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CHORÓS, IL LUOGO DOVE SI DANZA - progetto coreografico Alessio Maria Romano

"Chorós, il luogo dove si danza", progetto coreografico Alessio Maria Romano. Foto Andrea Macchia "Chorós, il luogo dove si danza", progetto coreografico Alessio Maria Romano. Foto Andrea Macchia

progetto coreografico Alessio Maria Romano
di e con Alessandro Bandini, Alfonso De Vreese, Caterina Filograno, Leda Kreider, Marta Malvestiti,
Cristina Nurisso, Benedetto Patruno, Matteo Principi, Filippo Porro, Marco Risiglione, Elena Rivoltini,
Walter Rizzuto, Livia Rossi, Martina Sammarco, Annapaola Trevenzuoli, Isacco Venturini
luci Matteo Crespi, Costumi Silvia Dezulian
progetto musicale Riccardo Di Gianni, assistenti alla creazione Filippo Porro e Isacco Venturini
produttori esecutivi Zerogrammi, casa LUFT, compagnia AMR teatrodanza
progetto realizzato con il sostegno di Permutazioni
un coworking coreografico a cura di Casa Luft, Zerogrammi, Fondazione Piemonte dal Vivo
in collaborazione con Festival Palcoscenico Danza e Università degli Studi di Torino
Al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano, il 7 e 8 aprile 2018
(prima a Collegno, Lavanderia a Vapore, il 17 marzo; a Lugano, LAC, il 27 marzo)

www.Sipario.it, 11 aprile 2018

Entrano ed escono di scena camminando e correndo. Si muovono da un punto all'altro dello spazio. Veloci e lenti, con scatti improvvisi. Si piegano, si rialzano. Sostano singolarmente davanti al pubblico che, entrando, li trova già in movimento. È quasi un prologo questo inizio di azioni che presto vedrà sedici performer dare forma a un coro magmatico di grande potenza poetica, che trae linfa dalle radici della tragedia greca innervandola di contemporaneità e di propaggini ancestrali, di energia cinetica, di bagliori gestuali. Chorós, il luogo dove si danza del regista e coreografo Alessio Maria Romano, è una creazione nata per il Corso "Luchino Visconti" della scuola "Luca Ronconi" del Piccolo Teatro di Milano, in seguito diventata una ricerca e un'esperienza professionale all'interno della compagnia AMR teatro danza, e, su commissione del direttore Carmelo Rifici, spettacolo compiuto. In Chorós si consuma un rito di gruppo, una elaborazione del senso del tragico che nasce e si propaga nei corpi in movimento di una tribù giovanile di oggi. E procura emozioni, visioni antiche e immagini del nostro tempo il loro incedere danzato che nasce dalla semplice pratica della camminata per trasformarsi e trasfigurarsi via via in una massa plastica modellata e sfilacciata dal continuo modificarsi del tessuto sonoro live, partitura di pura drammaturgia che, anche nel silenzio assoluto, detta ritmi fisici e dell'anima. Qui c'è solo il corpo a parlare, a "dire parole" in una coreografia pulsante che vive dentro una rigorosa scrittura scenica ma aperta al succedere del momento nelle relazioni che si creano. Procede a quadri Chorós, come schegge di un puzzle che si compone e scompone sotto i nostri occhi quali frammenti di una comunità, di un insieme di individualità alla ricerca di una propria identità. Dapprima isolati camminano sparsi in più direzioni fino a raggrupparsi nel comporsi sempre più veloce seguendo come uno stormo di uccelli il capo di turno nel modificarsi della rotta. In questo sciamare coreografico in più direzioni s'alzano folate di vento mitigate di colpo nella semioscurità di un fermo immagine che ingabbia il gruppo. Nel dondolare e oscillare, nel girare lento o vorticoso, si stacca sempre qualcuno, aspirante solitario all'ebbrezza della notorietà e della supremazia, al distinguersi dalla omologazione. Ma presto è riassorbito dal gruppo, rientrando in quella zona protetta e sicura da dove guardare oltre. Si stagliano, così, figure riconoscibili o allusive di eroi ed eroine del mito, che in brevi assoli o duetti, destabilizzano l'ensemble. Scuote il gruppo il passaggio dal silenzio ad un vociare metropolitano e a ritmi techno, dettando altre dinamiche di movimento. Una frenesia di danze scatenata in quei corpi liberi e impazziti che si placano improvvisamente convergendo sul fondo dentro un rettangolo luminoso. Da qui altre sequenze li vedranno schierarsi in due gruppi frontali, scrutarsi, attraversarsi, cadere e rialzarsi, ingaggiare lotte e scontri, fuggire e ritornare. E intanto avremo intravisto scene di Baccanti, di Troiane, forse anche di Antigone, di Ecuba, o di altri personaggi. Di sicuro, nella sequenza che volge al finale, mentre alcune donne dentro singoli fasci di luce modulano dei canti antichi che trascolorano con intonazioni blues, riconosciamo, in quel duetto di grande forza fisica tra due danzatori, i fratelli Eteocle e Polinice, ma anche Achille e Patroclo, o Caino e Abele. Il loro è un vibrante corpo a corpo, un incontro squassante che è duello, amore, odio, tenerezza, contesa, aggressività, abbraccio tra due fratelli, due amanti, due guerrieri. Scontro che genererà violenze e soprusi tra coppie e gruppi, lasciando corpi a terra di uomini che le donne raccoglieranno come madri, mogli o figlie, in una emozionante sequenza che le vedrà sollevarli componendo delle laiche deposizioni, e infine trascinarli pesantemente ammucchiandoli l'uno sopra l'altro. Nel silenzio, sfinite, si guarderanno smarrite. È encomiabile il risultato di questa creazione coreografica di rigorosa costruzione, ma aperta alla continua dinamica relazionale di ascolto in atto nel momento, che Alessio Maria Romano ha saputo forgiare sui e dai corpi dei bravissimi performer rendendoli un'entità unica. Attivando un meccanismo teatrale che tocca temi universali attraverso il solo moto gestuale sollecitato nei corpi, estrae dal movimento in progress un linguaggio naturale di danza fortemente coinvolgente. Come raramente accade di vedere.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Venerdì, 13 Aprile 2018 09:02

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