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ANNA KARENINA - regia Eimuntas Nekrosius

Anna Karenina Anna Karenina regia Eimuntas Nekrosius

di Lev Nicolaevic Tolstoj, adattamento: Tauras Cizas, regia: Eimuntas Nekrosius
con Mascia Musy, Annalisa Amodio, Corinne Castelli, Nicola Cavallari, Vanessa Compagnucci, Gilberto Colla, Alessandro Lombardo, Paolo Mazzarelli, Paolo Musio, Renata Palminiello, Paolo Pierobon, Alfonso Postiglione, Nicola Russo, Gaia Zoppi
scene: Marius Nekrosius, costumi: Nadezda Gultiajeva
Modena, Teatro Storchi, dal 12 al 15 gennaio 2008
Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Biondo Stabile di Palermo
al Municipale di Piacenza, 29 aprile 2008

www.Sipario.it, 14 luglio 2008
Panorama, N. 4  2008
Avvenire, 15 gennaio  2008
La Stampa, 14 febbraio  2008
Il Giornale, 16 gennaio  2008
Il Messaggero, 8 marzo  2008
Corriere della Sera, 9 marzo  2008

L’inesorabile destino, il tempo che tutto divora e la fame di amore di Anna Karenina sono, in estrema sintesi, i temi su cui si è concentrato Eimuntas Nekrosius nel portare in scena il romanzo di Lev Tolstoj, nella riduzione teatrale di Tauras Cizas. Anna Karenina di Nekrosius è un lungo viaggio di immagini potenti e commoventi che ha la forza di tradurre il bisogno di amore dell’eroina tolstojana in qualcosa che appartiene allo spettatore, che coinvolge emotivamente. Cinque ore di spettacolo non sono uno scherzo, ma la produzione di Emilia Romagna Teatro e del Biondo di Palermo, conferma la forza del regista lituano nel trasformare le parole in immagini. A finaco di alcune delle sequenze celebri del romanzo come: il ballo, il viaggio in treno, le corse, la serata a teatro, la morte di Nikolaj, il suicidio di Anna, Nekrosius recupera passaggi meno noti del romanzo, sottoponendo al senso di morte incombente l‘intera vicenda di Anna Karenina che si apre simblicamente con la notizia di un suicidio sotto le ruote del treno che porta Anna dal fratello Stiva (Alessandro Lombardo). E l‘intera storia è chiusa fra due segni di morte.
E’ il tempo che cadenza la disperata vicenda di Anna Karenina (Mascia Musy), donna d’animo generoso, travolta dalla passione per Vronskij (Paolo Mazzarelli), a cui sacrifica tutto. Nella visione di Nekrosius è come se la protagonista non potesse fuggire al suo destino di morte, non potesse che concludere la sua fame d’amore nel suicidio finale sotto il treno. L’improvvisa passione per Vronskij acuisce la natura inquieta di Anna, è come se facesse esplodere la sua insofferenza nei confronti di un vivere borghese che alle convenzioni sacrifica l’assolutezza dell’amore. Quell’amore assoluto Anna Karenina lo anela, lo cerca e non lo troverà neppure in Vronskiij. Non è un caso che questa passione triste di Anna sia sottolineata in maniera ossessiva dal regista lituano dal ritmo straziante del valzer triste di Sibelius che fa da leit motiv all’intera messinscena.
Nekrosius si inventa una scena che è una sorta di interno agreste, un nido familiare, all’interno del quale i meccanismi d’amore e di interesse e convenienza opprimono Anna e da cui può uscire solo con la morte. Con tre grandi tamburi che sono ruote del treno ed enormi orologi, Nekrosius rende visibile e inquietante lo scorrere dei giorni e delle ore e la tirannia del destino, incarnato da un grottesco Alfonso Postiglione, che attraversa la storia e la scena con beffarde incursioni, mostrando l’orologio come per dire: ‘Non c’è più tempo’. Eimuntas Nekrosius sintetizza il romanzo di Tolstoj in una serie di scene che descrive con estrema lucidità narrativa. Se in altri spettacoli il simbolismo di Nekrosius poteva parere oscuro o ellittico, in questo caso le azioni descrivono con poetica libertà le scene del romanzo. E allora è straziante la scena della sera a teatro, costruita con la cornice di un quadro, potente è ogni volta l’ingresso di quelle ruote-orologi che tornano a ricordare con crudeltà il destino dell’eroina tolstojana e dell’uomo. Per Anna Karenina, travolta dalla passione, le convenzioni saltano, l’assolutezza del sentire cancella le convenienze del vivere sociale. Alla passione di Anna si contrappone la determinazione di Kostantin Lévin, un ottimo Paolo Pierobon, che nel matrimonio con Kitty (Corinne Castelli), vede la realizzazione della sua rivoluzione umana, laddove la rivoluzione proletaria, sognata dal fratello Nikolaj (Nicola Russo) si stempera in una morte che è ascensione ad un oltre mondo che sa di speranza per un futuro migliore ma anche di sconfitta messianica. Con Anna Karenina Nekrosius conferma la sua forza visionaria, piegando la sua creatività alla leggibilità della vicenda del romanzo. Gli attori italiani mostrano di saper dare con discontinuità corpo e intensità alle invenzioni del regista lituano, ciò vale in particolare per Mascia Musy e Paolo Mazzarelli. Malgrado ciò Anna Karenina del regista lituano è uno spettacolo che rapisce, proprio per i suoi tempi, per le sue improvvise dilatazioni, per la capacità di giocare il senso incombente della tragedia con momenti di grottesca allegria che spiazzano e regalano agli spettatori tutte le contraddizioni della vita, quella vita che Anna Karenina decide di abbandonare, gettandosi sotto il treno. La scena mostra un abbraccio finale fra Anna-Mascia e l’attore Nicola Cavallari che muove le grandi ruote e che, aprendo il pastrano, mostra due fari di treno: un abbraccio che è una stretta d’amore e anche di morte.

Nicola Arrigoni

«Karenina» alla Nekrosius, evento mancatoAllo Storchi di Modena, il regista lituano firma un debutto intenso ma dall'esito incerto.

Un corpo a corpo straordinario: Anna rannicchiata in posizione fetale tra le braccia dell'amato Vronski, che la fa prillare e la trascina come una pena o un'espiazione. È una scena d'intensità struggente, che dice tutto al di là delle parole, dando il segno delle potenzialità acquattate nell'Anna Karenina secondo Eimuntas Nekrosius, prima assoluta allo Storchi di Modena (produzione Ert e Teatro Biondo). Altri colpi d'ala: il parto di Kitty; Levin e Kitty sui pattini; Anna a teatro o allo specchio, che è vanitoso ma riflette. E fa riflettere. Poi c'è la musica, con un tema di Jean Sibelius e l'uso ossessivo, ipnotico del refrain, cui s'appoggia la recitazione: un marchio del regista lituano. Eppure qualcosa manca, nelle 5 ore di spettacolo, per annoverare l'immersione nel romanzo di Lev Tolstoj fra i capolavori di Nekrosius. Il regista stenta a ottenere dai volonterosi attori italiani, a partire da Mascia Musy, che si sobbarca alla parte di Anna fino alla morte amorosa sotto il treno, esiti pari a quelli cui ci ha abituato con la compagnia Meno Fortas. Resta una bella scommessa, che certi guizzi smaglianti e gesti compendiosi c'illudono ancora possa essere vinta.

Roberto Barbolini

Il teatro di Nekrosius sfida Tolstoi Anna Karenina diventa poema epico

E' un teatro di stupori scenici, d'imprevedibile forza e fascino, quello di Eimuntas Nekrosius. Un teatro che, esprimendosi soprattutto per simboli, va diretto alla radice, al cuore del testo affrontato. Disvelandone con rara poesia l'essenza. Come successo al Teatro Storchi di Modena col debutto di Anna Karenina, con un coeso gruppo di giovani e giovanissimi interpreti italiani reclutati dall'Ert e dallo stabile di Palermo, che coproducono. Il capolavoro di Tolstoi, si sa, è innanzitutto una grande storia d'amore tragico dove il tema della passione sfocia nella dolente epopea della colpa, della espiazione, del perdono, della comprensione del cuore umano, ma anche un grandioso affresco storico della società russa di fine Ottocento. A fondersi con sublime bellezza in esso, una infinità di temi e di motivi che Nekrosius riesce a cogliere con segni teatrali impressionanti utilizzando oggetti elementari. Gli basta un nastro, uno specchio, un tamburo (che su una delle sue facce ha impresso le lancette di un enorme orologio che scandiscono il tempo che scorre impietoso) o, ancora, dei pattini, come nella scena dell'incontro fra Kitty e Levin. Nell'avvampare di una suggestiva colonna sonora, un confluire continuo di trovate sottili e pungenti per l'arco di cinque ore, tanto dura lo spettacolo suddiviso in tre parti.
Una sinfonia del destino, si potrebbe definire. Quel destino che Nekrosius fa apparire anche in veste di personaggio e che alla fine porterà via la sventurata protagonista, a cui dà immagine la bionda e delicata Mascia Musy, affiancata dai bravi Paolo Mazzarelli ( Vronskij), Paolo Musio (Karenin), Corinne Castelli (brillante di gioia di vivere la sua Kitty) e, soprattutto, Paolo Pierobon.

Domenico Rigotti

Per Anna Karenina l'amore è ginnastica

Alla quinta ora di spettacolo, Anna Karenina, alias l'attrice Mascia Musy, cammina a passi lenti verso il treno fatale, verso il gigantesco uomo-locomotiva che, spalancando lìimpermeabile, svela, cuciti all'interno, i due fanali contro i quali l'infelice eroina va a schiacciarsi come una falena mortalmente attratta dal lume, e lì si annulla, lì si contorce nell'ultimo spasimo che, per un istante, sembra proiettarla verso l'alto, in un'illusoria ricerca di cielo.

É un momento fra i più intensi e più felicemente significativi dell'Anna Karenina che il lituano Eimuntas Nekrosius ha realizzato in Italia, prodotta dall'Ert Emilia-Romagna e dal Biondo di Palermo. Uno spettacolo dal respiro lungo nel quale il gran romanzo di Tolstoj viene frammentato da Tauras Cizas in 29 quadri e collocato dallo scenografo Marius Nekrosius su uno sfondo di alte rocce scure decorate da una schiera di nidi e perforate da due pertugi che sembrano l'imboccatura di due caverne. Dinanzi a questa parete aspra e sul palcoscenico nudo, Nekrosius sviluppa il suo spettacolo che, come altre volte, si tende sulla corda doppia della tragedia e della farsa, del realismo e del grottesco, della memoria personale e del rito collettivo. É un procedere che mette in ombra la parola e privilegia il gesto, cerca la pantomima e la gag, tanto da citare le farse del muto e lambire la soglia dalla danza. Ed è significativa l'impressione di certe entrate, quando credi che i personaggi stiano per abbordare la scena con un "grand jété", tale è l'allure.
É in questo clima di fisicità che l'amore di Anna e del conte Vronskij attraversa tutte le fasi dell'esaltazione e della dannazione, si alimenta di erotismo, s'incupisce di gelosia, affronta i gradi della separazione e del riavvicinamento, mentre, intorno, si srotolano altre vite, nascono altri amori, s'intrecciano nuovi destini. Ed è denso di simboli il modo in cui Nekrosius evoca quel mondo. Il regista fa rotolare in scena i grandi orologi bianchi che alludono al passare del tempo, ma anche alle stazioni ferroviarie e ai treni; usa gli occhiali in senso metaforico; fa entrare a più riprese un maratoneta, che è una condensazione poetica del Destino. E poi sbozza il ritratto di Anna: un pacco che si puà prendere, mettere sotto il braccio e portare dove si vuole. Salvo poi accorgersi che il pacco ha un'anima.

Potremmo dire che in questo spettacolo le intenzioni promettano più di quanto poi non mantengano. Non sapremmo dire esattamente che cosa non funzioni, ma di sicuro c'è qualcosa, nel ritmo che forse cerca ancora la propria tensione, nella costruzione certamente notevole, qualcosa che non sa avvincere. Lo spettatore ammira la grandiosità del disegno, ma non ne viene rapito. Eppure Nekrosius prova ripetutamente a sedurre col suo vigore immaginativo così intriso di vecchia Russia, così saturo di pittura e di musica. E ci provano anche i suoi attori, a cominciare da Mascia Musy, ammirevole per l'energia fisica e per le ombreggiature emotive, continuando con il Vronskij di Paolo Mazzarelli e con il Karenin di Paolo Musio. Segnaliamo ancora Corinne Castelli, Paolo Pierobon, Renata Palminiello e Alfonso Postiglione nella parte del Destino. A loro e a tutti gli altri i fervidi applausi del pubblico del Biondo rimasto stoicamente in sala fino alla fine.

Osvaldo Guerrieri

Povera "Karenina"

Il dramma diventa circo equestre Ci sono tre modi per rendere giustizia a ciò che avviene in scena nel lunghissimo e farraginoso spettacolo che Eimuntas Nekrosius ha tratto da Anna Karenina. Il primo è la semplice descrizione di ciò che vediamo in scena. Ossia un fondale semicircolare nero, forato da due aperture al di là delle quali si scorgono le ripide scale che, nei film dell'orrore, conducono alla stanza delle torture. È lì sopra che Dolly, sposa tradita del fratello di Anna, piange le sue lacrime mentre il fedifrago la carica in slitta aggiogando se stesso al posto della renna per farla ridere e farsi perdonare le corna. È lì sopra che inservienti, amici e nemici sballottando tamburi che si rivelano enormi orologi introducono l'arrivo di Anna che sfoggia lo stesso colbacco e il medesimo sorriso stereotipato di Lana Turner nella Vedova allegra. È lì sopra che la Karenina patetica e smilza di Mascia Musy seduce il fatuo Vronskij dell'inespressivo Paolo Mazzarelli per essere poi divorata da un signore in frac che, al posto dello sparato, sfoggia due lanternoni da Orient-Express.
Il secondo modo di far capire di cosa è fatto questo treno luccicante di trovate e trovatine è quello di descrivere il tedioso non-stop di cinque ore come l'Evento che si attendeva da secoli. Proclamando estasiati di aver assistito a un recupero critico del music-hall. Completo di bande, saltoni da clown e acrobazie che sottolineano l'infelice passione dell'eroina che, quando è in fregola, punta il ditino contro il mondo mentre, quando è abbattuta, dà l'impressione di tramutarsi in una pallina da golf.
Il terzo modo è quello di interrogarsi su quanto resta del gran libro di Tolstoj nello spregiudicato allestimento del Genio Lituano. Che ha trasformato un trattato sull'elevazione dell'uomo al di sopra delle passioni in un succedaneo del circo equestre fatta salva la bellissima sequenza del matrimonio di Levin, il solo personaggio sfuggito al gioco al massacro per merito di un eccellente Paolo Pierobon. A questo punto chiederete qual è la scelta che ho adottato, ma salomonicamente non ve la dirò. Limitandomi a mettervi in guardia se vi tramuterete in spettatori di questa melassa italoslava farcita di troppe e maldestre intenzioni. Dato che il megashow dura ben cinque ore dove, tra cachinni e salti in lungo, c'è ben poco da divertirsi.

Enrico Groppali

Nekrosius dilata Mascia Karenina

Nekrosius è tornato a Roma, appuntamento tra i più attesi della stagione teatrale capitolina. E' in scena all'Argentina con l'Anna Karenina di Tolstoj, in una riduzione (di Tauras Cižas) che ben ricompone tempi-luoghi e azioni in quasi cinque ore di rappresentazione.
Una cosa è certa: resta intatto il potere magico che una qualche divinità deve aver concesso al regista di riuscire ad evocare il contesto di cui uno spettacolo si nutre, attraverso soluzioni sceniche inaspettate (lo aiuta il fratello Marius, autore di quinte da favola) e simboli che travalicano le iconografie tradizionali. Persino camicie e soprabiti si animano, grandi orologi e un fumo denso dicono stazioni e transiti ancestrali, varie paia di occhiali sostituiscono i bambini. Bambini assenti che sorvegliano il nascere e il morire, qui identificati da immagini sovrapponibili. Amore e Morte sono fardelli che il maschio deve sostenere, lottando contro il Destino, in questo caso rappresentato da una figura capricciosa, quasi un Puck shakespeariano.
E' particolarmente evidente la preparazione fisica degli attori, tesi a esprimere più attraverso il corpo che attraverso la parola il magma emotivo oscillante tra vitalità balcanica e fatalismo russo. Sussurri e grida sconfinano così in una recitazione espressionista che, nell'arco dell'intero spettacolo. mai cambia registro.Nekrošius raggiunge forse il meglio si sé quando dirige i "suoi" attori. I "nostri" gli sfuggono di mano, giocando alla follia in un manicomio dove ciascuno presume di essere un personaggio. Nel ruolo del titolo c'è Mascia Musy, già protagonista per il regista lituano dell'Ivanov di Cechov (2002). In scena anche Corinne Castelli, Vanessa Compagnucci, Alessandro Lombardo, Paolo Mazzarelli, Paolo Musio, Renata Palminiello, Paolo Pierobon, Gaia Zoppi. Fino al 16.

Paola Polidoro

Nekrosius: Tolstoj in 29 scene

Chissà a chi è venuta l' idea di Anna Karenina, se al committente, l' Emilia Romagna Teatro, o al magnate lituano Eimuntas Nekrosius, un regista alieno da testi di natura non drammaturgica. Riguardo al «magnate» naturalmente scherzo, ma la scelta del testo è cruciale. Ogni drammaturgia si situa tra il procedimento analitico del romanzo e quello sintetico dell' immagine (pittorica o filmica). La riduzione drammaturgica di un romanzo sempre rivela una condizione non già ambigua bensì strumentale, falsificante. Le soluzioni più felici sono state quelle dell' avanguardia, che non teme di fissare Moby Dick in uno spettacolo di sessanta minuti, in una serie di immagini-simbolo (Mario Ricci); e quelle del teatro di narrazione, con l' inevitabile scelta di romanzi brevi (Paolini, Baliani). L' adattamento di Anna Karenina operato da Tauras Cizas non si sottrae all' impoverimento del romanzo di Tolstoj. George Steiner osserva che in Anna Karenina l' onniscienza del narratore si traduce in una molteplicità di punti di vista. Inoltre, «ogni particolare è dato non per se stesso o per definire un' atmosfera, ma in quanto drammaticamente pertinente». Che succede nello spettacolo di Nekrosius? Vi si nota una letterale fedeltà al testo ma, di fatto, la sua riduzione a una sequenza (ventinove scene) che potrebbe essere detta televisiva, o da fotoromanzo, in cui ogni momento vive di per sé. Perché il fotoromanzo riacquisti uno spessore è necessario tutto il genio fantastico del regista. A differenza di altri spettacoli di Nekrosius, per Anna Karenina è inevitabile considerare non più l' insieme ma i singoli quadri, ovvero i momenti salienti. La totalità si presenta come satura di effetti statici, o inerti. Tutti i colloqui a due, o a tre, sono un più o meno colorito teatro tradizionale. Qualche volta viene voglia di urlare. Eimuntas, perché l' hai fatto? Perché hai accettato questa proposta, o questa sfida? Per fortuna Nekrosius non è il magnate ma il regista che è. Indimenticabile la scena undici, La passione. Essa vi è rappresentata come un vortice - Vronskij, alto, in piedi, e Anna, un fagotto tenuto sul petto dall' uomo. Le altre scene memorabili sono la diciannove, Il parto di Kitty, con quel cordone ombelicale lunghissimo che Levin deve tagliare non sa in che punto; la venti, La morte di Nikolaj, con il moribondo che per fuggire la sua sorte si arrampica all' infinito lungo una scala; la ventinove, Il treno, dove Anna si accuccia tra due fari, nascosti in un immenso cappotto che all' improvviso si apre. Queste quattro scene rappresentano i momenti alti della vita umana, per Nekrosius arcaico-mitici, mistici per Tolstoj. Essi avrebbero potuto essere strappati da una quantità di altri testi. Vi si vede il pensiero di Nekrosius più che quello di Tolstoj. Per Tolstoj, come osserva Michail Bachtin, gli eroi di Lermontov e di Tjutcev soccombono perché puniti dalla società; ma per Anna non è così, ella viene punita da un giudizio interiore. Di questo, nello spettacolo di Nekrosius non vi è traccia, ed è il capitolo fondamentale. Nella sua Karenina si legge una diversa visione. Le psicologie individuali, con il loro carico di storie (di colpe), sono inezie. Vale quanto non muta in ciascun essere umano, nascita, passione e morte. Di conseguenza, sulla scena, più che la flessibilità intima degli interpreti, eccelle la loro energia. Di essi, ricordo Mascia Musy, Paolo Musio, Paolo Mazzarelli, Paolo Pierobon, Alfonso Postiglione e Renata Palminiello.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Martedì, 23 Luglio 2013 09:05

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