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DON CHISCIOTTE - regia Franco Branciaroli

Don Chisciotte Don Chisciotte Regia Franco Branciaroli

di Miguel de Cervantes
progetto e regia Franco Branciaroli
scena e costumi Margherita Palli
con Franco Branciaroli
Roma, dal 27 gennaio a 8 febbraio 2009

Corriere della Sera, 15 febbraio 2009
Il Messaggero, 31 gennaio 2009
Come un lungo sketch su Gassman e Bene

Nell' orizzonte espressivo dell' imitazione si annida il piacere per un evocare ironico che è anche un celebrare altri per celebrare se stessi. Il bravissimo Franco Branciaroli ama questo genere di camuffamento che non è rielaborazione del passato per creare del nuovo. È solo un gioco fine a se stesso che da grande atleta della voce lo conduce, in un doppio salto mortale, a imitare Vittorio Gassman e Carmelo Bene, evocati nei ruoli del cavaliere della Mancha e del suo fido scudiero nello spettacolo Don Chisciotte, tratto dal capolavoro di Cervantes, di cui è autore, attore e regista. La genialità di Cervantes ha scoperto il rapporto organico tra realtà oggettiva e vita della fantasia, Franco Branciaroli si inventa il rapporto tra due mondi e due modi espressivi e li accosta in un parlottare enfatico di vibrante autoreferenzialità che poco o nulla fa scoprire del grande romanzo e poco o nulla rivela dei grandi «teatranti» cui prende in prestito voce e maniera. Chi ha conosciuto Bene e Gassman vi può cogliere tocchi di sberleffo, più malevolo che ironico, nel pavoneggiarsi, nel iperintellettualizzare e nel continuo bere di entrambi. In chi non li ha conosciuti può nascere un senso di fastidio per l' enfasi mattatoriale di un teatro che suona morto e sepolto. Ma le esperienze di Gassman e di Bene sono altro, sono gradini sui quali il teatro ha costruito, magari negando, magari distruggendo, ma conoscendo e riconoscendo. Nell' elegante «al di là» di Margherita Palli, tra velari, bottiglie e bicchieri Gassman e Bene disputano, recitano, competono e lo spettacolo ha il sapore di uno sketch che si dilata oltre misura e finisce per poco raccontare e per poco divertire. «Nulla possiamo dire che non sia stato detto; nulla fare che non sia stato fatto» dice Branciaroli, fragile giustificazione filosofico-esistenziale che avrebbe già da tempo fermato l' arte. Don Chisciotte di Franco Branciaroli Piccolo Teatro Strehler di Milano

Magda Poli

E come via d'uscita l'imitazione degli dèi

Bisogna ringraziare Franco Branciaroli. Per molti motivi. Il primo: il suo progetto (magnificamente realizzato) su Don Chisciotte, in scena all'Argentina di Roma fino all'8 febbraio, è finalmente un'idea per il teatro, resa viva essenzialmente sulla base della presenza e della bravura di un Attore. Il secondo: la capacità mentre imperversa la fin troppo strombazzata crisi di riflettere con efficace semplicità sull'epoca in cui ci tocca vivere, ovvero un tempo che solo all'imitazione di passate grandezze può rivolgersi ("nulla possiamo dire che non sia stato detto; nulla fare che non sia stato fatto"). Il terzo: ci restituisce in carne ed ossa Vittorio Gassman e Carmelo Bene, interpretando con la loro voce, il loro modo di muoversi e di gestire, il loro insondabile humour, rispettivamente il Cavaliere di Cervantes e lo scudiero Sancho. Tutto senza mai incorrere nel cattivo gusto, che in un'operazione come questa, guata e insidia dietro l'uscio. Così ce la possiamo godere, intera e per intero, la performance di Franco. Che in abito grigio, barba coltivata come quella di Gassman negli ultimi anni, comincia alla grande proprio nei panni di Vittorio, su un palcoscenico di fondali e velari, due tavole imbandite sulle quali sono allineate solo bottiglie di superalcolici, una poltrona sistemata a destra rispetto a chi guarda. Scioccante. Il romanzo di Cervantes ci viene presentato con l'eloquio prezioso e insieme volutamente cialtrone che il Mattatore sapeva usare come nessuno. E c'è, nei contorcimenti di Branciaroli quando si accomoda sul sedile, l'attitudine sghemba di Vittorio, con il braccio a mezz'aria, molto vicino al corpo, che regge la sigaretta o il bicchiere di whisky. Stupefacente. Imitazione? Non proprio. Meglio parlare di reviviscenza, condizione in cui il Chisciotte si muove rieditando le gesta dei cavalieri antichi, qui riproposta da Branciaroli per i "cavalieri della scena". Botta di ardimento, dopo poco, l'entrata di Carmelo, il suo recitar cantando, il linguaggio, a tratti, volutamente osceno, la schermaglia continua con gli altri e con sé stesso. Sublime la tenzone dantesca durante la quale i due recitano il quinto canto della Commedia e chiamano Dante a far da giudice. Struggente, nella sua malizia trionfale, il finale: Gassman, che ha odiato la morte per tutta la vita, ribadisce alla platea come nell'Aldilà, nel Purgatorio dove ozia assieme a Bene, non sia possibile morire di nuovo.

Rita Sala

Ultima modifica il Lunedì, 16 Settembre 2013 09:35

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