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CERTAIN SONGE (UN), UNE NUIT D'ETE - regia R. Demarcy

Un Certain songe, une nuit d'été Un Certain songe, une nuit d'été Regia R. Demarcy

regia di R. Demarcy
per Naif Theatre, Francia
Interpreti: Antonio da Silva, Bruno Daveze, Chrysogone Diangouaya, Leontina Fall, Jean Lacroix Kamga, Guy Lafrance, Nicolas Le Bosseé, Gersende May, Lomani Mondonga, Ngau Domingas Afonsina, Yilin Yang
28mo Festival di Almada, 9 luglio 2011

www.Sipario.it, 11 luglio 2011

Il "Naif Theatre" rimane fedele al programma del nome in ditta ed offre alla platea presente alla "Escola A. Da Costa" una versione effettivamente naif del "Sogno" di Shakespeare.

Chi scrive vuole salvare le intenzioni del regista Demarcy, le cui dichiarazioni, rispetto ad una presa di posizione "politica" tramite il proprio lavoro, valgono, forse, a spiegare una certa approssimazione sia della struttura drammaturgica sia della impostazione scenica e scenografica. Il discorso dell'autore (il testo riprende liberamente quello di Shakespeare ma senza i precisi vincoli che la ricerca di nuovi codici, quando chiara ed univoca, avrebbe imposto), insomma, sembra essere: "Non sentiamo il bisogno né di essere rigorosi nel servire o stimolare il pubblico nello sviluppo chiaro della situazione, né di collegare stilisticamente gli episodi del nostro, nuovo, racconto.

E' all'attore (non al regista o al drammaturgo), che viene chiesto di recuperare e di imporre il proprio ruolo di "artigiano", attraverso la creazione, quasi estemporanea, di giochi al totale servizio dell'espressione dei propri talenti e dell'intrattenimento. L'opera creativa dell'unico vero "lavoratore" del teatro è fine a sé stessa: è opera di artigianato, per quanto fine, e non opera d'arte, che rimandi, per definizione, a qualcosa d'altro. Di successivo, di più "alto" o di più "grande"".

Al di là di quanto ci si possa trovare d'accordo con questo "manifesto", gradiamo sempre teatro che suggerisca la possibilità del dibattito e ci chiediamo: ma davvero l'attore e, con esso – Demarcy supporrebbe – il pubblico, dovrebbe divertirsi di più rompendo le regole di un canovaccio perfetto, senza trovarne un altro che, se non paragonabile, sia quantomeno autosufficiente? Perché insistere sul recupero delle sole connotazioni "boccaccesche" (anche se, sia chiaro, mai si scade nel cabaret o nell'avanspettacolo), senza tentare quello, effettivamente melodrammatico quando poco attento, dei toni, quasi tragici, delle conseguenze dell'Amore? Non fanno parte, questi ultimi, dei grandi giochi cui un attore "artigiano" possa prendere gusto e, con questo, "intrattenere"?

La nota positiva viene dal mestiere, dall'esperienza e dalla (quasi) caparbietà con i quali i "capocomici" tengono insieme un ensemble di attori di diverso talento (spesso nel senso: qualcuno ne ha, qualcun altro no...), diverse etnie, diverse forme espressive, anche se il gioco non sempre riesce. Così così le soluzioni sceniche: tantissime, troppe, e sempre producenti la sensazione di non essere state trovate agendo sulla scena, con elementi già previsti, ma come ricerca esteriore e successiva ad idee che la scena ha solo suggerito, attraverso il filtro naif di stili e codici predefiniti (clownerie, pantomima, ecc.). Cast estremamente eterogeneo, senza intendere "multietnico" né "multidisciplinare".

S. Gagliardi

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 16:02

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