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TURANDOT - regia Stefano Poda

"Turandot", Regia, scene, costumi, coreografia e luci Stefano Poda "Turandot", Regia, scene, costumi, coreografia e luci Stefano Poda

Dramma lirico in tre atti e quattro quadri

Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni

dall'omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi

Musica di Giacomo Puccini
Versione originale incompiuta
La principessa Turandot Rebeka Lokar/Teresa Romano
Il principe ignoto (Calaf), figlio di Timurn Jorge de León 
Diego Torre/Gaston Rivero
Liù, giovane schiava Erika Grimaldi/Natalia Pavlova
Timur, re tartaro spodestato In-Sung Sim
L'imperatore Altoum Antonello Ceron
Ping, gran cancelliere Marco Filippo Romano
Pang, gran provveditore Luca Casalin
Pong, gran cuciniere Mikeldi Atxalandabaso
Un mandarino Roberto Abbondanza
Il principe di Persia Joshua Sanders
Prima ancella Sabrina Amè/Paola Lopopolo
Seconda ancella Manuela Giacomini/Cristiana Cordero
Pu-Tin-Pao Nicoletta Cabassi
Direttore d'orchestra Gianandrea Noseda
Regia, scene, costumi, coreografia e luci Stefano Poda
Regista collaboratore e assistente Paolo Giani Cei
Maestro dei cori Claudio Fenoglio
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio "G. Verdi"
Torino, Teatro Regio dal 16 al 25 gennaio 2018

www.Sipario.it, 29 gennaio, 2018

TURANDOT incompiuta a Torino "non esiste" e sfiora il capolavoro – Regia di Stefano Poda

Turandot in scena il 16 gennaio 2018 al teatro Regio di Torino: scelta di estremo interesse, poiché improntata su due dati fondamentali: la rappresentazione dell'Opera in versione originale incompiuta, scelta dal Direttore stabile M° Gianandrea Noseda, nonché regia, scene, costumi e luci affidati a Stefano Poda, in una nuova produzione del teatro torinese.

Il Direttore Noseda ama (siamo in pochi) la versione priva di finale dell'ultima opera pucciniana, che giunge lì dove l'autore non riuscì o non poté compire il capolavoro e non lascia spazio ai finali successivamente composti da Alfano e Berio. Da altrettanto interesse si è fatto coinvolgere Stefano Poda, a cui questa scelta ha consentito di muoversi quanto più liberamente possibile in un territorio inesplorato: quello della premessa al finale che non c'è.

Turandot è una fiaba e dunque si presta alle singole immaginazioni e quella del Poda è notoriamente fervida. Dedito al teatro da una vita, l'artista ha sviluppato mirabilmente il dato della mancanza del finale all'interno dell'ideazione dello spettacolo.

Se dal golfo mistico, con il M° Noseda sul podio, giungevano magiche mirabilie agogiche, improntate ad una ondivaga "navigazione astrale" traslucida e onirica, con una gestione dei tempi adeguata a ciò che, anche d'insolito, accadeva in scena e dinamiche di corale, sontuosa corposità, era sul palcoscenico che si compiva l'altra metà della magia, in un luogo-non luogo di una raffinatezza formale ed estetica di gran classe. E visto che il libretto premette che l'azione si svolge "Al tempo delle favole", Il Poda ha trasferito questo tempo-non tempo in un luogo-non luogo. In verità il libretto premette anche un "a Pekino", ma la scelta del "non luogo", che evidentemente comprende tutti i luoghi, sia esistenti che immaginari, ha prevalso con prepotenza.

I personaggi che popolavano riccamente la scena erano irreali, diafani e a tratti misteriosi. I corpi bellissimi dei danzatori, resi bianchi dal trucco, con una divisione verticale rossa al centro che li percorreva interamente, come tutti sulla scena, pregna di significato simbolico, punteggiavano di forme e coreografie eleganti e inquietanti il palcoscenico, con una nudità che nulla aveva di volgare, in un indulgere alla danza nella quale il Poda trova una delle proprie espressioni favorite.

Gli altri personaggi immaginari e simbolici, vestiti con abiti da sogno in un bianco a tratti abbagliante, tramutatosi poi in nero, su cui spiccava il rosso del personaggio di Pu Tin Pao, in una totalizzante connotazione di "Morte", erano quasi senza peso; alcuni procedevano all'indietro, sembrava che sfidassero le leggi della gravità e ci si sarebbe aspettato di vederli camminare sulle pareti o a testa in giù senza alcuna meraviglia. Movimenti coreografici di stilizzata opulenza, che coinvolgevano anche gli interpreti: Calaf, l'ottimo Jorge de León che ha "tenuto" ammirevolmente il personaggio dal punto di vista vocale e scenico; il vecchio Timur, il gran basso orientale In-Sung Sim; Ping Pang e Pong, rispettivamente Marco Filippo Romano, Luca Casalini e Mikeldi Atxalandabaso, terzetto privato di connotazioni caricaturali; e Liù, la flessuosa Erika Grimaldi, dai bei filati, voce di ragguardevole proiezione e limpidezza.

Liù, citata per ultima, ma da tenere per prima in considerazione per l'assenza del finale, è diventata la vera protagonista. E Turandot? Stefano Poda ha fatto della frase "Turandot non esiste!" che è di Pong e Pang al primo atto nel libretto, il leitmotiv dell'intera rappresentazione. E siccome la principessa non esiste, il regista se l'è immaginata non assente ma moltiplicata, in una sorta di clonazione plurima, che richiamava un che di fantascientifico e telematico, frutto di un impressionante bagaglio visivo e visionario: realizzarlo in teatro, per lui luogo supremo deputato all'espressione dell'Arte, non è cosa da poco.

Dunque la monumentale e volenterosa Rebeka Lokar, dalla bella emissione naturale mai gridata, insieme allo spettacolare coro femminile del Teatro Regio, era una e mille altre Turandot, tutte uguali, tutte in sincronia, anche nel mimare il canto con le labbra, tutte abbigliate alla stessa maniera. Calaf non aveva modo di distinguere "la sua" Turandot e ci piace immaginare che non ci sia riuscito.

Liù, morendo, uccide Turandot, ovvero uccide tutte queste figure irreali e speculari, emananti inconsistenza e crudeltà. E morendo non cade, ma sorride: unico personaggio non stereotipo, pregno di sincera, vera umanità. Il finale, così, volendo considerare, c'era tutto.

Luci curate allo spasimo, costumi sontuosi, richiami indubbi all'alta moda ed al design, il tutto di un gusto di raffinatezza sapiente, di visionaria capacità di trasposizione onirica del Poda e di gran polso nel gestire un palcoscenico colmo di una quantità considerevole di persone, tra interpreti, coristi (gran prova del coro del Regio, diretto da Claudio Fenoglio!), danzatori e comparse.

Che i puristi gridino allo scandalo per l'assenza del folklore della Cina, dunque, è possibile, ma non è detto che sia condivisibile: le suddette premesse di "non luogo" e la qualità altissima dell'intera produzione potrebbero non consentirlo. Sarebbe poi un sacrilegio non riconoscere la coesione tra buca e palcoscenico, in una rara unitarietà di gusto e di intenti. Del resto, come detto più volte, si tratta di una fiaba e dunque, a maggior ragione, senza oltraggiare in nessun modo il capolavoro pucciniano, è bello, una volta tanto, vederselo restituito in una messa in scena tanto originale e finalmente nella sua meravigliosa incompiutezza.

Natalia Di Bartolo

Ultima modifica il Giovedì, 01 Febbraio 2018 08:44

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