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AFFABULAZIONE - regia Giovanni Gionni Boncoddo

Enzo Cambria e Daniela Conti in “Affabulazione”, regia Giovanni Gionni Boncoddo Enzo Cambria e Daniela Conti in “Affabulazione”, regia Giovanni Gionni Boncoddo

di Pier Paolo Pasolini
Adattamento e regia di Giovanni Gionni Boncoddo
Luci: Renzo Di Chio
Interpreti: Enzo Cambria, Daniela Conti, Luca Stella, Damiano Venuto, Peppe Galletta, Ferruccio Ferrante, Lucilla Mininno, Gabriele Crisafulli
Produzione: I sotterranei del Castello di Spadafora
Sala Laudamo di Messina 16 e 17 giugno 2018

www.Sipario.it, 18 giugno 2018

Di cosa voleva persuaderci Pier Paolo Pasolini negli anni che hanno preceduto il 68' con la sua opera Affabulazione? Forse che i silenzi o l'assenza di dialogo tra padri e figli hanno provocato danni irreparabili. Oppure che quando si è vecchi s'invidia nei figli la loro potenza sessuale. Forse. Fatto è Affabulazione sembra la parodia dell'Edipo di Sofocle e delle teorie di Freud. Solo che qui assistiamo al rovesciamento del mito edipico, perché il dramma ha come protagonista il padre Laio e non il figlio Edipo considerato un enigma affascinante da decifrare. Ma mentre l'enigma si può risolvere utilizzando la ragione, il figlio non si può decifrare e, come afferma Sofocle, in realtà è un mistero, senza soluzione. Edipo ha sciolto l'enigma della Sfinge ma non il mistero della condizione umana. E mentre l'impianto teatrale di Pasolini, ma è così anche per gli altri suoi lavori, rievoca quello della tragedia greca o della sacra rappresentazione medievale, qui Giovanni Gionni Boncoddo in questa sua messinscena di Affabulazione nella Sala Laudamo di Messina, di cui ha curato l'adattamento, ricorre agli stilemi della commedia dell'arte con i personaggi che ristagnano quasi al buio sulla scena pronti ad intervenire quando tocca a loro. E' un lavoro intenso, crudo e realistico in cui tutto appare eccessivo e amplificato, come è il padre impersonato da un Enzo Cambria asciutto e solido nel suo dire, davvero il fulcro di questo visionario spettacolo di Boncoddo, carico di comportamenti e parole che possono destare scalpore, come nelle intenzioni di Pasolini, rivolte a scandalizzare, scuotere, far parlare di se, anche reinventando un nuovo stile teatrale, in cui gli atti sono sostituiti da un certo numero di episodi, con prologo ed epilogo che si riallacciano l'uno all'altro. Protagonisti assoluti di queste "vicende un po' indecenti", patrocinate all'ombra di Sofocle nel prologo iniziale, quasi un fool quello di Peppe Galletta, sono un padre che vuole essere figlio (Luca Stella) e un figlio che non vuole essere padre e questo perché in genere l'adulto invidia e brama la giovinezza perduta, la leggerezza, la bellezza fisica del ragazzo. La madre, vestita da una Daniela Conti smarrita tra i labirinti della vita del marito, è colei che guarda stupita e sconvolta i suoi atteggiamenti ridicoli e ambigui, raccontando come in passato fosse diverso e sano. Adesso sembra una donna malata che si denuda di tutto. Il padre nei suoi deliri vorrebbe che il figlio assistesse ad un loro rapporto sessuale che non avviene perché la donna si rifiuta e poi per mostrare la sua forza virile, la sua sessualità attiva lo farà scappare quando il figlio lo sorprende mentre si masturba. Ha pure pulsioni voyeuristiche questo padre, allorquando a casa della ragazza del figlio ottiene da lei di poter spiare dal buco della serratura i due che fanno l'amore, recitando un monologo che conclude dicendo: «Ci sono delle epoche nel mondo in cui i padri degenerano/ e se uccidono i loro figli/ compiono dei regicidi». È in ombra se il padre, fuori scena, uccida realmente il figlio e se costui scompare per essere ritrovato da una palla di vetro d'un negromante o se è morto in guerra o se tutto è un sogno o un incubo. Fatto è che nell'epilogo il padre è diventato un barbone che vaga tra i binari e racconta l'assassinio del figlio e il suicidio della moglie, esattamente come Giocasta nell'Edipo re. C'erano altri personaggi reinventati da Boncoddo (Lucilla Minnino, Gabriele Crisafulli, Ferruccio Ferrante, Damiano Venuto e il cantautore Toni Canto con la sua chitarra) in questa appassionata riflessione su Pasolini rimasto per la società italiana un interlocutore scomodo ma da cui non si può fare a meno.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 20 Giugno 2018 12:01

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