilterra formale ma capace, secondo tradizione, di follia e d'eccentricitò, veleggia Garry Essendine, attore celebre, adorato da tutti. Attorno a lui, divo al quale danno fastidio gli anni e la canizie, s'intrecciano gli amori e le ipocrisìe, i furori e gl'intrighi, le velleità, le speranze, i disinganni. Garry è una sorta di Kean post litteram, viziato, beneducato, seducente, incapace di rinunciare alla propria bellezza per abbracciare il fascino che viene dall'esperienza. Le donne che gli fanno ghilranda sembrano nate per dargli ragione, per accontentare i suoi capricci, sedare le sue inquietudini, nutrire il suo ego smisurato e grazioso. Siano esse una moglie non più in carica, una segretaria o un'amica, lavorano all'unisono alla tessitura di una tela vischiosa che attanaglia il protagonista, costringendolo inconsciamente a dar spettacolo senza sosta, in un interminabile girotondo dei ruoli. Garry, in realtà, è un insicuro, un bambino che avrebbe voluto crescere e non ci è riuscito, un idolo apparente.

Fra dolce e amaro, comicità e brillantezza, Jannuzzo, supportato dalla regia, impegna nel ruolo quanto ha messo in cambusa, stagione dopo stagione, lavorando con Bramieri e Garinei, con la propria origine (è agrigentino, e la Sicilia sa ridere "nero" sulle tragedie della vita), con il monologo scritto in prima persona, con le propensioni al palcoscenico comunque patinato, anche quando nasconde riflessioni intriganti.

In platea ci si diverte. Con Jannuzzo lavorano la sempre nitida Daniela Poggi e agli altri interpreti, Paola Bonesi, Davide Calabrese, Sandra Cosatto, Gualtiero Giorgini, Adriano Giraldi, Alberta Izzo, Maurizio Repetto, Danila Stalteri. Il divo Garry (come Fiore di cactus all'Olimpico) appartiene al gruppo degli spettacoli "natalizi" che Roma offre agli spettatori delle Feste, tradizionalmente desiderosi di piacevolezza.

Rita Sala

Jannuzzo svela la fragilità dell'attore

Chi si ricorda di Noel Coward? Eppure ci fu un tempo, anche da noi, in cui questo re dell'intrattenimento, questo drammaturgo e romanziere nonché attore, brillante, irresistibile, non superficiale come sembrerebbe, sottilmente venato di nostalgia, godette fama non certo immeritata. Erede di Wilde e di Shaw, posseduto anche lui da spirito caustico, a lungo l'inglese Coward, fu l'interprete intelligente e rispettato di una società che viveva sopra le righe e di cui fu capace di disgelare con humour raro le inconsistenze e la fatuità. Attraverso lo scintillio di un linguaggio dai dialoghi eleganti e dalle battute irriverenti ma mai volgari. Come s'avverte anche ne Il divo Garry, commedia che a rilanciare, con il simpatico Gianfranco Jannuzzo protagonista, è la Contrada-Teatro Stabile di Trieste. Certo con qualche affanno, perché la commedia (pur efficacemente tradotta da Masolino d'Amico) non si può dire non sia datata e difficile è poi creare per noi mediterranei certe atmosfere molto british. E' Il divo Garry l'ironico ritratto, ma si potrebbe dire autoritratto (perché molto vi è nei tre atti di autobiografico), di un attore di mezza età. Non un talento straordinario ma che non manca di un pubblico che lo ama anche per il suo repertorio che fa leva sul romantico. Insomma, Garry Essendine, un Kean di mezza tacca. E che, coccolato dal suo entourage (la segretaria, l'impresario, l'agente, il maggiordomo, la governante), come un Kean appunto si comporta anche fuori scena. Gigioneggiando, dimostrando una psicologia infantile nonché quei piccoli egoismi che sono propri degli attori. Coward lo fotografa nel momento in cui la sua popolarità va calando e sta per partire per una tournée in Africa. Una partenza molto movimentata vuoi per il presentarsi di un giovane e svitato commediografo vuoi perché non sa come liberarsi di due giovani fiamme. Provvederà, lieto fine assicurato, a sistemare il tutto l'ex moglie, donna concreta (bene la schizza Daniela Poggi), che continua a prendersi cura di lui e della sua carriera. Forse il personaggio di Garry non è del tutto nelle corde di Jannuzzo, al quale difetta certo aplomb britannico e però riesce ben a renderlo vivo. Gli dà colore, senza mai strafare, con quella comicità brusca e aguzza che è la sua più bella prerogativa. Meritevole per questo di un sincero applauso. Intorno a lui una serie di caratteristi magari non straordinari e che però stanno bene al gioco.

Domenico Rigotti

L'attore-mattatore in declino ma tutte lo vogliono

Il bravo Gianfranco Jannuzzo interpreta una star alla fine della carriera conteso da troppe donne

Sempre più scarso, il mercato teatrale italiano, di novità che valga la pena di rappresentare, non è male, in fondo, oltre che inevitabile, riesumare qualche successo del passato, magari degli anni Quaranta-Sessanta, e così le nuove generazioni di spettatori sono felicemente servite. Vedi il caso del Divo Garry, commedia che in Italia si era già vista, con altro titolo, giusto sessant'anni fa, quando il suo autore, NoéI Coward (1899-1973) navigava ancora in mezzo mondo sull'eco delle migliaia di repliche, tra New York e Londra, di Spirito allegro diventato anche un film da Premio Oscar.

Attore al tramonto ma pieno di fan

Attore, oltre che autore, regista e compositore, insomma "il più tipico uomo di teatro inglese del nostro tempo", come lo definiscono le enciclopedie dello spettacolo, Coward aveva già dato alle scene una commedia sulla vita di una attrice al tramonto, quando scrisse e interpretò questa Present Laughter, oggi diventata, nella nuova traduzione di Masolino D'Amico, Il divo Garry, ritratto di un attore, Garry Essendine, appunto, non ancora al tramonto ma già sul traguardo della mezza età eppure assediato dalle ammiratrici.

La segretaria severa e la moglie-manager

Estroso, scettico, istrionico nella vita non meno che sul palcoscenico, il divo è servito, e disciplinato per quanto possibile, da una segretaria, Monica, da una autoritaria governante, dal maggiordomo Fred che risponde agli ordini del padrone sempre e soltanto con un rispettoso "aggiudicato", dall'agente Henry e dal produttore Morris. E tanto basterebbe a rendere quasi normali le giornate di Garry, peraltro sempre più preoccupato di perdere i capelli o di vederseli incanutire. Basterebbe: e invece no. Perché, a parte uno scrittore fuori di testa che lo assedia e lo tormenta nella speranza di averlo protagonistadi una sua strampalata commedia... a parte costui, dicevo, ci sono le donne all'assedio. Prima fra tutte la Daphne che dopo teatro, dice spesso di avere perso o dimenticato le chiavi di casa sua per poter farsi ospitare, la notte, in casa di Garry; e oltre a lei, anche peggio, la Joanna che, oltre a circondare Garry, è la moglie dell'agente Henry e l'amante segreta del produttore Morris. Pretendereste, a questo punto, che il pasticcio si diradasse e si risolvesse? Lo spererebbe anche il sottoscritto spettatore e cronista, costretto invece a prendere atto e riferire che nel bailamme attorno al divo c'è anche Liz: una donna in più non sarebbe niente di preoccupante, solo che Liz è la moglie, pardon la ex-moglie di Garry, tuttora impegnata, sebbene ex, a stargli vicino. Col tormentone, per finire, che tutti quanti si sono già muniti del biglietto di viaggio per accompagnare Garry Essendine nella sua toumée in Africa... Che succederà dunque prima che il sipario cali? Ci prendiamo la libertà di non svelarlo per lasciare, agli spettatori del teatro Manzoni di Milano e della lunga tournée in programma, il piacere (o la delusione) di scoprirlo. Solo tenendo presente che, ex o non ex, sono quasi sempre le mogli ad avere ragione.

Risate e applausi, show gradevole

Divertimento e applausi, comunque, non sono riservati solo al finale, dato che la commedia, nonostante il suo avanti e indietro di trovatine, è soprattutto un abile gioco trasformato, dalla regia di Francesco Macedonio per la Contrada di Trieste, in un gradevole spettacolo (scenografia di Andrea Stanisci) di cui Gianfranco Jannuzzo è irresistibile protagonista, con una carica di prepotente simpatia mediterranea in tutto degna del suo collega britannico Garry Essendine. Gli sta accanto, ed è stato un piacere rivederla, Daniela Poggi. Senza dimenticare gli altri, tra i quali l'invadente Daphne di Alberta Izzo e la possessiva Joanna di Danila Stalteri; con Paola Bonesi, Giovanni Boni e Maria Serena Ciano.

Carlo Maria Pensa

Jannuzzo molto bravo ma il suo Garry è piatto

L' inglese Noël Coward era un autore che costruiva commedie brillanti con raffinatezza, dipingendo con elegante ironia e disincanto la società borghese, giocando con dialoghi divertenti e arguti. È un commediografo elegantemente sagace ed è questo tratto di eleganza che lo allontana da ciò che si definisce vaudeville, una commediola densa di equivoci e di situazioni piccanti. Ed è purtroppo verso questo genere che la regia di Francesco Macedonio spinge «Il divo Garry», del 1939 nella bella traduzione di Masolino d' Amico, che ha come protagonista un famoso attore teatrale, non più giovanissimo, assediato da donne adoranti, dall' ex moglie che vigila sulle sue debolezze, da una segretaria materna e fidi camerieri. E forse per mettere ordine in una vita che non sopporta più decide di partire per una lunga tournée africana, e dopo un turbinare di notti con giovani amanti partirà, ma non certo con una di loro. La lettura registica appiattisce la commedia su un tono farsesco che tuttavia non spinge nemmeno fino all' estremo e tutto si risolve in uno spettacolo senza eleganza. Poco possono gli attori, Gianfranco Jannuzzo è bravo, simpatico, generoso, ma il suo Garry resta senza sfumature psicologiche, senza ombre di solitudini. Elegante l' interpretazione di Daniela Poggi, ex moglie bonariamente cinica.

Magda Poli

Jannuzzo fra mille vestaglie è un «divo Garry» istrionico e divertente

Oltre al piacere di trascorrere una serata divertente – piacere che il pubblico manifesta con frequenti applausi a scena aperta - due sono le ragioni che consigliano di vedere «Il divo Garry» di Noel Coward (1899 - 1973). Una è il doveroso riconoscimento, anche se postumo, che l'autore di «Spirito allegro» non era, come sostennero gli Angry Young Men inglesi e da noi l'Off teatrale, un commediografo di serie B, condannato dal successo a produrre spettacoli di facile consumo, ma un autore raffinato ed elegante che sapeva elevare la commedia di costume alla dignità dei classici. La seconda ragione consiste nel riconoscergli la capacità di avere saputo - attore egli stesso - ricucire i suoi personaggi addosso ai maggiori interpreti della scena e dello schermo, da Richard Burton a Laurence Olivier a Peter O' Toole. Come ben si vede anche in questo allestimento di Francesco Macedonio, per la Contrada di Trieste, dove il ruolo del mattatore, nel '42 tenuto dallo stesso Coward, è assunto da Gianfranco Jannuzzo con accanto, gradito ritorno, Daniela Poggi. E dunque accostiamoci senza complessi di inferiorità alle esilaranti vicende del «Divo Garry» che Jannuzzo interpreta rendendo dal principio alla fine tutte le sfaccettature di Garry Essendine, attore di successo affascinante e capriccioso, sempre in bilico tra finzione e realtà, circondato da una corte di sudditi fedeli e di donne adoranti, che attraversa il guado periglioso della mezza età ed è alla vigilia di una tournée in Africa. Lo accudiscono la premurosa governante Miss Erickson (Maria Serena Ciano) e lo scorbutico maggiordomo Fred (Giovanni Boni); si occupano dei suoi affari l'efficiente segretaria Monica (Paola Bonesi), l'agente Henry (Adriano Giraldi), il produttore Morris (Davide Calabrese) e Liz, l'ex-moglie del divo (Daniela Poggi) che continua a occuparsi della sua carriera artistica. Costoro lo difendono sia dalle sue conquiste che dalle assiduità di aspiranti e complessati scrittori come Roland Maure (Mirko Sodano). Protetto da questi angeli custodi, Garry sfodera una ventina di vestaglie, si macera con voluttà nel ruolo di incompreso e scherza col fuoco con Joanna, la scaltra moglie di Henry (Danila Stalteri) nonchè amante di Morris. Questo guazzabuglio di passioni, vere e finte, indurranno tutti a imbarcarsi per la tournée africana. Compresa Liz che alla fine, senza rinunciare al business, riconquista Garry. Se non ci fosse Jannuzzo con la sua carica di simpatia, il suo giocare tra narcisistiche esibizioni e autentici abbandoni, il suo essere sempre in scena con ironia, la commedia di Coward mostrerebbe qualche crepa. Invece Jannuzzo se la porta sulle spalle da mattatore, fino a fare di una farsa una commedia di caratteri: e quando s'arrende a Liz (che ha tutta la classe di Daniela Poggi), dimostra che anche i «Divi» hanno un'anima.

Ugo Ronfani

Un beffardo gentleman che seduce le donne e bacchetta la società

Difficile sottrarsi al fascino ambiguo e insidioso delle battute a doppio taglio di un raffinato entertainer (così lui stesso si definiva) come Noel Coward. Il beffardo gentleman inglese della commedia sofisticata che per più di cinquant'anni, dagli anni Venti fino ai primi anni Settanta, dominò le scene di Londra e poi il palcoscenico di Broadway. Presentando con quello humour acidulo, ma velato di tenerezza, un'impagabile galleria di ricchi sfaccendati. Tra cui si contano lord impomatati e imbecilli, ladies integerrime e Miss di piccole virtù spesso contrastati da filosofi in veste di maggiordomi e da medium impiccione approdate nelle avite magioni di irreprensibili magistrati.

Ma attenzione: questa commedia umana surreale e fantastica, elevata all'ennesima potenza, non è che l'inverosimile dilatazione, giocata sul filo del paradosso, della prepotente personalità dell'autore. Che si diverte a moltiplicare i livelli del discorso e la psicologia dei caratteri per definire il suo incantevole personaggio di dandy spregiudicato e irriverente. Così nel Divo Garry, nuovo titolo di quell'Allegra verità, datata 1942, che tanto divertì i nostri nonni, assistiamo nei ritmi indiavolati della pochade all'avventura quotidiana di una star maschile fatua e capricciosa che ha deciso di rinverdire nella vita il mito di Don Giovanni sulle orme di George Bernard Shaw. Ma a differenza del Seduttore adombrato, quarant'anni prima del Divo Garry,in Uomo e superuomo, il protagonista di Coward non nutre tanto abissali ambizioni. Gli basta, dopo aver asservito al suo volere fanciulle disinibite e rapaci avventuriere, salpare per l'Africa - a quei tempi ancora una terra promessa - in compagnia della legittima consorte per rincorrere, protetto dal sacro vincolo, nuove spericolate occasioni.

Lo spettacolo che Francesco Macedonio ha ricavato da questa fiabesca cavalcata nell'assurdo è frizzante come una coppa di champagne. Per merito assoluto, in questa carovana di caratteristi compiaciuti delle cascate d'ilarità che provocano al loro solo apparire, della verve di Gianfranco Jannuzzo che si prodiga come uno spiritato folletto sfuggendo con esagitati balzi da stambecco alle vogliose profferte di Daniela Poggi per approdare alle sorgenti della comicità pura.

Enrico Groppali

Non basta Jannuzzo

a far grande Garry

Forse non ci si pensa abbastanza, ma il teatro non è poi così diverso dalla musica: se non ha un ritmo e se il ritmo non emana un colore, s'annacqua e svapora. Prendiamo Il divo Garry prodotto dalla Contrada di Trieste e in scena all'Alfieri di Torino. Ha un autore quasi sempre infallibile, Noel Coward; un traduttore-riduttore esemplare per pronunciabilità e senso della gag, Masolino d'Amico; un regista solitamente fine, Francesco Macedonio; un protagonista, Gianfranco Jannuzzo, che non ha mai usurpato l'amore del pubblico. Eppure, nonostante le buonissime premesse, lascia tiepidi. Perché? Questione di ritmo, di colore, o di quale altra imponderabile diavoleria?

Il divo Garry altro non è che Present Laughter, celebre tassello di una trilogia chiusa dall'ancor più celebre Spirito allegro. E' una commedia del 1939. Si sviluppa dentro una cornice borghese e ha per protagonista un attore, il Garry del titolo, baciato dal successo, idolatrato dalle donne, assediato dagli aspiranti autori, ma trafitto da una crisi molto frequente nei maschi che abbordano a una certa età. Ed è forse per mettere chiarezza nella vita, per allontanare un mènage erotico di cui comincia a non sentirsi all'altezza, che l'acclamato divo accetta di partire per una lunga tournèe in Africa.

Con la sua scoppiettante commedia Coward ci mostra Garry nei giorni che precedono la partenza. E ce lo mostra nella ripetitività delle sue giornate e nottate, con le donne che restano a dormire da lui perché dicono di avere dimenticato la chiave di casa; con i risvegli protetti dalla coppia di fidati domestici; con la segretaria che smista telefonate e visite, ma non sa frenare l'invadente, squinternato drammaturgo Maule, mentre Liz, la moglie separata, a ogni suo nuovo arrivo osserva con distacco e cinismo quel che il povero Garry è costretto a subire soprattutto dalle donne. Ma quando scocca il momento fatidico della partenza, ecco il colpo di scena. Garry non s'imbarca da solo, né con una delle sue appiccicose amanti. Parte con l'ex moglie.

Costruita con sapienza e popolata da personaggi così fortemente caratterizzati da sconfinare nella macchietta, Il divo Garry sembra offrire alla regia di Macedonio soltanto il fianco farsesco. Arriva perciò in scena come un vaudeville, del tutto privo di quelle ombreggiature psicologiche che contribuiscono a fare di Garry qualcosa di diverso da una semplice macchina comica. La scelta sarebbe più che legittima se la regia ci credesse fino in fondo e, soprattutto, se l'intero cast fosse all'altezza del compito. Invece si ha l'impressione che Macedonio pensi principalmente a dirigere il traffico e che gli attori da lui convocati non sappiano bene da che parte andare. Pensiamo soprattutto alle attrici cui spettano i ruoli delle amanti, la cui modestia interpretativa è, in alcuni momenti, disarmante.

Si salva certamente Jannuzzo, che però sembra viaggiare in solitaria. Inchiodato al ruolo del simpatico, fa un grande sfoggio di vestaglie, gigioneggia come pretende il personaggio quando maschera la propria fragilità recitando, recitando sempre, e così conquista risate e strappa l'applauso.

Accanto a lui si segnala un'elegante Daniela Poggi nella parte di Liz, una presenza soavemente diabolica con un solo limite: non ha molta scena.

Osvaldo Guerrieri

Ultima modifica il Lunedì, 16 Settembre 2013 09:46

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