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"Lighea la sirena" con Gianfranco Quero e Katia Pesti, all'interno della rassegna "Promontorio Nord". -a cura di Gigi Giacobbe

Gianfranco Quero in "Lighea la sirena" Gianfranco Quero in "Lighea la sirena"

Lighea la sirena dal racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
a Capo Rasocolmo (ME) all'interno della rassegna "Promontorio Nord"
curata da Roberto Bonaventura e Francesco Giostra Reitano

Sul punto più a Nord della Sicilia che contraddistingue il Capo Rasocolmo, sito in Contrada Piano Torre sulla riviera tirrenica ad una ventina di chilometri dal Comune di Messina con affaccio a mare, Gianfranco Quero attore e Katia Pesti pianista hanno dato vita ad uno dei racconti più celebri di Giuseppe Tomasi di Lampedusa titolato La Sirena o Lighea come avrebbe voluto chiamarlo Alessandra Wolff Stomersee, vedova dello scrittore, salito sugli scudi con Il Gattopardo. Uno spettacolo quasi da land-art in mezzo ai vigneti, salvati fortunatamente dagli incendi dolosi di questi mesi estivi, con gli spettatori che prendevano posto su delle panche di legno, mentre il sole al tramonto diventava una palla di fuoco e s'immergeva lentamente in quel mare Tirreno che accarezzava le isole Eolie. Quero vestito di bianco con cappello di panama in testa racconta di due singolari personaggi siciliani che nel tardo autunno del 1938 s'incontrano in un bar di Via Po, in una Torino distante da entrambi. Il primo è un giovane palermitano redattore de La Stampa, laureato in legge di nome Paolo Corbera, un tantino depresso al momento perché piantato contemporaneamente da tutte e due le sue amanti, il secondo è un eccentrico signore di 75 anni originario di Aci Castello che di nome fa Rosario La Ciura che vive della sua pensione di senatore e si pregia d'essere pure un illustre e stimato grecista. Fra i due si crea una simpatia reciproca, mista ad una curiosità tipica dei siciliani, che nasce dal primo istante, allorquando al Corbera, che sta leggendo il Giornale di Sicilia, gli viene chiesto da La Ciura se può dargli una scorsa, scoprendosi entrambi originari della stessa terra. Gradualmente fra i due sboccia un'amicizia che li porta a parlare delle umane cose con colte argomentazioni, mai banali sempre pregne di ironia, ricordando odori e i sapori dei ricci di mare, del rosmarino dei Nebrodi, accennando pure ad alcune avventure dongiovannesche personali. Un racconto che Quero, con naturale e maturata bravura e con innesti di poeti come Baudelaire e altri, continua poi su una barcone accanto al pubblico, mentre le note al piano della Pesti si vestono d'improvvisazioni in stile jazz, grazie pure all'utilizzo di vari strumenti percussivi (ocean drum, kalimba, theremin), alcuni forse costruiti da lei stessa, in grado di generare brezze e risacche e suoni astratti che rispecchiano ciò che passa nella mente dei protagonisti. E mentre le storie del Corbera risultano piuttosto banalotte, quelle di La Ciura si placcano d'incanto e di mistero, in particolare quando racconta d'una sua giovanile vacanza di studio ad Augusta e durante una gita in barca incontra una stupenda sirena, così come la si raffigura nell'immaginario collettivo, la quale salita sulla piccola imbarcazione ed esprimendosi in uno stentato greco gli dice: " Mi piaci, prendimi. Sono Lighea, sono figlia di Calliope. Non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto". Una creatura che esprime "bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia" e che emana un "profumo mai sentito, un odore magico di mare". E' stato un amore unico, intenso e indelebile che non proverà mai più nel cammino della sua vita. Il racconto finisce con un arcano e lapidario comunicato giunto al giornale del Corbera in cui si dice che La Ciura imbarcatosi sul Rex a Genova cade in mare nei pressi di Napoli e che il suo corpo nonostante tutte le ricerche non è stato mai più trovato. Lo spettacolo era inserito nella rassegna Promontorio Nord curata da Roberto Bonaventura e Francesco Giostra Reitano.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Sabato, 12 Agosto 2017 00:47

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