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FESTIVAL NATURA DÈI TEATRI 2018 - “IPHIGENIA 2018-2019”, installazione, costumi e regia Maria Federica Maestri.- di Franco Acquaviva

“Ifigenia in Aulide", installazione, costumi e regia e foto Maria Federica Maestri “Ifigenia in Aulide", installazione, costumi e regia e foto Maria Federica Maestri

IPHIGENIA 2018-2019
Progetto scenico-musicale da Gluck Euripide Goethe

IPHIGENIA IN AULIDE
Ah! quʼil est doux, mais quʼil est difficile
(Ah! è dolce, ma difficile)
da Euripide e Gluck

Testo e imagoturgia | Francesco Pititto
Installazione, costumi e regia | Maria Federica Maestri
Interpreti | Valentina Barbarini, Eugenio Degiacomi (basso), Debora Tresanini (soprano)
Musica | Andrea Azzali
Cura | Elena Sorbi Organizzazione | Ilaria Stocchi e Loredana Scianna
Ufficio stampa e comunicazione | Michele Pascarella
Cura tecnica | Alice Scartapacchio Assistente | Marco Cavellini
Media video | Stefano Cacciani
Produzione | Lenz Fondazione
In collaborazione con | Conservatorio di Musica Arrigo Boito

realizzato con il sostegno di:
MiBACT Anno europeo del Patrimonio Culturale 2018
Regione Emilia-Romagna EnERgie Diffuse Emilia-Romagna Comune di Parma
Creazione site-specific per Festival Natura Dèi Teatri

Visto il 3 luglio, all'Oratorio San Quirino, Parma, nell'ambito del Festival "Natura Dèi Teatri".

"Ifigenia in Aulide" di Euripide e l'omonima opera di Gluck si sovrappongono e si innestano nella nuova performance di Lenz, presentata al festival "Natura Dèi Teatri", a Parma. Seconda nuova produzione del gruppo, per questa edizione del festival, dopo il monumentale "Grande Teatro del Mondo" da Calderón de la Barca. E' un Lenz in stato di grazia questo, per lo sforzo produttivo che riesce a sostenere e per il livello di qualità delle opere presentate. Ifigenia, nell'omonima tragedia di Euripide, è la figlia di Agamennone, che dovrà essere sacrificata alla dea Artemide per consentire alle navi greche, bloccate da una bonaccia nella regione dell'Aulide, di riprendere la navigazione verso Troia. Così una lettera inviata dal padre induce la giovane figlia rimasta in Grecia a raggiungere l'Aulide con la promessa di sposare Achille. Quando, giunta alla base greca, Ifigenia viene informata della reale motivazione del suo viaggio, non solo non si ribella, ma accetta di sacrificare la propria vita pur di consentire ai greci di riprendere il viaggio verso Troia. Ma nel momento in cui il sacrificio sta per compiersi, ecco che l'intervento di Artemide fa sparire la giovinetta, al cui posto compare una cerva. Esempio di attitudine morale superiore che si oppone alla bassa logica di potere che muove il padre e tutti gli altri eroi, i quali sono disposti a sacrificare un'innocente pur di conseguire il proprio progetto di conquista, Ifigenia incarna anche lo scarto morale che un personaggio femminile impone alla ferrea logica del potere costituito maschile. Quest'ultima è la prospettiva di lettura dichiarata dal drammaturgo Francesco Pititto e dalla regista Maria Federica Maestri, che ambientano la tragedia in un "al di qua" dell'azione. Un luogo in cui, benché a danno del personaggio non sia stata eseguita alcuna sentenza di morte, il motivo della crudeltà del sacrificio imposto dai greci si oggettiva in un'ambientazione "insanguinata", che caratterizza fortemente la scena fin dall'ingresso del pubblico. Siamo nel raccolto e settecentesco Oratorio di San Quirino, costruito tra l'altro negli stessi anni in cui operava Gluck. Parte dell'"Ifigenia" del compositore tedesco fornisce la partitura musicale dello spettacolo, integrata con composizioni elettroniche originali ad essa ispirate di Andrea Azzali. La navata unica dell'oratorio è perimetrata ai lati da una recinzione di plexiglass trasparente, che non è parte della scenografia ma dispositivo di protezione. Tuttavia, com'è caratteristica di Lenz, questo elemento, che altrimenti sarebbe di difficile contestualizzazione, risulta decisivo, assumendo una potente funzione scenica. Dietro ad essa troviamo inizialmente collocati i personaggi della tragedia, come fossero nel retrobottega di un mattatoio o di un luogo dato alle esecuzioni pubbliche: qui Ifigenia ha un suo doppio nella soprano Debora Tresanini e per antagonista il padre Agamennone, impersonato dal basso Eugenio Degiacomi. La scena, dietro i pannelli, è illuminata da led che fanno lividamente risaltare le nicchie laterali dell'oratorio, e soprattutto mettono in evidenza una sequenza di stracci insanguinati, allineati lungo i due altari laterali destro e sinistro, che richiamano anche lacerti di carne umana là disposti dopo un sacrificio. Il contrasto è potente, laddove invece l'architettura barocca, con il suo nitore di linee, benché un poco appannato dalla vetustà dell'insieme, rimanda a un'atemporale serenità. Dietro i pannelli, macchiati da numerosi rivoli di sangue disseccato, Agamennone e Ifigenia, reiterano a più riprese l'atto di bagnare una pezza in una bacinella e di strofinare le macchie, che non cedono e persistono – una lacrimazione perenne, un buttare sangue che non ha fine né scampo. E così è per ogni azione umana in fondo, chiusa com'è nel soffocante recinto del proprio impulso alla violenza, qualunque ne sia la ragione, nobile o ignobile, legittima o illegittima. Perché sangue chiama sangue, e la spirale non si fermerà, anche se consegnata all'apparente medicamento del tempo. Ma il Mito perfora il Tempo e ci raggiunge: il sacrificio di Ifigenia comporterà ancora omicidi, con la vendetta di Clitennestra che uccide il marito Agamennone e del figlio Oreste che uccide la madre per vendicare il padre. Valentina Barbarini intercala agli interventi dei due cantanti la sua presenza sempre vigile, in equilibrio tra la necessità di dare voce alle parole del personaggio e un linguaggio fisico che svaria per movimenti, posture e gestualità tra l'animalesco, l'altero, il sensuale, l'iconico. Il rapporto di Ifigenia con Agamennone si articola poi lungo l'asse centrale della navata, in fondo alla quale, oltre a veder scorrere, sull'abside, le proiezioni di Francesco Pititto, vediamo campeggiare un letto a castello bianco ricolmo di coperte: altare, tenda, trono, talamo del re, dal quale egli impone il proprio volere. Volere che si oggettiva, in proscenio, nell'immagine della grande spada di legno approntata per il sacrificio, con la cui punta Ifigenia gioca, e che per tutto il tempo dell'azione rimane sollevata in posizione orizzontale, pronta a colpire. Spada che sul finale tornerà verticale, all'apparire dei corni di cervo con cui viene composta l'ultima immagine dello spettacolo: Ifigenia sdraiata sul lato destro, in proscenio, parallelamente agli spettatori, e le corna di cervo collocate a terra, di fianco alla testa, a completare la figura del divino animale. Mentre la grande spada di legno grezzo, a sinistra, stilizzata e povera, e tuttavia minacciosa, rimane ritta, segno premonitore di nuove sventure.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Martedì, 10 Luglio 2018 15:46

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