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HERE/AFTER - coreografia Constanza Macras

Here/After Here/After coreografia Constanza Macras

Coreografia e regia: Constanza Macras
Drammaturgia: Carmen Mehnert
Testi: Constanza Macras
Di e con: Fernanda Farah, Tatiana Eva Saphir, Miki Shoji, Ronni Maciel, Santiago Blaum
Apparizioni speciali: Nile Koetting su Skype, Hiromi Iwasa su Youtube
Stage Design: Tal Shacham
Costumi: Gilvan Coelho de Oliveira
Produzione: Constanza Macras | DorkyPark and HAU/Hebbel am Ufer
Con il supporto di Capital Cultural Fund e del Governing Mayor of Berlin – Department for Cultural Affairs
Teatro Eliseo, all'interno del Romaeuropa Festival, dal 5 al 7 ottobre 2012

www.Sipario.it, 10 ottobre 2012
Constanza Macras e la danza che si fa teatro sociale

Here/After ultima produzione di Constanza Macras e DorkyPark racconta uno dei danni collaterali della società dell'interconnessione permanente, l'agorafobia. Ma lo fa in modo trasversale, senza mostrare il contesto in cui si genera, senza catapultare pubblico e perfomer nella caotica vita metropolitana fatta di traffico e supermercati. Racconta l'agorafobia mostrandone le conseguenze, l'autoreclusione. Dopo pochi mesi da Berlin elsewhere, pièce sull'esclusione, la follia e la segregazione, Macras riprende quel ganglio emotivo, lo seziona e lo guarda da una nuova angolatura. Se nell'allestimento scenico di Berlin elsewhere palazzi bianchi in gommapiuma si stagliavano su un fondo plumbeo da cielo cittadino, in Here/After tutto avviene dentro. Nella frammentarietà generale dello spettacolo c'è un'unità, quella dello spazio, here. Senza essere realista, la scenografia richiama l'interno di un appartamento, un divano bianco e un tavolinetto ruotano su una piattaforma girevole, il salotto. Una porta mobile separa gli ambienti di una casa che di continuo ridefinisce il proprio assetto. Svariati vasi di piante, alte, davanti a una pesante tenda azzurra che fa da fondo-scena e imita ostentatamente il colore del cielo, di un fuori negato e inaccessibile. E infatti nemmeno il rettangolo vetrato oltre la porta, che pure potrebbe essere una finestra, si apre sul mondo. Rassomiglia invece allo schermo chiuso di una tv in cui vive e si muove l'agile Miki Shoji. I gesti dei performer sono incessanti, smaniosi, non preludono ad azioni concrete. Di fatto sulla scena non accade nulla: Fernanda Farah e Tatiana Eva Saphir si annoiano, si intrattengono, e intrattengono il pubblico: giocano a imitare attrici famose, cambiano senza sosta trucco e costume. Tra un intrattenimento e l'altro fanno stretching o partono in movimenti esasperati dell'immaginazione: cosa accadrebbe se uscissero di casa e, ad esempio, andassero a una festa? E via in un lungo monologo sugli esiti di un ipotetico incontro e sulle terrificanti conseguenze sulla propria vita, stabile e inerte: passione, matrimonio, crisi, figli, divorzio, depressione. Di tanto in tanto Ronni Maciel (dai movimenti scattanti, sensuali e sempre precisi), anche lui con un costume sempre diverso, viene a interrompere la monotonia: porta una pizza express, o cerca di vendere qualcosa. Ma i rapporti tra i personaggi non sono chiari, né lo è l'andamento drammaturgico. L'accostamento delle scene dà un'idea di confusione più che di non-sense. E in questo ingenerato senso di confusione arriva tardi anche la contrapposizione tra here che è sinonimo di "dentro" e il "fuori" solo evocato, o al massimo invitato a entrare attraverso skype e youtube, due "fuori" a cui si accedere senza bisogno di uscire. Here/After in fondo ci invita a restare qui, a rimandare a dopo qualsiasi contatto materiale con il resto del mondo. Non propone alternative, né visioni teatrali in grado di illuminare la materia. Quello che propone Here/After è uno spaccato solo un po' parossistico della realtà. Una parodia che forse appaga la voglia di provocazione di una parte del pubblico, ma non provoca un vero moto di rivolta.

Bruna Monaco

Ultima modifica il Venerdì, 11 Ottobre 2013 12:06

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