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BAUHAUS | BOLERO - coreografie Mary Wigman, Edward Clug, Mauro De Candia

"Bolero", coreografia Mauro De Candia "Bolero", coreografia Mauro De Candia

Dance Company Theater Osnabrück
coreografie di MARY WIGMAN, EDWARD CLUG, MAURO DE CANDIA
drammaturgia Patricia Stöckemann
ricostruzione e ricreazione di Henrietta Horn, Susan Barnett
assistente alle coreografie Leonardo Centi

A Bari, Nuovo Teatro Abeliano per DAB_ESPLORARE
del Teatro Pubblico Pugliese, il 21 febbraio, prima nazionale, e a Barletta, Teatro Curci, il 23 febbraio 2019

www.Sipario.it, 28 febbraio 2019

L'omaggio di Mauro De Candia al centenario della Bauhaus

Spettacolo importante quello concepito da Mauro De Candia con la Dance Company Theater Osnabrück, compagnia dell'omonima cittadina tedesca che il danzatore e coreografo pugliese, guida da sette anni. La serata Bauhaus|Bolero (proposta dal Teatro Pubblico Pugliese al Teatro Abeliano di Bari e al Curci di Barletta, dopo il recente debutto assoluto a Osnabrück), è il prosieguo di un lavoro autorevole e intelligente di direzione artistica che riflette una lungimirante progettualità e un coerente pensiero creativo pienamente dentro il solco della tradizione e della contemporaneità. Operazione da lodare quindi, l'aver programmato, nel centenario della nascita della storica scuola Bauhaus, tre diverse coreografie che portano la firma dello stesso De Candia, di Edward Clug e di Mary Wigman, ispirate a quel clima artistico che influenzò, da lì in avanti, le varie arti. Fucina d'idee innovative non solo nel campo dell'architettura, della pittura e del design, ma anche del teatro e della danza dagli anni '20, la Bauhaus e tutta la fertile corrente dell'Espressionismo tedesco che nacque in quell'epoca, da Brecht a Weill a Joss, va ricordato, storicamente, che durò fino a quando il nazismo la decapitò chiudendola nel 1933, costringendo i migliori artisti a cercare riparo all'estero. Del trittico Bauhaus|Bolero ancor più lodevole è il non facile lavoro di ricostruzione – attraverso una ricerca documentaria e iconografica di sole foto, diari e recensioni dell'epoca – di un brano di una pioniera della danza moderna quale è stata Mary Wigman, quel Die Feier (Celebrazione) ideato nel 1927 e terminato l'anno dopo. Il nuovo modo di danzare che con Rudolf von Laban si era inaugurato, e destinato a essere alternativo, faceva a meno dei passi classici accademici e li sostituiva con una gestualità ritmata scandita dai ritmi interni del corpo e dinamicizzata in una nuova visione dello spazio. La danzatrice tedesca rese quel rapporto uomo-spazio vissuto non tramite le modulazioni musicali obbligate ma seguendo, appunto, il moto interiore dell'uomo. Quindi coreografie spesso senza musica, oppure accompagnate da strumenti a percussione.
Die Feier, strutturato in tre tempi, si apre col lento ingresso di una schiera di danzatori disposti come disegni di un geroglifico egizio sia per le posture di profilo e poi frontali, che per le rigide gonne dorate e per gli strumenti musicali in mano. Gesti geometrici, ieratici, con scatti e giri repentini del busto e delle braccia quasi sempre aperte a calice, si accompagnano a suoni percussivi di gong e tamburelli e al successivo fronteggiarsi di due gruppi, a riti circolari, a immobilità a terra. Segue il turbinoso assolo di una donna dall'ampia gonna, sollecitata dal ritmo di tre percussionisti in ombra, che sempre più rotea velocemente come un derviscio, in un crescente stato di trance. Più teatrale e misteriosa è la terza sequenza, con tutti i dodici interpreti, abbigliati di mantelli grigi e di singolari berretti rossi, convergenti verso una figura vestita di bianco, immobile e poi danzante, accerchiata, respinta e assalita, che attrae e intimorisce, sacerdotessa o vittima sacrificale infine allontanata sotto un tunnel di braccia.
Creato nel 2016 per il Nederlands Dans Theatre, ed ora concesso anche alla Compagnia del Theater Osnabrück, Handman di Edward Clug su musica di Milko Lazar, è un gioiello coreografico di rara chiarezza compositiva coi suoi collegamenti concettuali alla Bauhaus tradotti in una danza dal forte segno contemporaneo. Affermato a livello internazionale con accreditate creazioni per lo Stuttgart Ballett, il Balletto Reale delle Fiandre, il Balletto di Zurigo e il Bolshoi, l'Ochi Ballet di Nagoya e il National Ballet of Portugal, dal 2003 il coreografo rumeno è al timone del Slovenia Maribor Ballet. Nominato nel 2017 per il Benois de la Danse proprio per Handman, Clug traccia coi corpi, ben stagliati nello spazio spoglio illuminato dalle luci essenziali di Tom Visser, una sorta di calligrafia le cui linee sono in continua evoluzione e completamente imprevedibili. Sono movimenti febbrili, che sfumano da un interprete all'altro nel comporsi e scomporsi di assoli, duetti, terzetti, raggruppamenti in fila e cerchi a terra a pancia in giù, che mettono in luce le singole qualità dei performer e la coesione del gruppo. Con le braccia sempre protagoniste, piegate e tese in rigide composizioni e intrecci, aguzze come forbici e taglienti come lame nelle teste oscillanti, Handman riflette un fare "artigianale" del lessico coreografico di pura danza, adamantina nell'elaborazione e nel rigore. Veloci ed energici, con sprazzi anche ironici, sulla puntellatura musicale delle note pianistiche, i corpi avanzano di profilo, di fronte, in diagonale, sempre in linee perfette, in un gioco di frantumazione e ricomposizione che sembra non terminare mai.
Il nuovo Bolero di Mauro De Candia è ora da ascrivere tra quelli da ricordare fra le numerose versioni coreografiche seguite a quella, in assoluto, più celebre di Maurice Bejart. Di questa De Candia condivide, accennandole appena, volute somiglianze estetiche subito ricondotte al suo lessico che fa dell'ipnotica partitura di Ravel un motivo per mettere in danza una marcia di corpi meccanici, quasi annullati, riconducibili a quel fanatismo nazionalista sempre in agguato che genera mostri. Nell'inizio, scandito da cupe detonazioni – suoni di Martin Rapple –, essi appaiono da una coltre di fumo moltiplicandosi e stagliandosi in un controluce giallo, provenienti da un intermittente e minaccioso buio. Prendono vita posizionandosi dentro un ring a terra delimitato da luci al neon ripetuto in alto in tre rettangoli sospesi che si alzano e abbassano creando incastri geometrici che sembrano respirare anch'essi sulle note di Ravel, quasi una macchina, o un occhio da Grande Fratello, che li comanda, li ingloba e infine li sospingerà in avanti illuminandoli. Si muovono dal basso delle posture e in verticale, in ginocchio e distesi, mani sui fianchi, guardinghi come animali nello sguardo dei portamenti, frontali nel disporsi dei gruppi, nel progressivo marciare in più direzioni ad alimentare la loro forza istintuale, nella ritualità circolare che li infiamma, o prolungati a terra a fecondare la terra. De Candia rende il motivo coreografico nuovo nella concezione drammaturgica fino a trascendere l'attrazione ipnotica delle compulsioni ritmiche di Bolero, che ha nella potente danza corale dei magnifici interpreti la sua catarsi.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Domenica, 03 Marzo 2019 00:39

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