sabato, 20 aprile, 2024
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San Miniato - 70 anni di Festa del Teatro. Sempre numeroso il pubblico fedele all'Istituto Dramma Popolare.- a cura di Beatrice Tavecchio, Mario Mattia Giorgetti, Mauro Martinelli

"Il Martirio del Pastore" con Antonio Salines e Edoardo Siravo. Regia Maurizio Scaparro "Il Martirio del Pastore" con Antonio Salines e Edoardo Siravo. Regia Maurizio Scaparro

San Miniato
70 anni di Festa del Teatro
Sempre numeroso il pubblico
fedele all'Istituto Dramma Popolare

Settant'anni anni di storia per Sipario, settant'anni anni di storia per l'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato: un viaggio di vita parallelo, ma ogni anno, i due soggetti si sono incontrati per vivere l'evento teatrale che li ha uniti per lasciare una traccia: la traccia della memoria. E ciascuno ha dato il meglio del meglio per la drammaturgia: Sipario pubblicando testi teatrali da leggere e l'Istituto per metterli in scena; ricordiamoli: il meglio del meglio per gli autori: Thomas Eliot, Jacques Copeau, George Bernanos, Ugo Betti, Diego Fabbri, Paul Claudel, Ignazio Silone, Karol Wojtyla, August Strindberg, eccetera; il meglio del meglio per i registi Brissoni, Strehler, Costa, Squarzina, Enriquez, Zurlini, Guicciardini, a Trionfo, Calenda, Scaparro, eccetera; il meglio del meglio per gli attori: tutti i più grandi.
E questo bene operare ha creato un pubblico di fedeli, fedeli per credo, fedeli come spettatori,creando una comunità che negli anni è cresciuta insieme, che si è formata sugli eventi proposti, grazie alla partecipazione totale di tutte le forze in campo sul territorio di San Miniato, della Toscana tutta. È stata una semina che ha prodotto un buon raccolto, se in sette repliche del Martirio del Pastore, di Samuel Rovinski (tradotta e adattata da Eleonora Zacchi, opera portante dell'intero programma della Festa centrato sulle figure di tre religiosi quali Don Lorenzo Milani, Don Primo Mazzolari, e per ultimo a Monsignor Oscar Arnulfo Romero, Arcivescovo Cattolico, ucciso sull'altare nel 1980 perché predicava a favore dei poveri sfruttati, maltrattati, vilipesi, per il rispetto umano dei diritti civili dal potere autoritario del governo del San Salvator, nell'America Latina) ogni sera si sono raccolte oltre 350 persone plaudenti, intorno a questa compagnia del Teatro Belli-Arca Azzurra, composta da sinceri e bravi attori guidati dal regista generoso e creativo Maurizio Scaparro, la cui recensione, da leggersi a parte, è stata curata da Mauro Martinelli, mentre Beatrice Tavecchio ha intervistato sia Maurizio Scaparro sia il protagonista Antonio Salines, per indagare sulla nascita di questo spettacolo, che troverete sotto.
Noi, invece, abbiamo volutamente assistere a due repliche distanti tra loro per capire il pubblico: le espressioni e il loro comportamento prima e dopo lo spettacolo. E soprattutto la composizione poiché è dall'immagine d'insieme che si può capire quale sarà "l'anima collettiva"che accompagnerà le recite.
Già nell'attesa di accedere alla piazza del Duomo, dove da anni si fa teatro, di fronte alla principale Chiesa di San Miniato, si comprende che la gente si conosce, si saluta, si abbraccia. Sono persone avanti con gli anni, coppie adulte innamorate, nuclei familiari, prelati; pochissimi giovani, ma arriveranno col tempo, poiché i programmi futuri dovranno essere improntati al loro sapere in vista di un ricambio generazionale, necessario.
Al termine della replica, li ritrovi tutti che chiacchierano, si scambiano impressioni, giudizi, sembra una festa. Insomma, sono uniti da un interesse comune verso quel "Teatro dello Spirito" che per tutti questi anni l'Istituto ha loro offerto, con una accoglienza rispettosa, con sempre presente a fare gli onori di casa di Don Poero Ciardella, direttore artistico, coadiuvato da uno staff di prim'ordine: Angelita Borgheresi per l'organizzazione, Paolo Sani per Comunicazione e Marketing, Carlo Baroni per l'Ufficio stampa, impiegati gentili, maschere graziose. Infine, anche il coinvolgimento dei principali sponsor, quali Carismi (Cassa di Risparmio di San Miniato), Regione Toscana, Provincia di Siena, Comune di San Miniato, Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, Pontificium Consilium de Cultura e altri, consente l'unione del pubblico, poiché per le prime due repliche lo spettacolo è in mano agli sponsor e non c'è verso di poter entrare se non appartieni al loro consesso, anche se capiti da fuori, la porta d'ingresso è chiusa.
Il merito di tanta fedeltà è dovuto anche al rituale che anticipa la rassegna: il consueto discorso di circostanza del presidente Marzio Gabbanini, relazioni dei registi scelti, la partecipazione dei protagonisti; insomma sono buoni momenti di preparazione del pubblico agli eventi, al loro successo.

Mario Mattia Giorgetti


 

FESTA DEL TEATRO DI SAN MINIATO

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Per la sua LXX edizione la Festa del Teatro di San Miniato ha scelto una storia semplice, di quelle che rimangono nascoste in qualche angolo della memoria e di cui in genere ricordiamo solo l'epilogo, collegato a un nome e a una data. Il più antico festival teatrale italiano, da alcuni anni sostenuto dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare, continua ad esplorare i percorsi della fede, intesa non in senso confessionale ma come tentativo di risposta ai grandi interrogativi di oggi. Il teatro religioso si trasfigura così in istanza sociale, scegliendo tra le tante drammaturgie quelle che meglio rappresentano lo sperdimento dell'uomo contemporaneo, la sua esigenza di una bussola che sappia indicare una modalità di azione, o quanto meno di pensiero.
Ecco che quindi la scelta del testo Il martirio del pastore del drammaturgo costaricense Samuel Rovinski, proposto a San Miniato da Antonio Salines (che ha anche vestito i panni del protagonista), tradotto dallo spagnolo e adattato per la scena da Eleonora Zacchi e andato in scena dal 14 al 20 luglio, sottolinea l'importanza di uno sguardo etico sul mondo, raccontando la progressiva presa di coscienza del protagonista, Padre Oscar Arnulfo Romero, nei confronti degli oppressi e degli ultimi della terra.

La vicenda ripercorre gli ultimi tre anni della vita dell'arcivescovo di San Salvador, capitale della piccola repubblica centro americana di El Salvador, rappresentato inizialmente come uomo di pace, interessato alla spiritualità e spaventato dalla politica, ma con il tempo sempre più coinvolto nelle vicende del suo popolo, sfruttato dai latifondisti con la complicità della dittatura militare. Dal 1977, anno in cui viene ucciso Padre Rutilio Grande, un amico che lo aveva esortato ad aprire gli occhi sulla situazione di miseria ed oppressione dei campesinos, monsignor Romero inizia a chiedere il rispetto dei diritti umani per i poveri e gli oppressi. Lo fa prima timidamente attraverso le omelie, poi tramettendo la sua voce e le sue domande in tutte le chiese del paese, collegate in via radiofonica, poi incontrando i rappresentanti dei latifondisti, che inizialmente avevano plaudito alla sua elezione ad Arcivescovo, ritenendolo una persona con cui sarebbe stato possibile trattare. Malgrado minacce sempre più dirette, prese anche a denunciare le violenze, le sparizioni e gli omicidi dei contadini, chiedendo alla giunta militare di chiarire le vicende più oscure, senza mai contrapporsi apertamente al potere ma invitandolo a stringersi insieme a lui in un grande abbraccio al popolo. Ma fu tutto inutile: Romero venne ucciso mentre alzava l'ostia per la benedizione, nella sua cattedrale, cadendo davanti all'altare il 24 marzo del 1980. Sapeva che sarebbe successo, e che il suo sacrificio non sarebbe stato vano. Dopo un periodo di oblio, nel 2015 papa Francesco lo ha proclamato beato, riportando così l'attenzione della Chiesa a una voce che si è spesa fino all'ultimo in difesa dei poveri e degli emarginati.

La regia di Maurizio Scaparro pone l'accento sul percorso individuale di monsignor Romero, da un atteggiamento inizialmente dimesso a una forza profonda conquistata progressivamente e intrisa di serenità e decisione. La scenografia è sobria, completamente in legno e rappresenta con poche assi una chiesa, teatro unico dei dialoghi tra i personaggi e un altare sormontato da una croce.
I dialoghi tra il protagonista (un Antonio Salines misurato, dapprima quasi timido, poi via via sempre più convinto delle sue scelte) e gli altri personaggi rappresentano la difesa di schemi e scelte consolidate: le pretese di aiuto avanzate dai poveri, la sorda difesa degli interessi economici dei latifondisti, la ferma gestione del potere a tutti i costi da parte dei militari. Solo Romero affronta un percorso di crescita interiore, di acquisizione di consapevolezza, e più le sue parole sono pacate e il tono sereno, più la sua voce si eleva al di sopra delle pretese dei singoli comprimari per assumere un ruolo universale. E' soprattutto in questa scelta drammaturgica la grandezza di regia e protagonista: nel sottrarre (periodi dal testo, rumori dalla scena, enfasi dai dialoghi) e, così facendo, nel dare profondità e spessore al racconto.

L'oligarca di Edoardo Siravo rappresenta con intensa fisicità e voce possente le richieste della casta, mentre il Padre Grande di Gianni De Feo innerva di cuore e passione tutta la narrazione. Contrappunto di alcune scene è anche la voce di De Feo che canta El profeta, una melodia sudamericana struggente di Yolocamba Ita, dedicata proprio a Romero ed alla sua parabola umana. Tutta la compagnia si muove su ritmi sicuri, scanditi dalla potenza delle parole e dalla regia equilibrata e sincera di Maurizio Scaparro. Ed è stato un regalo speciale la pioggia di luglio che a San Miniato ha obbligato gli organizzatori a sospendere la rappresentazione dopo mezz'ora, costringendo spettatori, attori e tecnici a trasferirsi nell'attiguo Duomo, dove una scenografia naturale, consacrata e in marmo, ed una grandissima capacità di adattamento hanno reso possibile completare al meglio una delle narrazioni più intense e commoventi degli ultimi anni.

Mauro Martinelli

Il Martirio del Pastore
di Samuel Rovinski (adattamento di Eleonora Zacchi)
con Antonio Salines e Edoardo Siravo
e con (in ordine di apparizione) Gianni De Feo, Riccardo De Francesca, Michele De Girolamo, Fabrizio Bordignon, Gabriella Casali, Eleonora Zacchi, Alessandro Scaretti, Marco De Francesca
Regia di Maurizio Scaparro
Aiuto regia Alice Guidi
Assistente alla regia Eleonora Zacchi
Traduzione ed elaborazione del testo Eleonora Zacchi
Organizzazione Riccardo De Francesca
Canti popolari eseguiti fa Gianni De Feo
Musiche originali Eduardo Contizanetti
Impianto scenico Maurizio Scaparro
Costumi Giuliana Colzi
Luci Marco Messeri


 

Intervista a Maurizio Scaparro

di Beatrice Tavecchio

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Prima di tutto complimenti per uno spettacolo così equilibrato e così vicino alla realtà storica. Quanto lavoro di ricerca è stato necessario per realizzare questo spettacolo?
La ricerca è stata per lo spettacolo, non per il testo. Il testo c'è, è di Rovinski, adattato da Eleonara Zacchi per noi e quindi io ho fatto il mio lavoro su Romero, per farlo conoscere. Bisogna ricordare che c'è una ragione se per 36 anni ci si è dimenticati della sua esistenza e perché ora è tornato di attualità grazie a Papa Francesco che lo ha beatificato. Vorrei sottolineare come sia importante oggi ricordare le parole di Romero. E mi pare un'ammissione da parte di uno che non ha "il privilegio di credere" [parole usate da Paolo Grassi, direttore amministrativo del Piccolo Teatro di Milano a proposito della sua fede], ma ha fede in qualche cosa, senza avere il privilegio di credere. Mi sento molto attento alle sensazioni che nascono da grandi persone come Padre Romero e nello spettacolo si sente anche da parte mia l'amore verso costui.

Lei ha fatto Aspettando Godot, dove c'è la presenza di un Dio che non arriva e di quattro personaggi che vorrebbero vederlo. Quindi, quale passaggio c'è stato da Aspettando Godot a questo spettacolo?
Non c'è stato un passaggio ma la sua domanda è molto bella e sottintende sempre una certa lotta. È un bel parallelo, mi fa molto piacere perché non è cosa voluta assolutamente... è sentita da parte mia. Quindi evidentemente c'è qualcosa che accomuna Godot, che non arriva mai, a un Dio che arriva...

Quindi il discorso continua?
No, io non l'ho continuato. Se continua è perché lei hai visto una continuazione, più una ricerca che nasce certamente in Beckett da questa esigenza. Beckett non conosceva Padre Romero evidentemente, ma quello che accadeva in quegli anni, '80, '70 sconvolse l'Europa, non il mondo intero di cui non sapevamo niente. Noi i campesinos neppure li conoscevamo, non sapevamo quante miserie, quante storie, quanta ricerca di Dio ci fosse allora, ed oggi in altri mondi. La ringrazio per questa domanda, per questo rapporto che sento mio, ma che non è premeditato, ecco.

Lei dice che in questo lavoro l'ha interessata la figura di Romero e soprattutto la fede. Il concetto di 'fede" da una persona come Lei che si dice laica, è molto interessante. Che cosa vuol dire "fede" per Lei?
Quando io dico che non ho il privilegio di credere, c'è in mezzo la parola 'privilegio'. Sento l'importanza della fede e mi dispiace di non avere il privilegio di essere fedele. Ma sono aspirante [ride]. Non rifiuto la fede. Non ho il privilegio di credere, ma poiché lo definisco un 'privilegio' e non 'bestemmia', evidentemente ne sento la mancanza. Mi piacerebbe poter dire di esserlo.

Però il concetto di fede in questo lavoro è legato al concetto di giustizia...
Brava. Arriviamo a terra.

Quindi quello che Le interessa è anche il concetto di giustizia.
Non c'è dubbio. Con il concetto di giustizia arrivi alla fede. Noi siamo due europei che insieme abbiamo lottato sperando che nascesse l'Europa della cultura dalla quale ci aspettavamo scaturissero risposte anche a ciò che ci stiamo dicendo. È nata invece l'Europa delle banche. Lo leggi anche nello spettacolo senza dubbio, questa dicotomia tra cultura e non cultura delle banche, e quindi io dico che è un modo mio di essere fedele. Non avendo il privilegio di credere, io credo.

Lei dice un'Europa di cultura ed ha anche detto durante l'incontro-dibattito che c'è stato qui in maggio, che a lei interessa "essere utile" all'uomo...
Ci provo. Se son stato utile oggi mi fa piacere.

Se prendiamo per esempio Assassinio nella cattedrale di Eliot, dove è presente una simile tragedia, abbiamo il discorso sul potere temporale del Re ed il potere universale della Chiesa. Qui, ne Il Martirio del Pastore, il discorso che c'è dietro i prelati, il fatto che i personaggi sono religiosi, è un discorso sulla giustizia e sulla divisione tra ricchi e poveri?
Non c'è dubbio. Non c'è dubbio. Il confronto con Eliot Lei lo fa perchè vien naturale farlo. Noi sappiamo che il rapporto è direttamente tra la giustizia terrena e la giustizia divina. Quindi Il Martirio non può esser simile ad Assassinio nella Cattedrale. Direi che è più ampio il nostro tema. Non è il risultato di una congiura [come in Assassinio]. Ma il nostro tema investe di più l'uomo, il laico anche. Per questo penso sia utile fare oggi uno spettacolo così.

Alla fine, che cosa l'ha indotta a rappresentare questo lavoro?
La colpa più piccola è quella di Antonio Salines, che avendo fatto Godot con me, si è innamorato di questo vivere assieme come regista/attore, e lui mi ha detto: "Guarda, ho questo testo che ho visto anni fa in Sud America". Io ho fatto anche resistenza ad accettare in partenza, ma poi ho detto: "Va bene" e devo dire che sono contento di aver accettato. La piccola nascita è stata questa. La seconda nascita è quella di aver individuato un tema che lei hai detto. Io venivo dall'esperienza di aver fatto Godot e mi sono trovato a far lo stesso percorso, è per questo che...i casi della vita sono questi.

Questo spettacolo deve ora essere mostrato al resto d'Italia e del mondo, direi, visto che il discorso è un discorso universale?
È universale, ma non pensare che questo spettacolo possa essere fruibile normalmente da una platea instupidita come quella che si incontra in questi ultimi anni. Farlo a San Miniato ha un significato anche per ricordare l'importanza di questo paese. Non pensare che io possa andare impunemente in teatri imbastarditi ormai di tutto un po'. Il nostro è un teatro d'arte ed anche questo è un teatro d'arte, ma non pensare che sia facile portarlo in giro...noi lo faremo, ma solo per manifestazioni eccezionali. Mi piacerebbe che lo vedesse il Papa, mi piacerebbe che il 24 marzo dell'anno prossimo quando si celebrerà Romero, possa andare per esempio all'Auditorium della Conciliazione, possa essere portato alla televisione vaticana e poter utilizzare i loro strumenti a favore di questo progetto.


 

Intervista ad Antonio Salines interprete di Padre Romero
di Beatrice Tavecchio

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Salines, devo farle le mie congratulazioni perché è stata un'interpretazione notevolissima. So che avete provato per un mese. Quanto è stato difficile interpretare questo personaggio?
Tanto. Perchè inizi in un modo e procedi in un altro. Perché non parte santo. E' troppo facile. Gli attori quando dici: "quello è santo"... facciamolo partire già ispirato. No, lui parte come una persona normalissima, come un prete diciamo e da prete poi prende coscienza di tutto quello che gli succede intorno. La bellezza è questa del personaggio: che non parte come un santo. Era una persona debole e che ha dubitato molto prima di prendere una decisione. Questa è la bellezza del personaggio e questo è un fatto drammaturgico importante. Drammaturgicamente il personaggio è importante per questo motivo. Se partisse già sparato, che vuol fare la rivoluzione...sarebbe un disastro.

Lei ha visto lo spettacolo originario di Rovinski in Costa Rica. Che differenze ci sono con questo spettacolo?
Si, io l'ho visto. La differenza maggiore è che in Costa Rica erano presenti molti più personaggi che Eleonora Zacchi ha giustamente tagliato dal momento che non ci si poteva permettere la medesima situazione in quanto quelle compagnie sono formate da attori semi-dilettanti, quindi possono permettersi un numero maggiore di attori.
Ciò che mi aveva soprattutto colpito era la passione trasmessa da Rovinski nel suo lavoro, ciò suscitava in me una grande emozione, lui era bravissimo.

E la risposta del pubblico?
Piangeva... piangeva...

Questo vostro spettacolo è vicino all'originale?
No, tutt'altra cosa. Scaparro ha avuto un colpo di genio. Non ha neanche voluto vedere quello e ha introdotto un elemento nuovo, la musica. Essa ha fatto da background [canzoni popolari sudamericane], un'idea geniale. Nell'altro spettacolo, invece, erano presenti le proiezioni, le battaglie, i commenti.

Intendevo chiedere se lo spirito, il discorso dell'originale...
Sì, sì, è uguale. È rimasto uguale.

Quindi un pubblico sudamericano si riconoscerebbe in questo spettacolo...
Sì, sì, perché lui venne dall'Argentina, qui ha fatto le musiche, è un sudamericano. Questa è la cosa avvincente. È la prima volta che si fa in Europa, [rappresentato in Sud America ed in Nord America. Prima assoluta in Europa]. Avere la fortuna di presentarlo per la prima volta in Europa. Per me è una scommessa dal momento che sono anni che penso di portarlo... [Lo spettacolo è realizzato dal Teatro Belli di Antonio Salines Stl.] con selezione di attori giusti guidati da un regista, l'abbiamo scelto insieme, e soprattutto il regista giusto, soprattutto giusto.

Ultima modifica il Venerdì, 22 Luglio 2016 07:31

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