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Corpi in movimento e anime inquiete fra Europa e Mediterraneo. A Bolzano Danza la tirannide in un assolo con trenta corpi danzanti.- di Nicola Arrigoni

"Les Mémoires d'un seigneur" di Oliver Dubois. Foto Piero Tauro "Les Mémoires d'un seigneur" di Oliver Dubois. Foto Piero Tauro

Bolzano Danza – diretto da Emanuele Masi – vive di una sua coerenza storica – oltre trenta le edizioni – che non tace comunque le urgenze della contemporaneità. Nel riferire di un ricco cartellone festivaliero si può decidere di dire dei vari appuntamenti, nel tentativo di restituire la complessità di un racconto che nel caso specifico lavora con attenzione e profondità alla sintassi coreografica, così come al linguaggio della danza quale opportunità di elaborazione di un pensiero agito. Queste due anime esistono da sempre – verrebbe voglia di dire – nel cartellone di Bolzano Danza che guarda all'Europa e al 'vicino' Mediterraneo, come se la sua posizione di porta del Nord Europa all'Italia e all'Europa mediterranea ne 'condizionasse' in un certo qual modo l'azione estetica.
Il festival non ha tradito queste sue diverse anime offrendo al suo pubblico appuntamenti di forte e intensa caratterizzazione coreografica come Silk del Ballet de l'Opéra National du Rhin, compagnia guidata dal bolzanino Ivan Cavallari, oppure Short Stories di Carolyn Carlson con l'omonima compagnia nel cui programma è stato riproposto Density 21.5, la coreografia che ha svelato al mondo nel 1973 Carolyn Carlson e che è stata riproposta nell'interpretazione di Isa Micani. Nel segno della semantica della danza non si può non porre Evolution di Alessandra Ferri e Herman Cornejo, un ritorno alle scene della grande danzatrice applaudito con il calore che il pubblico sa riconoscere alle stelle della danza. Alle compagnie Cie Ecart con Pop Up, Compagnie Nocera Belaza con Le Cri e La Traversée e Cristina Rizzo con BoleroEffect (Rapsodia _ The long version) dicono di una tensione alla contemporaneità in cui l'io del coreografo è spesso destinato a farsi mondo, in cui corpo, musica e spazio trovano inattese fusioni, in cui gli oggetti possono diventare materia coreografica, oppure l'intreccio di movimento e meditazione dice di un rapporto corpo/mente che va oltre la dicotomia platonica.
Ciò apre la riflessione all'appuntamento più interessante e in un certo qual modo de-situante del festival, Les Mémoires d'un seigneur di Oliver Dubois del Ballet Du Nord, in prima mondiale al festival bolzanino. Un po' come accadde per Histoire d'un combat di Maguy Marin, l'azione coreografica diventa pensiero, pensiero sul mondo, sulla tirannide, sul rapporto col potere, sulla sopraffazione dell'uomo sull'altro uomo. Tutto ciò è affidato all'assolo del danzatore prediletto di Olivier Dubois, Sébastien Perrault, affiancato da trenta uomini di differenti età ed etnie a fargli da cornice, da scenografia, da corpus comunitario. I trenta 'danzatori amatori' sono materiale scenico per Olivier Dubois, sono corpo fluttuante, massa e coro, esercito e carcasse umane che soffocano l'orizzonte e dicono di una violenza del potere che si perpetua, che è del tiranno nei confronti del popolo sottomesso, ma anche della massa inferocita nei confronti del tiranno da deporre. Les Mémoires d'un seigneur si apre con l'ingresso di Sébastien Perrault e la dicitura tempo, in un lento ed esasperato percorso in diagonale, illuminato da luci di taglio. In quell'attraversare la scena c'è la rappresentazione del tempo che passa, indipendentemente dalla nostra volontà, c'è la piccolezza dell'uomo che poi sarà Seigneur nei confronti dell'abisso del tempo. Un tavolo di metallo è l'unico segno scenico di un allestimento che è tutto corpo, che costruisce atmosfere soffocanti, angoscianti grazie alla musica di François Caffenne, alle luci caravaggesche di Patrick Riou. Quei trenta corpi respirano, emergono dall'oscurità, trucidati dalla spada di quel tiranno, accatastati, sfidati a colpi di lama in una corsa convulsa che sa di ribellione da un lato e di fuga dall'orrore dall'altro. Sono corpi diversi, alti e bassi, giovani e vecchi, veri nel loro stare in scena e ben addestrati a essere 'scenario' dello spettacolo, comunità/umanità di fronte all'azione violenta del tiranno di turno, coro alla sua sete di potere, ma anche massa soffocante, quando il tiranno cade dal suo trono di potere. Dalla gloria alla barbarie, Les Mémoires d'un Seigneur toglie il fiato e mostra non solo la bravura eccelsa del danzatore feticcio di Olivier Dubois, ma anche la capacità del coreografo di gestire il 'materiale umano', di lavorare con quei corpi che nulla vogliono essere se non corpi in movimento, presi per la loro bellezza e intrinseca verità di vita. Nel cercare il coinvolgimento di una trentina di non danzatori non c'è nulla di sociale, nessuna vocazione pedagogica, ma solo la necessità di costruire intorno all'assolo di Sébastien Perrault una comunità, un'umanità mondo in cui – non senza qualche angoscia – il pubblico si riflette. L'effetto de Les Mémoires d'un Seigneur è potente, sacrale, di straziante e angosciante bellezza, è parabola di un'ambizione chiamata potere, è la conferma che l'uomo è il peggior nemico di se stesso, è un pensiero sulla violenza e sul dispotismo, sulla possibilità di alzarsi e ricadere nella barbarie, riflessione che oggi è più che mai urgente, scottante, inquietante.
Per questo motivo Les Mémoires d'un Seigneur ha rappresentato senza alcun dubbio il momento clou di un festival che guarda al mondo ed è internazionale per vocazione e allora basti pensare a Tenire les temps di Rachid Ouramdane, coreografo franco algerino che affida al gruppo e alla potenza della massa la sua riflessione su ordine e caos, ritmo e spazio in nome di una riflessione estetica sulla saturazione del mondo che chiama in causa tutti. Ed è ancora il 'Mediterraneo' a tenere banco con l'israeliano Roy Assaf che ha presentato Six years Later e Girls, due lavori che dicono di una storia d'amore sospesa fra passato e presente e del rapporto di cinque fanciulle nel delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta, in tutto 'narrato' con lo stile pulito e astratto della danza del coreografo israeliano. Sguardi oltre confine, sguardi dal cuore dell'Europa alle coste del Mediterraneo: in questi intrecci di prospettive coreografiche non poteva mancare una sezione dedicata a giovani coreografi: Anticorpi eXpLo di cui facevano parte Europa di Mara Cassiani e Into another body di Anastasia Kostner e in cui si segnala il gioco ironico messo in scena da Moreno Solinas, insieme a Igor Urzelai e Sebastian Langueneur protagonisti di Tame Game un divertissement sul corpo, sull'improvvisazione, sullo spazio circoscritto del teatro e sul pudore per una nudità rincorsa con divertito senso del pudore: un lavoro fresco, leggero e che mette di buon umore. In questi filoni e proposte coreografiche il festival Bolzano Danza ha dimostrato come la solidità della sua storia sappia intercettare con coerenza e intelligenza la contemporaneità, sappia offrire il linguaggio della danza non solo come esperienza estetica e fruizione di bellezza, ma anche come motivo di riflessione sul nostro stare nel mondo, sulle nostre in quietudini, paure, ma anche sulle emozioni di corpi che disegnano lo spazio, non solo scenico ma anche quello mentale di noi spettatori seduti in platea. E con i tempi che corrono non è cosa da poco.

Ultima modifica il Venerdì, 07 Agosto 2015 23:17

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