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FALSTAFF - regia Pier Luigi Pizzi

Falstaff Falstaff Regia Pier Luigi Pizzi. Foto Ramella & Giannese

di Giuseppe Verdi
con Ruggero Raimondi, Luca Casalin, Federico Sacchi, Barbara Frittoli, Natale De Carolis, Laura Giordano, Francesco Meli
regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi
orchestra e coro del Teatro Regio
Torino, Teatro Regio, dal 7 al 24 ottobre 2007

La Stampa, 8 ottobre 2007
Il Giornale, 9 ottobre 2007

Falstaff, trionfa la vecchiaia

Il congedo dal mondo di Verdi, non tragico pessimismo ma energia vitale e salute corporea. Noseda dirige con vivacità dirompente, la regia di Pizzi coglie bene la natura popolare e burlesca dell'opera

Si ripete, ad ogni esecuzione, il miracolo di Falstaff. «Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensato alla cifra enorme de' miei anni?» scriveva Verdi a Boito nel 1889, iniziando la sua ultima impresa. E gli anni erano settantasei. Quando avvenne il trionfo alla Scala, Verdi ne aveva ottanta, e Fasltaff e l'opera del vecchio compositore, apriva, incredibilmente, nuove vie al teatro musicale. Adottando un soggetto comico, per la prima volta dopo Un giorno di regno (1840), Verdi rinnovava la sua scrittura: un'orchestra mirabolante per nervosismo ritmico, fantasia, colori; uno stile di canto che morde nella parola e, in quanto interpretazione musicale della lingua italiana, porta alle ultime conseguenze una ricerca iniziata con Macbeth, più di quarant'anni prima. L'incontro con Shakespeare, già allora, aveva impegnato Verdi in un confronto con la lingua, il suo significante e il suo significato, che costituisce il filo rosso della sua ricerca drammatica. La parola diventa musica nel Falstaff, scatta nel suo ritmo, si contrae e si distende nella durate delle sue sillabe, s'inflette, impennandosi e ripiegandosi nella naturalezza della recitazione cantata. Questo vuol dire cesellare ogni frase in un procedimento analitico, ossia costruire il personaggio per piccoli tocchi, pennellate minute, precise in ogni particolare: ne escono ritratti ad alta definizione, e un protagonista che è tra le figure più nitide, personali e incisive del teatro di ogni tempo. Renderle, con lo stessa esattezza prevista dal compositore, è la grande sfida cui sono chiamati gli interpreti.
Ruggero Raimondi, protagonista nello spettacolo che ha inaugurato, ieri sera, con grande successo, la stagione del Regio è uno smaliziato cantante-attore: gioca con Falstaff alla pari, e supplisce con la recitazione alle incertezze del canto. Il personaggio, seppure trattato sommariamente, nella pronuncia e nella continua, insidiosa oscillazione tra declamato e melodia, è vitale, mai parossistico, ironico, mai grottesco. Si pone al centro di quel fantastico girotondo scenico e musicale che l'esecuzione, nel suo complesso, rende come dev'essere: travolgente, ma con leggerezza. Gianandrea Noseda ha fatto un lavoro eccellente: sotto di lui l'orchestra scintilla e guizza con elasticità. Possiede anche la necessaria trasparenza perché Verdi, quando compone il Falstaff, pensa a Verdi e a Rossini: solo gli ottoni schiacciano un poco le sonorità con effetto di peso.
All'impressione di vitalità concorre il bello spettacolo di Pier Luigi Pizzi, come sempre di un'eleganza rara. I mattoni rossi dell'Inghilterra edoardiana in cui è trasportata l'azione sono lo sfondo su cui spiccano i costumi, bianchi e neri, per lo più, ma con le donne in colori squillanti: blu cobalto, verde smeraldo e cappellini da antologia, che bastano, quasi da soli, a creare i personaggi. Il tutto combinato in un gioco aereo, lieve, che nell'ultimo atto, prima con quel sinistro sole rosso su cielo nero, poi con la luna nella notte scura, e la quercia gigantesca dalle tinte autunnali, possiede una vera magia.
Eccellenti sono le donne: Barbara Frittoli (Alice Ford), Elisabetta Fiorillo (Quickly), Manuela Custer (Peg) e Laura Giordano che, insieme al tenore Francesco Meli, tratteggia con molta grazia ed eleganza la coppia dei giovani. Piuttosto sommario, invece, è parso Natale De Carolis, nei panni di Ford.
La sorprendente svolta di Verdi verso la commedia burlesca, mai più praticata dopo la seconda opera, Un giorno di regno, del 1840, produce nel Falstaff una cosa completamente nuova, pronta ad irradiare il suo scintillio in un raggio di diffusione europeo. Una verve che si sfoga in una fantasmagoria di frammenti che ieri sera ha baluginato dinnanzi agli ascoltatori con un'innegabile evidenza: di qui l'entusiasmo del pubblico e i lunghi applausi cadenzati che hanno accolto, alla fine, tutti gli artefici dello spettacolo.

Paolo Gallarati

Quel "Falstaff" fiabesco di un Verdi sempre giovane
da Torino

Sferzante e fluido, arguto senza cascare nella farsa. Il Falstaff che apre la stagione d'opera al Teatro Regio - e sta in scena fino al 24 ottobre - è uno spettacolo divertente che merita il successo ottenuto alla prima. Magari non il Falstaff ideale, per equilibrio tra le voci e qualche sbavatura nella sincronia dell'insieme. E tuttavia un buon lavoro in cui il direttore Gianandrea Noseda spreme dai complessi del Regio una prestazione di rilievo. La frustata orchestrale è incisiva, crepitante il ritmo, mentre il cesello dei dettagli affiora più nella distensione fiabesca del terz'atto che altrove. La commedia lirica con cui Verdi dà l'addio al teatro è del resto una partitura mostruosamente complessa. Nei panni del grassone giocoso ideato da Shakespeare Ruggero Raimondi regala humour e leggerezza. Attorno a lui, oltre ai maldestri compari Bardolfo e Pistola (Luca Casalin, Federico Sacchi), l'immancabile girandola di comari astute, mariti infuriati, streghe e fate. Barbara Frittoli ha la duttile vivacità di un'Alice di classe, Natale de Carolis è un eccellente Ford, suo marito. Assai bene anche la coppia amorosa Nannetta-Fenton (Laura Giordano, Francesco Meli), voci fresche e bel fraseggio. Regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi: una sobria ambientazione inglese fine '800 con le donne un po' Mary Poppins e gli uomini in cilindro. Come ad ogni riedizione riuscita, Falstaff rinnova il miracolo della gioventù creativa di un Verdi ottantenne. La gelosia, che aveva innervato i drammi di tutta una carriera, si capovolge in burla («Tutto nel mondo è burla» recita la celebre «fuga buffa» del finale) con la libertà e il distacco di un uomo che dalla vita ha avuto tutto e non ha bisogno di dimostrare nulla. Un grande pianista in vena di provocazioni, Glenn Gould, usava dire che Mozart a 35 anni non morì troppo giovane ma troppo vecchio. La continuazione del suo paradosso non è forse il guizzo geniale di Falstaff, la prova provata che Verdi, a 87 anni, morì troppo giovane?

Antonio Cirignano

Ultima modifica il Giovedì, 18 Luglio 2013 01:18
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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