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CHI VIVE GIACE - regia Armando Pugliese

Da sinistra Stefania Blandeburgo, David Coco, Claudio Zappala e Roberto Nobile in "Chi vive giace", regia Armando Pugliese. Foto Rosellina Garbo Da sinistra Stefania Blandeburgo, David Coco, Claudio Zappala e Roberto Nobile in "Chi vive giace", regia Armando Pugliese. Foto Rosellina Garbo

di Roberto Alajmo
Regia di Armando Pugliese
Interpreti: David Coco, Roberta Caronia, Roberto Nobile,
Stefania Blandeburgo, Claudio Zappalà

Musiche: Nicola Piovani
Scene: Andrea Taddei
Costumi: Dora Argento
Luci: Gaetano La Mela
Aiuto regia Valentina Enea
Foto: Rosellina Garbo
Produzione: Teatro Biondo Palermo
al Biondo di Palermo dal 18 al 27 gennaio 2019

www.Sipario.it, 20 gennaio 2019

Una figura di donna morta con veletta in testa e braccia incrociate campeggia la pagina iniziale del dépliant di sala relativo allo spettacolo Chi vive giace di Roberto Alajmo per la regia di Armando Pugliese andato in scena in prima assoluta al Biondo di Palermo. È un'immagine curiosa. Sembra una bambola di cera o di maiolica con gli occhi chiusi, un po' raccapricciante invero. Poi però è lo stesso Alajmo a condurci su sentieri meno funerei, chiarendo in una sua nota, alla pagina tre dello stesso dépliant, che c'era nei primi anni della fotografia un'usanza macabra, legata al culto dei morti, per cui subito dopo il trapasso il cadavere veniva messo in posa e fotografato, spesso assieme ai suoi familiari, assumendo quei dagherrotipi colore ocra una valenza irreale, in una sola parola, grottesca. Chi vive giace (e chi muore si dà pace) diventa così nel lavoro di Alajmo il ribaltamento del più gettonato Chi muore giace e chi vive si dà pace, muovendosi con molta ironia sul binario da ghost-movie in cui un lui o una lei defunti appaiono solo ai diretti interessati. Sembra pure in alcuni momenti una black comedie, un film d'animazione tipo La sposa cadavere di Tim Burton o un omaggio a Emma Dante di Vita mia o Le sorelle Macaluso. Lo spettacolo di cento minuti filati, diretto saggiamente da Armando Pugliese che conosce bene vite opere e filosofie teatrali nostrali, odora d'un realismo magico accostabile ad alcuni racconti di Borges, distanti invero dagli equivoci delle Voci di dentro o da Questi fantasmi di Eduardo in cui il suo Pasquale non s'accorge o fa finta di non accorgersi che il fantasma benefattore nient'altri è che l'amante della moglie. All'inizio dello spettacolo vediamo un uomo (David Coco) che mentre traffica nel tinello-cucina di casa (la scena è di Andrea Taddei, agghindata pure con un paio di dipinti astratti di diverse dimensioni) per preparare un intingolo per la pasta, racconta alla moglie, vestita di bianco e una garza che le copre gli occhi quella di Roberta Caronia, come sia morta col suo motorino nonostante il casco, dopo essere stata investita da una macchina guidata da un picciotto di vent'anni (Claudio Zappalà) che conosceremo più avanti. Non hanno nomi i due coniugi. Sia lui che lei si chiamano con sangù, che sta per sanguzzo o piccolo sangue e si esprimono in un italiano misto a termini e modi di dire prettamente siculi. Il giovane investitore non è un tipo cattivo, anche se i due coniugi lo definiscono un fango, qualcuno da ammazzare per vendicare la morte della donna, come suggerito pure dai colleghi dell'uomo, ricordando come in tempi non lontani abbia avuto modo di conoscere quel giovane che stava per metterlo sotto sfrecciando sul marciapiede col suo motorino elettrico. La scena adesso si sposta nella carnezzeria (macelleria) del padre del ragazzo investitore (Roberto Nobile) che indossa un grembiule macchiato di sangue, avendo accanto un quarto di bue che pende dalla graticcia, accostabile ad un dipinto di Francis Bacon, mentre le tele precedenti sono state sostituite da altri due dipinti dai colori più sanguigni. Tra il padre e il figlio che battibeccano vivacemente, rimproverando il primo il guaio commesso dal secondo, c'è la madre morta di Stefania Blandeburgo su sedia a rotelle, benda agli occhi e capelli raccolti in uno chignon, che agisce da pompiere spegnendo le tirate del marito nei confronti del figlio che viene difeso da lei ad oltranza, ripetendo che quella è stata solo una disgrazia. Intanto gli affari vanno male, i vicini pensano che il giovane sia colpevole e non comprano più la carne in quella bottega. Il padre vorrebbe ammazzare di legnate il figlio nonostante la polizia abbia appurato che ha prestato soccorso a quella donna mischina, che non era ubriaco né drogato, togliendogli soltanto la patente senza arrestarlo in attesa d'essere processato. Ed è per questi motivi che i genitori suggeriscono al figlio di chiedere perdono al marito della donna investita e potere avere finalmente un incontro pacificatore. Incontro che giunge nella terza parte dello spettacolo quando alcuni arredi delle schegge precedenti s'innestano a vicenda formando un'unica scena ibrida, pure metafisica per via di fumogeni bianchi che si diffondono sul palco e che contiene i due coniugi e i tre componenti della carnezzeria, tutti all'altezza, non capendo più i vivi se sono tali oppure morti. Vivi e morti che raggiungono il paradosso allorquando sangù ha in mano una pistola e il carnezziere brandisce un coltellaccio, in una sequenza da comica da film muto, dove nessuno si farà male, pensando bene le due arzille donne morte ad apparecchiare una tavola e mangiare tutti insieme un piatto di pasta fumante, facendo intuire che alla vendetta è preferibile sempre il perdono.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Martedì, 22 Gennaio 2019 03:27

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