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FURY TALE (A) - coreografia Cristiana Morganti

"A fury tale", coreografie Cristiana Morganti. Foto Claudia Kempf "A fury tale", coreografie Cristiana Morganti. Foto Claudia Kempf

idea e regia Cristiana Morganti
coreografia Cristiana Morganti
in collaborazione con Breanna O'Mara, Anna Wehsarg, Anna Fingerhuth
collaborazione artistica Kenji Takagi
disegno luci Jacopo Pantani
video Connie Prantera
editing musiche Bernd Kirchhoefer, assistente Sabine Rivière
tecnico suono-video Simone Mancini
interpreti Anna Figerhuth, Anna Wehsarg / Anna Fingerhuth
produzione Cristiana Morganti/ Il Funaro di Pistoia
in coproduzione con Festival Aperto / Fondazione I Teatri - Reggio Emilia,
in collaborazione con AMAT & Civitanova Danza per Civitanova Casa della Danza
con il sostegno della Città di Wuppertal e Jackstädt Stiftung - Wuppertal (DE),
al Teatro Ponchielli di Cremona, il 13 marzo 2018

www.Sipario.it, 18 marzo 2018

A Fury Tale di Cristiana Morganti è uno di quegli spettacoli che è destinato a riemergere nella memoria degli spettatori e si crede ricorrerà, ben oltre la sua effimera durata. Cristiana Morganti costruisce un lavoro che è vita, rigore, riflessione sulla danza, elaborazione del lutto – la coreografa è 'figlia' di Pina Bausch -, voglia di rialzarsi e trovare una propria strada creativa. Per fare questo è necessario mettere alla prova la semantica e il linguaggio, connettere il sapere fare danza col saper essere danza. Un telo bianco come unico spazio, una sorta di foglio su cui Morganti e le sue danzatrici Anna Wehsarg e Anna Figerhuth scrivono il loro rapporto con la danza, scrivono le loro emozioni, la rabbia e la dolcezza, la loro storia di donne e la convivenza totalizzante con l'arte tersicorea. L'inizio è subito spiazzante, rompe ogni possibilità d'incanto e di finzione. Cristiana Morganti entra in scena, presenta le sue danzatrici, racconta della genesi dello spettacolo e di sostituzioni di interpreti, il che vuol dire mettere alla prova la scrittura coreografica pensata per e con una danzatrice su un altro corpo, su un'altra gestualità. Che sia effettivamente così, poco importa, la cosa è in sintonia con A Fury Tale. Interessa l'effetto più che il racconto: questo è il fil rouge di A Fury Tale. Ciò pone subito una distanza: la distanza della costruzione, del montaggio, del fare e disfare del teatro, svela la finzione, non ti concede di partecipare, ti impone di essere sguardo esterno. La messinscena di Morganti ti tiene distante perché vuole lo sguardo dello spettatore consapevole e attento. Lunghe ed esili le due danzatrici sono a tratti identiche: anche per questo il medesimo nome di battesimo non sembra un caso. A Fury Tale procede per giustapposizione di situazioni, gioca un continuo spiazzamento. Il cambiare di vestiti – bellissimi e colorati in netto contrasto col bianco – è un cambiar pelle, così come è un cambiare temperamento il gesto corografico che procede per mimetismo e contrasto, che si fa leggero e sincopato, che è franto da una necessità di graffiare lo spazio. Cristiana Morganti – dopo Moving with Pina (2010) e Jessica and me (2014) – va in cerca di una possibilità dopo Pina Bausch, per quanto da lì parta, a Wuppertal faccia riferimento sempre e comunque e non potrebbe essere diversamente. Le due danzatrici sono l'io e l'es, sono sentimento e ragione, sono gli opposti che si attraggono, sono le due parti della mela platonica, sono complementari, sono proiezioni di Cristiana Morganti che tangente allo spettacolo fende improvvisamente la quarta parete e entra a pacificare, a risolvere i conflitti, ma soprattutto disvela la costruzione dello spettacolo, il pensiero di una danza che agisce la consapevolezza del movimento. Bellissimo il movimento in cui una danzatrice diventa ombra dell'altra proiettata sul palcoscenico, commovente il consolarsi e l'accapigliarsi delle due Anna che finiscono col confondersi e col farsi un unico segno in movimento su quel foglio di un bianco abbacinante e bruciante. Cristiana Morganti con A Fury Tale realizza un lavoro complesso, molto cerebrale, a tratti ironico e leggero, un disvelamento di sé che vive di grande rigore e se pure tiene le distanze mostra una maturità espressiva e di scrittura coreografica interessante, per quanto autoriflessiva e giocata nel contesto della metadanza.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Domenica, 18 Marzo 2018 15:32

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