Un angelo, un povero disgraziato o forse Dio in persona? L'ambientazione, i rumori degli spari e i canti che giungono dalla strada ci portano nell'Austria del 1938, da poco annessa al Terzo Reich, dove gli ebrei vengono perseguitati ormai incessantemente. In una casa di Vienna, in Berggstrasse 19 precisamente, si rifugiano il famoso psicanalista e la figlia Anna, interpretata da Nicoletta Robello Bracciforti. Padre e figlia discutono su ciò che sta accadendo ed Anna, una donna tanto coraggiosa, esorta il padre alla fuga. L'appartamento nel quale vivono è la scena di ripetute visite di un ufficiale della Gestapo, corrotto, abilmente interpretato da Alessandro Tedeschi. Questi, dopo ripetuti scontri con la figlia, la porta via per degli accertamenti. Haber, magistralmente irriconoscibile, presenta straordinarie doti nell'adesione alla figura di padre, anziano, malandato e preoccupato per le sorti della figlia. La platea ha un attimo di sospiro quando dalla finestra spunta un inaspettato visitatore. Considerato in primis come un paziente, Freud scopre che è molto di più. Ha davanti l'individuo di cui ha sempre negato l'esistenza: Dio in persona, oppure un pazzo che si crede Dio? Si vengono così a creare discussioni sui massimi sistemi, che portano Freud a formulare la fatidica domanda: "se Dio esiste, perché permette tutto ció?". La regia di Valerio Binasco mette in scena più che uno spettacolo filosofico, uno scambio di idee e opinioni dove emerge la figura umana. L'opera non risulta in alcun momento pesante in ragione ai riferimenti filosofici; anzi molto intrigante e coinvolgente grazie al continuo botta e risposta dei due protagonisti, come voci crepitanti di uno scordato contrabbasso (Haber-Freud) e un "indemoniato" violino (Boni-visitatore). Uno spettacolo che fa riflettere e nel contempo diverte, soprattutto per la sagace autoironia che da sempre contraddistingue i personaggi interpretati da Haber.