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ERWARTUNG - FRANCESCA DA RIMINI - regia Italo Nunziata

Erwartung-Francesca da Rimini Erwartung-Francesca da Rimini Regia Italo Nunziata

di Arnold Schoenberg e Francesca da Rimini (1906) di Sergej Rachmaninov
con Elena Nebera, Iano Tamar, Igor Tarasov, Sergej Kunaev
Regia di Italo Nunziata
Scene e costumi di Pasquale Grossi
Maestro concertatore e direttore Hubert Soudant
Teatro La Fenice, marzo 2007

Corriere della Sera, 30 giugno 2007
Rachmaninov a Venezia

Una Francesca piena di Genio Ho tanti anni di mestiere dietro di me da aver ancora vissuto il tempo in che un grande compositore, un grande direttore d' orchestra, uno dei sommi pianisti di tutti i tempi, Serghei Rachmaninov, era considerato dalla critica un autore grossolano e «facile». Nessuno oggi più rischia il ridicolo dell' affermazione; tutti più o meno sanno trovarci noi di fronte a un genio. Incomincia la strada per il Rachmaninov autore teatrale dopo che il sinfonico, Concerti per pianoforte a parte, consegue, nella II Sinfonia, il riconoscimento d' essere opera fondamentale, nel Novecento, per la novità e complessità della forma. Le Canzoni con pianoforte piacciono a tutti per la delicatezza delle armonie e dell' espressione. La Fenice di Venezia mette in scena, per la prima volta in Italia, la Francesca da Rimini, eseguita sotto la direzione dell' autore nel 1906 in dittico con Il cavaliere avaro da Pushkin, un capolavoro assoluto. Ma anche l' atto unico di matrice dantesca è di stupefacente bellezza e potenza drammatica in ogni sua parte: si tratta di una vera e propria Sinfonia con voci e coro sulla quale è modellato il piano dell' azione. Questo, che usa tutte le possibili citazioni in russo del Canto V dell' Inferno, si deve a Modesto Ciaicovski, fratello del sommo Pietro. Nel caso suo ci troviamo di fronte a un presunto incapace: ma come può esserlo l' autore del libretto della Donna di picche e di questa Francesca da Rimini, che la trasposizione dantesca e il lavoro applicato a una forma musicale esegue con tanta sicurezza ed efficacia? Cerchiamo di seguire lo sviluppo dell' opera. A sipario chiuso si odono gli elementi tematici della «bufera infernal che mai non resta»: un turbinare, a volte fortemente cromatico, figuralismo anche del roteare e dell' esser trascinati di anime indifese come foglie in tempesta. All' acme, il velario si apre sull' immagine di Dante e Virgilio e i dannati; segue la scena di Dante che chiede d' interrogare una coppia allacciata e al vento così leggera. Questa parte, che si conclude con la icastica risposta «Nessun maggior dolore / Che ricordarsi del tempo felice / Ne la miseria» intonata a mo' di Corale da soprano e tenore all' ottava, chiude anche l' ampio sviluppo del I tempo della Sinfonia. Il coro ne ha avuto gran parte quale elemento timbrico-melodico: intona senza parole il soffio della tempesta; il suo uso non è meno raffinato da parte di Rachmaninov che nei Notturni di Debussy e in Daphnis et Chloé di Ravel. Una Scena e Aria di Gianciotto, qui Lanciotto, nello stile di Mazeppa di Ciaicovski, interrompe la forma sinfonica per dar luogo all' unico elemento lirico, come il seguente suo dialogo con Francesca che ne è l' appendice. Nel geniale allestimento di Pasquale Grossi alle anime è ricoperto il volto con una maschera da sala d' armi. Anche quello dello zoppo ne ha una, a ricordarci (v. 107) che l' assassino è atteso dal più terribile luogo infernale, Caìna. L' impostazione di Modesto e Rachmaninov fa cangiare, per la vicenda terrena dei due meravigliosi sventurati, il genere dall' epico al drammatico. Una variazione del tema della tempesta, con un trattamento rimembrante Chausson, riprende la Sinfonia costituendone lo Scherzo: il quale, caso non eccezionale, è fuso con l' Adagio, ossia il duetto e il fatale cedere dei due amanti. Essi vengono pugnalati in scena. Il Finale della Sinfonia, e dell' Opera, è una veloce ricapitolazione del I movimento, la tempesta, con gli amanti che sempre all' ottava cantano «Quel giorno più non vi leggemmo avante», il coro ferreamente reintonando «Nessun maggior dolore». Ho definito geniale l' allestimento di Pasquale Grossi. Egli rifiuta il rifarsi a Gustavo Doré e segna il palcoscenico con i neri riflettori a vista su fisso sfondo nero. Lo occupano paraventi con specchi convessi: un' anta proietta una stoffa color oro vecchio, l' altra riflette i figuranti. Questi, scalzi e ricoperti da un camicione, effettuano le stilizzate mosse del torcersi in piedi e sul pavimento come trascinati dalla bufera, secondo l' invenzione del regista Italo Nunziata. Non può condividersi invece l' impostazione del direttore d' orchestra Hubert Soudant, il quale, del pari nel «Monodramma» di Schönberg ch' è la prima parte del dittico alla Fenice, Erwartung («Attesa»), non gradua una scala delle dinamiche orchestrali e corali, giungendo a una dismisura di suono che provoca disturbo fisico. Non varrebbe l' obbiezione egli eventualmente attenersi alle indicazioni dinamiche della partitura, possedendo queste un' astratta validità da commisurarsi al volume della sala e alle sue caratteristiche acustiche. Il testo di Schönberg, altro capolavoro coevo, è di particolare difficoltà nella realizzazione scenica, dal momento che le indicazioni prescritte mettono capo a una realtà che noi sappiamo non esser tale: così i ricordi e la presunta scoperta del cadavere di un «amante» da parte della sola attrice protagonista. All' elegante razionalismo anni Trenta dell' allestimento risponde, e contrariis, un vero e proprio diagramma dell' isteria il quale altro non potrebbe essere che una masturbazione malata protratta per un' intera notte.

Paolo Isotta

Ultima modifica il Lunedì, 22 Luglio 2013 10:34
La Redazione

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