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PERIFERICO FESTIVAL X EDIZIONE - un progetto di Amigdala. - di Franco Acquaviva

Festival Periferico X Edizione - Douglas Henderson - Foto Roberto Brancolini  Festival Periferico X Edizione - Douglas Henderson - Foto Roberto Brancolini

Periferico Festival, X edizione
un progetto di Amigdala
ideato e diretto da: Federica Rocchi, Meike Clarelli, Silvia Tagliazucchi,
Sara Garagnani, Gabriele Dalla Barba
cura: Federica Rocchi
organizzazione, logistica, amministrazione: Silvia Sitton e Martina Marchesi

ufficio stampa: Michele Pascarella e Silvia Mergiotti

tecnica: Davide Cristiani e Fabrizio Orlandi
realizzato con il contributo di: 
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena,
Andante, Comune di Modena, Quartiere 4
, Regione Emilia Romagna
In collaborazione con
 Archivio Architetto Cesare Leonardi
,
Consorzio Attività Produttive
, Fabbro Fabio Po,

Fabele
Fonderia Ponzoni, 
Learco Menabue, 
Fionda Rivista collettiva del Villaggio Artigiano
Visitato il 27 maggio 2018

Siamo al Villaggio Artigiano, periferia ovest di Modena, per la decima edizione di "Periferico". Un festival che si propone un obiettivo ambiziosissimo, volendo riabitare con l'arte un quartiere che fu un modello di sviluppo industrial-artigianale – e diede vita a storie imprenditoriali importanti – stando in dialogo con gli abitanti, rianimando con il respiro dell'arte pezzo a pezzo gli spazi in disuso che lo costellano, riattivando le storie delle persone che lo abitano. Perché mai forse come in questo periodo storico di sbandamento generale abbiamo bisogno di esperienze, e del loro racconto, ma non tanto per farci un libro di memorie e versare qualche lacrimuccia sul tempo che fu, quanto per porci domande anche scomode sul presente, e per poter intravedere barbagli di futuro. Questa intenzione pulsa per così dire al di sotto di tutti gli interventi artistici e degli incontri cui abbiamo assistito. E spesso si esplicita in parola: smarrita o portatrice di speranza, che si fa canto-volo della voce recitante o evoluzione di corpi tra detriti e rottami di un'età del ferro che forse vuole o deve essere dimenticata. Il teatro è ben presente, pur nella varietà dei linguaggi artistici ospitati, anche nella sua primaria funzione di generatore di coro. Se abbiamo bisogno di riabitare un luogo, ecco che il coro teatrale, cellula di comunità nella tragedia antica e metafora di comunità nella nostra epoca, può dare un'indicazione.

Periferico 2018Isabella Bordoni - foto di Roberto Brancolini13

Così il lavoro che Chiara Guidi ha fatto con un gruppo di cittadini, e che vediamo-sentiamo riversato nello spettacolo Lettere dalla notte, dedicato alla poetessa Nelly Sachs, si può leggere anche in questo modo. "Sono imbarazzato da questa performance. E' un turismo che vuole estetizzare l'esistenziale". E' l'osservazione perplessa di uno dei partecipanti alla performance ironica di Isabella Bordoni (F.O.N.D.E.R.I.A. tabula linguae), un non-convegno dove gli spettatori, a intervalli stabiliti, possono coglierne i frammenti rimandati dalle casse all'esterno della Fonderia Ponzoni, stabilimento in via di dismissione, dentro cui si svolge l'incontro. La performance è il convegno e insieme la ricezione "esplosa" degli interventi da parte di chi occupa le quattro postazioni audio esterne. Ripensandoci, è quasi una dichiarazione d'impotenza delle parole. Collocato in un ambiente di lavoro, tra grandi cumuli di polvere di carbone accatastati alle spalle dei relatori, in un'atmosfera ferrosa che avvolge e insacca la luce, quasi deformandola, l'incontro si sviluppa intorno a quattro tavoli cui siedono studiosi, imprenditori e abitanti del luogo (anche la proprietaria della fonderia), operatori che s'interrogano sul futuro di quest'area, sul senso della città, dell'abitare, del lavorare, tra riemergente depressione e stacchi di speranza. E di fatto lo spazio del Villaggio, questo replicarsi di strade ortogonali senza alberi né esercizi commerciali, punteggiato di capannoni e di case, diventerà temporaneamente vivo per via del nostro attraversamento continuo. Ma non è "turismo". E non si tratta di "estetizzare l'esistenziale", quanto piuttosto di renderlo problematicamente presente attraverso l'arte. E' un andare in coppie o gruppetti o a volte in piccola folla ad ascoltare un intervento, seguire uno spettacolo, visitare installazioni che fanno recitare appartamenti, magazzini, ancora una volta luoghi dalla concretezza materiale quasi opprimente, che l'arte cerca di cambiare di segno. Un esempio eclatante in questo senso è l'installazione sonora di Douglas Henderson presso l'ex officina Menabue: una scultura fatta di una struttura di imbuti-altoparlanti di metallo che si avvolgono a spirale ascendente e rimandano le parole della poesia di Russel Edson "Sogno l'uomo". Qui non è solo il contesto a focalizzare l'intervento, ma anche il contrario. Il focus sulla scultura serve a mostrare in realtà anche l'ambiente che la circonda: un grande capannone ingombro degli oggetti più disparati, un ex salone d'automobili dove insieme a un parco macchine che farebbe la gioia di un collezionista, si possono cogliere impensati grumi di senso nella casualità assoluta che caratterizza il ridondante ammucchiarsi degli oggetti abbandonati dal proprietario: un ventilatore da soffitto crollato drammaticamente su una culla, un volume dell'enciclopedia "Conoscere il mondo" appoggiato sulla sella di un motorino degli anni '70... Tra le altre tantissime cose che si potrebbero raccontare scegliamo l'incontro con Chiara Guidi, e il suo spettacolo. E' un esempio di rara profondità e lucidità il pensiero dell'attrice della Societas, incentrato sulla voce come strumento che si muove "in una foresta di immagini invisibili" – come recita il titolo del suo libro, presentato da Sergio Lo Gatto e dalla stessa autrice. La Guidi parla della sua ricerca sulla voce, della necessità di "lasciare andare" a volte il significato di un testo, "e lo dico da filologa" aggiunge; perché poi – vado a memoria: "Dante è universale col tono della voce, non solo col significato". E dopo aver raccontato un episodio accaduto in un laboratorio in carcere, dove a un detenuto straniero l'attrice aveva dato il compito di leggere a voce alta qualcuno dei canti del poema dantesco, avendo lui colto benissimo il suono e dunque compreso Dante in quel modo, non potendo coglierlo nel suo significato, aggiunge: "Se penso a Dante in termini di significato escludo un sacco di persone, mentre se penso a Dante in termini di suono, includo molto di più". La poesia e il teatro come strumenti straordinari di inclusione. Quale migliore promessa per il futuro?

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Sabato, 09 Giugno 2018 10:54

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