La promessa di risate si riduce a pochi passaggi e il solido testo di partenza è oscurato da alcune scelte rappresentative troppo caricate e buffonesche, la messa in scena non appare "graffiante" e "feroce" come avrebbe voluto essere.
La storia si basa sul classico triangolo amoroso del marito, la Bestia, la moglie, la Virtù, e l'amante, l'Uomo, interpretato in maniera eccellente da Geppy Gleijses: quando lei rimane incinta è necessario attuare un piano perché la paternità del marito sia plausibile e quel figlio non rovini le vite della moglie e dell'amante.
Dopo un onesto sfogo sulle colpe del marito e sui suoi doveri nei confronti della moglie, dettato dal terrore che il piano non abbia funzionato, Paolino, l'amante, scopre in realtà che i risultati sono perfino maggiori del previsto. Avviene quindi un capovolgimento di situazione: la moglie rimane Virtù, ma è vestita di dissolutezza, la Bestia afferma di possedere le caratteristiche dell'Uomo, e l'Uomo si autodefinisce Bestia. Il finale è forse la parte che vale l'intera rappresentazione, una conclusione che induce a riflettere ancor più della metafora dell'albero abbandonato. Quest'ultima è un appello, l'altra è un interrogativo tipicamente pirandelliano: è realmente possibile porre delle etichette sulle persone? Ed in base a quali considerazioni?