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PRIGIONIERO (IL) - regia Andrea Breth

"Il prigioniero", regia Andrea Breth "Il prigioniero", regia Andrea Breth

Opera in un prologo e un atto
Libretto di Luigi Dalla Piccola da La torture par l'esperance di Villiers de L'Isle-Adam
La Madre: Angeles Blancas Gulin
Il Prigioniero Georg Nigl
Il Carceriere/ Grande Inquisitore John Graham-Hall
Primo sacerdote: Julian Hubbard
Secondo Sacerdote: Guillaume Antoine
Regia Andrea Breth
Direzione musicale Franck Ollu
Bruxelles, Teatro La Monnaie dal 16 al 27 gennaio 2018

www.Sipario.it, 22 gennaio 2018

"Il Prigioniero" di Dalla Piccola è il canto della Libertà. Un prigioniero langue nelle celle della Spagna dell'Inquisizione e canta l'angoscia della propria condizione. La Madre canta la propria disperazione. Il Carceriere incoraggia il Prigioniero a lottare per la libertà. E lo aiuta ad evadere. Una volta fuori, ricompare il Carceriere, che altri non è che l'Inquisitore. Che con dolcezza chiede al Prigioniero: Fratello... alla vigilia della tua salvezza perché tu volevi abbandonarci? E lo consegna al boia. È l'illusione della salvezza come tortura estrema e abisso insondabile di perversione.

Il Prigioniero, composto nel 47 e trasmesso dalla Rai (Radio) nel 48, è stata l'opera moderna più rappresentata durante la guerra fredda. Dal Metropolitan al Covent Garden, alla Scala e al Maggio Fiorentino. Usciva qualche mese dopo "1984" di Orwell: entrambe le opere cantavano l'anelito alla libertà, e il rimando alla Russia di Stalin era come scontato. Senonchè Il Prigioniero è anche il Canto dell'Ambiguità. "Mi è parso che nella tua Opera – scriveva Massimo Mila a Dalla Piccola - vi sia una sorta di oscura simpatia per il Grande Inquisitore... Hai mai sentito parlare di 'Filippismo'? Si tratta di un rapporto ambivalente con la tirannia, simboleggiato dalla figura di Filippo II: un miscuglio indefinibile di attrazione e repulsione. Tu sei sicuramente un bellissimo esempio di 'Filippista'', ossessionato come sei dalle carceri e dalla prigionia". Certo, risuona in queste parole l'eco di vecchie polemiche, Dalla Piccola era stato, fino alle leggi razziali del 39, un acceso sostenitore del fascismo, mentre Mila era antifascista (e nel 48 critico musicale dell'Unità) . Ma coglie nel segno quando parla di ambiguità. Nel primo intermezzo il coro canta velatamente le lodi dei sacerdoti che amministrano la giustizia di Dio: "La tua misericordia, Signore, scenda su di noi/ proprio come da te ci attendiamo/i tuoi sacerdoti siano permeati di giustizia/ e i tuoi santi esultino" (la trduzione dal latino è di Guido Laurini). Dalla Piccola era iper-cattolico, ma le ambiguità del suo 'Prigioniero' non autorizzano un esclusivo rimando allo stalinismo. Semmai all'universo chiuso nel quale l'uomo si era trovato negli ultimi anni a vivere: dal gulag ad Auschwitz, ai campi francesi per i rifugiati della guerra di Spagna, alle carceri di Franco e alla 'garrota'. Una ambiguità che ritornerà, esplicita, in "Portiere di notte" della Cavani e che sembra ineliminabile quando il racconto più atroce diventa arte. Nel 'Prigioniero', Dalla Piccola adotta in pieno il linguaggio della musica dodecafonica, che bene esprime l'angoscia dei personaggi. Qualcuno lo accusa di scarsa originalità: il suo modello musicale è il Pierrot lunaire di Alban Berg e quanto ai testo, il libretto è di suo pugno, ma la storia si rifà a "La tortura della speranza" del francese L'Isle-Adam. Senonchè già Mila, nel 48, notava quanto la tradizione del 'bel canto' addolcisse l'opera e le desse una autonomia estetica rispetto ai modelli tedeschi. La regia della tedesca Andrea Breth è impeccabile e scevra degli eccessi e stravaganze oggi cosi'frequenti: il prigioniero si trascina in una gabbia metallica, al centro della scena, appena visibile nel buio fondo e senza speranza. Ottime le voci (Georg Nigl, baritono, è il prigioniero, la Madre è la soprano Angeles Gulin, il Carceriere il tenore Graham Hall), direzione musicale (Franck Ollu) eccellente.

Attilio Moro

Ultima modifica il Lunedì, 22 Gennaio 2018 12:36

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