Jaurès Baldeschi (a cura di) I FILM LIBERANO LA TESTA. RAINER WERNER FASSBINDER Circolo del Cinema Angelo Azzurro, Castelfiorentino, pp. 112, s.i.p. (CINEMA - Alberto Pesce)
"I film liberano la testa". Con questo titolo perentorio, il tedesco Rainer Werner Fassbinder siglava un capitolo dedicato ad un film di Douglas Sirk. Ed è titolo scelto per un libro-omaggio del Circolo del Cinema Angelo Azzurro di Castelfiorentino all'opera di Fassbinder, morto nel 1982 a 36 anni, uomo di spettacolo irriverente e caustico, di una prolificità quasi patologica. Otto saggi critici ne rivedono disincanto d'anima e arrovellata poetica. Come, lasciando "che il sociale trapelasse nel personale", ha fatto dei suoi film metaforici specchi "in continua lotta con le mille facce di se stesso" (Jaurès Baldeschi). Perché fosse così appassionato di melò, con personaggi che "si fanno irretire dai ruoli di una finzione che diventa, pericolosamente, la vita vera"(Davide Ferrario). Come l'ammirazione per il gioco dei sentimenti nel "metodo sirkiano" debba coniugarsi con "quello brechtiano" dell'analisi che spinge alla riflessione (Gualtiero De Santi). Quanto Il matrimonio di Maria Braun tra "storia di un amore spezzato dalla guerra" e "riflessioni sulle condizioni di vita del dopoguerra" sia un modo di vedere la Grande Storia senza trasgredire classiche convenzioni di racconto. (Luisa Ceretto). E Despair invece, marchi "distanza invalicabile fra il personaggio e lo spettatore" (Roberto Chiesi). E con Il diritto del più forte, dinamiche di sfruttamento capitalistico, faccia un film-da-camera, "prevalente memoria di interno" (Tullio Masoni). E con La terza generazione sul terrorismo si butti sul politico, "figlio ma non prigioniero del '68" (Alberto Zanetti). E infine, a inqadramennto dell'estetica fenomenologica di Fassbinder, come il regista ami esprimersi "attraverso la voce del mondo femminile", e nella ricerca di senso-significato quanto "la fiamma emotiva" si differenzi da quella del cinema di Antonioni.
Alberto Pesce
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