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GIOCONDA (LA) - regia Olivier Py

"La Gioconda", regia Olivier Py. R. Covatta (Isèpo), S.Hendricks (Barnaba), H. He (Gioconda), N. Liang (La Cieca). Foto Baus / La Monnaie De Munt "La Gioconda", regia Olivier Py. R. Covatta (Isèpo), S.Hendricks (Barnaba), H. He (Gioconda), N. Liang (La Cieca). Foto Baus / La Monnaie De Munt

Direzione musicale : Paolo Carigani
Regia : Olivier Oy
Gioconda: Beatrice Uria
Laura: Silvia Santafe
Alvise: Jean Teitgen
La Cieca: Ning Liang
Enzo: Stefano La Colla
Barnaba: Franco Vassallo
Zuane: Bertrand Duby
Theatre La Monnaie, Bruxelles dal 28 gennaio al 9 febbraio 2019

www.Sipario.it, 8 febbraio 2019

Ponchielli è un epigono della tradizione italiana dal belcanto. Anche se Verdi, al suo tempo, era ancora attivo, anzi nel pieno della sua creatività, visto che la Aida (1872) precede di soli 4 anni la Gioconda. Ma gli epigoni possono essere anche contemporanei dei loro modelli. E tuttavia anticipare la decadenza. Con la Gioconda siamo dunque già nella fase discendente della tradizione operistica italiana. Che aveva una sua miracolosa dimensione artigianale, nelle fasi della produzione così come in quelle della esecuzione, strumentisti e cantanti spesso improvvisati, bastava un impresario, un buon librettista e un musicista di talento. Nell'Italia postrisorgimentale, a partire dalla seconda meta del secolo, l'Opera diventa qualcosa di più complesso. Figura centrale del processo di produzione diventa sempre più l'editore, che orienta i teatri, gli artisti e il mercato. Nasce la casa editrice Ricordi, che della Gioconda fu committente. Seconda novità: gli italiani, che finora avevano fatto scuola, cominciano a guardare con interesse ai modelli stranieri, e il belcanto comincia a perdere la sua autosufficienza. Ed ecco allora la Gioconda, infarcita di balletti alla francese, secondo il modello di Auber e della Grand'Opera. E le suggestioni wagneriane, che proprio in quegli anni incantavano l'Italia e con le quali dovette fare i conti persino Verdi (nel Falstaff), sebbene giudicasse la musica di Wagner "roba da matti". Insomma: la Gioconda sconvolge la tradizione. Un equilibrio secolare si è rotto. Alcuni dei suoi personaggi sono di ispirazione non più italiana, ma, direi, faustiana ('un genio arcano mi trascina verso il male', canta Barnaba). L'eccesso tende a prevalere sulla misura. Così, un'opera concepita al di fuori della misura classica non poteva che essere rappresentata oltre il senso della misura. Ed ecco allora ballerini completamente nudi che simulano coiti e persino stupri di gruppo. Py, il regista, non è nuovo a questi eccessi. Che del resto hanno grande corso da Milano in su. Poi, l'ossessione della morte, scene lugubri, compiacimento del nero come colore umorale sparso sulla scena a piene mani, il Grand Guignol accompagna sempre la decadenza. E i cantanti a sguazzare tutto il tempo in una grande pozzanghera di acqua (tanto da rischiare di giocarsi la voce), non si capisce bene se in riferimento all'acqua alta che periodicamente inonda Venezia o per quale messaggio simbolico Py voglia affidare all'acqua. Quanto ai cantanti, spiccano per voce e tenuta scenica la Gioconda e Barnaba, i due poli del dramma. Più sbiaditi gli altri, insufficiente l'altra figura femminile dell'opera, Laura, per la sua timida presenza che non colpisce ne' l'udito ne' la vista. Eccellente invece il coro della Monnaie, guidato dal maestro Faggiani: sicuramente tra le eccellenze europee.

Attilio Moro

Ultima modifica il Domenica, 24 Febbraio 2019 10:56

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