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CASA DI BAMBOLA - regia Roberto Valerio

"Casa di bambola", regia Roberto Valerio "Casa di bambola", regia Roberto Valerio

di Henrik Ibsen 

Personaggi e interpreti (in ordine di apparizione) 

Nora Helmer Valentina Sperlì

Torvald Helmer Roberto Valerio

La signora Linde Carlotta Viscovo
Il
Dottor Rank Massimo Grigò

Krogstad Michele Nani

La balia Debora Pino

adattamento e regia Roberto Valerio 

Scena Giorgio Gori – Costumi Lucia Mariani – Luci Emiliano Pona

Produzione Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale

Milano, Teatro Menotti dal 1 all'11 marzo 2018

www.Sipario.it, 12 marzo 2018

La casa dell'inconscio

La felice intuizione del regista Roberto Valerio (anche interprete di Torvald) di essenzializzare la scenografia applicando un implacabile rasoio di Occam agli orpelli da interno borghese ottocentesco, convince, e ci lascia come sfondo una parete sghemba, un segno espressionistico di una vicenda che spezza la confortante ed apparente perpendicolarità del menage famigliare. L'unica promessa di libertà è una linea curva, una arco spruzzato di luce blu e di sciabordio delle onde, evocato dal suono, impossibile via di fuga verso il personaggio ibseniano de "la donna del mare". Nora è a meno di un passo da racconto psicanalitico, e facilmente si può immaginare il suo viaggio a ritroso nella nevrosi parallelamente a quello di una Dora, all'attenta verbalizzazione didascalica dell'analisi freudiana. Le sue bambole sono i personaggi stessi della vicenda ibseniana, spettri, fantasmi dell'inconscio che diventano, nel corso della vicenda, automi caricati dalla molla degli incessanti windmills of your mind che macinano tutte le parole del testo, e rievocano le atmosfere mentali del primo Altman. Risulta ammirevole lo sforzo dell'interprete di descrivere l'evoluzione del personaggio passando dai toni "di testa" del gioco regressivo infantile, fino al cambio di latitudine di una voce "di pancia", in cui il femminile riscopre il suo potenziale distruttivo. Torvald, il marito, doppio maschile della protagonista, proiezione paterna, recita con convinzione le scene da un patrimonio, e si muove con agilità i fili del suo essere burattino domestico, senza però avere la coscienza tragicomica di un Ciampa. Il dottore incarna con la sua dolorosa allegria cinica, maschera della fine prossima, un'impossibile mortido, una pulsione di morte con cui Nora gioca per qualche attimo, come quando accarezza la pistola. Krogstad, lombrosianamente condannato ad incarnare i contenuti rimossi di questo inconscio femminile, è anch'esso una maschera di cartapesta la cui "brutalità" si lascia contagiare dall'atmosfera irreale, e fatalmente "imbambolare" dalla casa della protagonista. L'amica è un'impossibile redenzione, personaggio di un dialogo socratico in cui la verità appare come travagliato parto podalico. Il ripetuto richiamo di Nora alla necessità della meraviglia, del meravigliarsi, dell'impossibile sacrificio del marito, ha il sapore di un epater le bourgeois, che non riesce a soddisfare e soddisfarsi, se non nell'apparenza di una tarantella meravigliosamente ridotta a danza biomeccanica, a danza a scatti, nervosa, metafora efficace del falso movimento, del girare intorno, della ricerca di un'irrazionale, che si riduce ad essere ancora un'altra maschera. Il continuo va-e-vieni della moglie su e giù dalla scala, oltre ad essere il rocchetto di Hans, il gioco archetipico di abbandono genitoriale, portato al di là del principio del piacere, del bambino evocato da Freud, ci dona una dimensione verticale, un piano diversificato, in cui l'inconscio è capovolto, e ciò che vediamo sul palco è la banalità del suo inferno interiore. L'idea di inscricciolire la donna con una parrucca di capelli corti da enfant terrible che cade nel finale, per restituirci la chioma "adulta" dell'interprete, rende con efficacia i due volti del personaggio. E' da apprezzare particolarmente la volontà registica di evitare, con la conclusione della vicenda, l'ineffabile fuga verso la guarigione di Nora, preferendo restituirle la parrucca da "bimba" e bloccandola nel quadro doloroso della donna accasciata accanto al divano, forse pirandellianamente incerta se continuare in piena coscienza a recitare, come l'Enrico IV, la sua parte, e, parafrasando Nietzsche, ritrovare la stessa serietà nel gioco che metteva nella sua casa delle bambole.

Danilo Caravà

Ultima modifica il Giovedì, 15 Marzo 2018 12:25

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