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BESTIE DI SCENA - regia Emma Dante

"Bestie di scena", regia Emma Dante. Foto Masiar Pasquali "Bestie di scena", regia Emma Dante. Foto Masiar Pasquali

ideato e diretto da Emma Dante
elementi scenici di Emma Dante
luci di Cristian Zucaro
con Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Villa Carinci, Italia Caroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Alessandra Fazzino, Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli
e con Gabriele Gugliara e Daniela Macaluso
produzione Picciolo Teatro di Milano, Atto Unico/Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo, Festival d'Avignon
visto al Teatro Strehler, 3 marzo 2017

www.Sipario.it, 12 marzo 2017
www.Sipario.it, 8 marzo 2017
La presenza di corpi nudi in scena nella prima regia di Emma Dante per il Piccolo Teatro di Milano ha inevitabilmente sollevato discussioni e opinioni a favore e contro una tale forma di spettacolo anche se viviamo nel XXI secolo quando a parole si è fatto un grosso salto avanti nella cosiddetta liberalizzazione dei costumi e nella disinibizione.

È tutto rispondente al vero e l'argomento è piuttosto complesso e andrebbe sceverato fin dalle sue origini a cominciare dal fatto che nasciamo senza nessuna protezione di peluria, peli o pelli contro le intemperie e come tali nei millenni abbiamo inventato a seconda di latitudini, climi, usi, religioni... rivestimenti destinati a modificarsi quali espressione di un ambiente e di una personalità che li adatta al proprio gusto.

Tuttavia se si analizza il periodo romano, si nota come il rapporto con il proprio corpo sia connotato da maggiore senso di naturalità tanto che alcuni poeti latini non si vergognano di accennare nei propri scritti alle pulsioni anche erotiche poste sul piano delle altre esigenze corporali o di sostenere che il corpo di una donna nudo è più puro di quello vestito o semivestito, aspetti invece giudicati negativi e da reprimere da parte del Cristianesimo (nel passato per esempio considerando impuri due coniugi che avevano avuto un rapporto carnale non li accettava per qualche giorno ai sacramenti) esercitando così sui costumi del nostro Occidente un forte e secolare condizionamento modificato in modo sostanziale dal Concilio Vaticano II.

La questione è complessa e articolata tanto che oggi il rapporto con il proprio corpo è ancora caratterizzato da pudore e vergogna e il lavoro della Dante - come lei stessa ha confessato - non è partito con un progetto definito dello spettacolo quale è ora, ma dalla volontà di analizzare il lavoro dell'attore contraddistinto da fatica e da abbandono dell'io e della vergogna e a forza di sottrarre si è trovata di fronte "a una piccola comunità di esseri primitivi... a un gruppo di imbecilli" (che etimologicamente significa in baculum, senza bastone, senza nessun significato erotico, o spina dorsale, cioè senza nerbo, senza carattere) che danno più l'idea di uno stato primordiale dell'uomo che tuttavia cerca, pur nell'omogeneità di un gruppo legato da bisogni corporali e soggetto a una forza superiore, di emergere e diversificarsi.

Il gruppo di quattordici attori è già sul palcoscenico quando si entra in sala ed è impegnato in una serie di esercizi di 'preriscaldamento' attraverso cui acquisisce un ritmo autogenerato senza musiche o parole e dopo l'abbandono dei vestiti i corpi nudi - non quelli perfetti che la società dell'oggi contrabbanda come esempi di eterna giovinezza, ma quelli che ognuno si ritrova da madre natura che si manifesta attraverso 'pezzi' unici e comunque irripetibili - creano una sorta di figure di grande effetto tanto che in alcuni momenti paiono più un bassorilievo che corpi in movimento, il tutto senza trama, dialoghi...

Eppure non ci si annoia e il nostro guardare che all'inizio è rispettoso per gli attori, diviene naturale e come la vergogna degli attori scompare quando le mani non coprono più seni e genitali tanto da non volere più indossare i vestiti quasi che ogni corpo sia diventato parola, così i nostri sguardi li esaminano con estrema naturalezza scoprendo alluci valghi e altre varianti che la natura distribuisce con molteplice fantasia.

Una pièce che insegna che il nudo non è vergogna, ma bellezza di una natura che plasma con amore corpi che vanno rispettati e amati da ciascuno senza ricorrere a ritocchi che spesso li rendono ridicoli.

Wanda Castelnuovo

Si entra in teatro e gli attori sono in scena, fanno esercizi di riscaldamento, quelle azioni che caratterizzano qualsiasi laboratorio teatrale in cui scaldare il corpo è anche dare energia all'anima. Come veri e propri atleti del cuore, le bestie di scena di Emma Dante corrono, si flettono, danzano, si appropriano dello spazio, mentre il pubblico prende posto. Pian piano le luci si abbassano, la maschera avvisa che lo spettacolo sta per iniziare. Improvvisamente quell'allenamento fisico diventa marcia scandita, si fa danza e monopolizza l'attenzione dello spettatore. Dal gruppo compatto ad uno ad uno gli attori si staccano e cominciano a spogliarsi, indumento dopo indumento si mostrano nella loro nudità, coprendosi il sesso, segno di pudore e di vergogna. In sala è buio, è il segnale che quei corpi e il nostro sguardo sono destinati a dialogare per poco più di un'ora, forse a sfidarsi. La nudità non ha nulla di erotico, anzi racconta di una fragilità che Emma Dante con Bestie di scena non solo mostra e narra, ma fa esplodere in una coreografia muta, in cui la musica è data dai corpi che si muovono nello spazio, fatta eccezione per Only you dei The Platters. Quegli attori che si mostrano indifesi davanti a noi, diventano pian piano l'umanità smarrita, diventano noi. Uomini e donne insieme si ritrovano a misurarsi con uno spazio vuoto, buio, sono nuovi Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso e precipitati nel mondo, indifesi e un po' spaventati. Si aiutano l'un l'altro, si coprono i genitali quasi a difendersi dai nostri sguardi e a dirci della loro e nostra natura fragile. Di tanto in tanto un oggetto viene vomitato dalle quinte, un appiglio, ma anche una prova a cui le bestie di scena si sottopongono, proprio come accade nei laboratori teatrali. La tanica di acqua da cui abbeverarsi per poi concedersi un bagno lustrale è seguita dal lancio di un telo che copre e svela al tempo stesso. Una spada impone un duello, come il lancio di una bambola meccanica la possibilità di trasformarsi in poupette e giocare la nostalgia dell'infanzia, definitivamente passata, ma anche un'inquietante movimento da automa disumano. Il lamento dolce di una serie di carillon fa sì che dal gruppo si stacchi una ballerina condannata a estenuanti piroette. Sono questi alcuni momenti che Emma Dante costruisce chiedendo ai suoi attori/danzatori di agire, di fare, di costruire la loro storia, di trovare un posto, un'azione che li definisca, li narri. Ci sono i giochi dell'infanzia, così come la mimica di un istinto primordiale nella scimmia di Sabino Civilleri. I corpi finiscono col farsi segno e sotto le luci precise e calligrafiche di Cristian Zucaro brillano di una bellezza intensa, fatta di poesia e di vulnerabilità. Bestie di scena non mostra nulla di nuovo, sembra essere il punto di sintesi di ciò che è stato e di partenza per un nuovo, inatteso viaggio che Emma Dante si appresta a fare. In Bestie di scena si ritrovano eco dei precedenti spettacoli della regista palermitana: da mPalermu, a Vita, mia, da La Scimia fino alle Sorelle Macaluso, ma ci sono – nella danza – anche importanti omaggi a Pina Bausch della Sagra della primavera, piuttosto che a Maguy Marin di May B. Questi riferimenti sono forse gli appigli che lo sguardo di uno spettatore consapevole richiama a sé per muoversi in Bestie di scena che nulla concede, che nel suo rigore mimico e gestuale chiede di guardare, confrontarsi con la fragilità dell'essere umano. Bestie di scena di Emma Dante è una partitura fisica che riempie gli occhi, che parte dal teatro per approdare al mondo, vorrebbe raccontare la fragilità degli attori in scena e finisce col mostrare la nostra natura indifesa di uomini di fronte ad un tempo e a uno spazio a cui siamo del tutto indifferenti, particolare minimo nella grande macchina del Creato, particelle perdute nel buio dell'universo.

Nicola Arrigoni

 

Ultima modifica il Lunedì, 13 Marzo 2017 03:51

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