Ovunque tanto pubblico. Bene! E’ evidente che si è imparato ad apprezzare la molteplicità delle offerte del Festival Verdi, che non è più da tempo solo produzione di importanti opere liriche al Teatro Regio di Parma - quest’anno in particolare “I lombardi alla prima crociata”, regia di Pier Luigi Pizzi, “Il Trovatore”, regia di Davide Livermore, “Falstaff” a Busseto, regia di Manuel Renga - e grandi eventi musicali, come la “Messa da Requiem” o il “Nabucco” in forma di concerto, e così via, ma in un mese centinaia (non si esagera!) sono stati gli appuntamenti, alcuni anche di notevole rilievo: da 4 a 14 sono state le occasioni d’incontro verdiane al giorno, dal 16 settembre al 16 ottobre. Il Verdi Off ha invaso città e provincia con concerti e cori, con teatro e danza, creazioni pensate anche per i bambini, coinvolte singole competenze, associazioni, istituzioni, ma anche gruppi di appassionati, musicisti, cantanti, danzatori, ovunque, in ogni luogo, incontri con Verdi. Qui un saluto inevitabilmente veloce a questa XXIII edizione del Festival, trascurando - con dispiacere - nomi e caratteri di quanto è più squisitamente musicale, mettendo in luce piuttosto l’alto, godibilissimo, livello di teatralità degli spettacoli, dalle opere maggiori, una vera gioia vedere i cantanti agire con tanta consapevolezza d’attori, alla miriade di appuntamenti Off, qui scelti per qualità ma anche per casualità, impossibile, ahimè, seguire tutto. E ha fatto piacere incontrare gruppi di stranieri, numerosi i critici, gli studiosi da ogni parte del mondo, ormai una tradizione, Verdi amato ovunque, anche in alcune situazioni considerate “periferiche”, per carattere (come il teatro ragazzi) o per gli spazi d’ospitalità (come il Wopa, un vasto, articolato spazio del primo insediamento industriale destinato a diventare “Distretto delle imprese culturali e creative” in San Leonardo, zona considerata fragile socialmente, insicura, degradata)
“I lombardi alla prima crociata”, regia di Pier Luigi Pizzi
Opera dai tanti cori, forse mai con Verdi così numerosi, cittadini di Milano in Sant’Ambrogio, claustrali, donne dell’harem, cavalieri e spiriti celesti, “I lombardi alla prima crociata” diviene con Pizzi (regia, scene e costumi) un susseguirsi di raffinate visioni colme di senso: anche quando le immagini, per luci (di Massimo Gasparon), proiezioni video, contrasti di bianco e nero, movimenti di colore, paiono di pura bellezza, ogni elemento è colmo di senso, anche quel taglio d’”Attesa”, creato all’avvio a un cenno di Giselda, inevitabilmente ambiguo come le opere di Fontana, passaggio spaziale, forse anche di trasformazione. E Pizzi lascia, con intelligenza e sensibilità estetica straordinaria intravedere una diversa interpretazione alla contrapposizione tra culture, i crociati neri come i sicari, con simboli che richiamano le sfilate riprese da Leni Riefensthal, specie per le bandiere dei conquistatori delle terre sante affini allo sventolare nazista. Perfetti gli sfondi, il modo in cui cambiano, il variare di luci e ombre, coraggiosi i costumi, coloratissimi in quell’harem di fanciulle danzanti e dispettose, disposte a un’allegria che non c’è altrove. Molti gli elementi simbolici, come quell’albero contorto al limite del deserto, Giselda sempre così candida, ma la suggestione maggiore è l’assolo di violino fatto eseguire in scena dall’eccellente Mihaela Costea, forse quel suono il senso dell'incisione iniziale, ferita che dev’essere curata, nella storia, nel presente. E nell’ultima scena, forse sì con un eccesso di gentilezza per i due bambini che avanzano verso il proscenio, sembra il violino, tra le mani di uno di loro, a dare unità al taglio di Fontana, alla musica della Costea, al bisogno di pace. Uno spettacolo di rara qualità, per il coro, voci e movimenti, la direzione d’orchestra, l’interpretazione dei cantanti, anche sul piano recitativo. Applausi lunghissimi per tutti, particolarmente carichi di ammirazione e affetto per Michele Pertusi/ Pagano, cittadino di Parma. E per il meraviglioso Pizzi naturalmente, Maestro raffinatissimo, che al Ridotto del Teatro Regio ha anche presentato il suo libro, <Non si può mai stare tranquilli>, pubblicato EDT, narrazione coinvolgente che è insieme storia del teatro e conoscenza di un numero sconfinato di persone/ personaggi dello spettacolo, della moda, della cultura, attraversato da passioni, ironie, sempre travolgente per Pizzi il piacere di lavorare per la scena.
“Trovatore”, regia di Livermore
Eccellente anche “Trovatore”, alla fine con una sua potenza anche la regia di Livermore con visioni apocalittiche di città e cieli in fiamme, anche se dispiacciono forse i soliti segni da mondo fatiscente, misero, di periferia urbana, come i mucchi di copertoni e i bidoni, o i costumi caotici e immotivati, oppure ancora l’incomprensibile trasformazione degli zingari in circensi, con tanto di tendone colorato e disordinate piroette. Bisogna aggiungere anche un coro (non di Parma, che davvero non sbaglia mai) poco guidato nei movimenti, uno spiacevole gesticolare se non per i pochi tratti costretto dalla regia all’immobilità, discontinuo nella resa vocale. Pure, pure, l’esito alla fine notevolissimo, per i cantanti - Azucena in particolare, Clementine Margaine - ma anche per quel senso di dolore che resta alla fine in un mondo privo di speranze.
“Falstaff”, regia di Manuel Renga
Strepitoso sotto tutti gli aspetti invece il “Falstaff” di Renga, regista che si aveva già avuto modo di apprezzare per la ricchezza interpretativa nel definire i personaggi, nelle molteplici soluzioni sceniche, grande la cura per ritmo, costumi, movimenti, capace di trasmettere una speciale gioia per il vorticoso succedersi di invenzioni - vere nella loro divertita artificialità - che offrono spessore e velocità all’azione. Nel piccolo, prezioso Teatro di Busseto ogni elemento offre bellezza, significato e malinconica allegria, anche le luci che nascondono o svelano con scelte di pensiero, tutti bravi anche come attori, superbo il protagonista. Ridotto l’organico per l’orchestra, si rinuncia al coro, ma tutto funziona a meraviglia, con magica freschezza, atmosfera inglese forse dopoguerra (ancora i cappellini!), essenziale la scenografia, qualche tavolo e poco più, strepitosi sul piano recitativo, innumerevoli le trovate esilaranti, Bardolfo e Pistola.
Ma Renga ha diretto, per il Verdi Off, anche il Falstaff, raccontato dallo stesso regista, che lasciava via via spazio ai cantanti per alcuni frammenti, ospitato nell’istituto penitenziario della città, momento importante, con il coro degli stessi detenuti. Anche qui una bella tensione d’ascolto e un’esplosione di applausi.
“A letto con Verdi”, regia di Aldo Cassano
Andrà a Parigi, invitato dall’Istituto Italiano di Cultura, “A letto con Verdi”, drammaturgia di Emilio Sala, regia di Aldo Cassano: in una sorta di albergo a ore, tante stanze per uno o due personaggi che accoglievano gli spettatori, invitati nel letto, qualche minuto insieme rievocando gioie, rabbie, tristezze, in un contatto fisico coinvolgente: insieme Jago e Otello che, buffamente ed eroticamente, sembravano soprattutto attratti l’uno dall’altro, l’ospite quasi ignorato, teatro sensoriale di notevole intelligenza, ironia, originalità.
“Ha ruote e piedi l’aria”, regia di Andreina Garella
Emozionante sperimentare dietro un confine/ gabbia l’assenza di libertà che intanto svelavano le numerose interpreti di “Ha ruote e piedi l’aria” di Festina lente e Vagamonde, regia di Andreina Garella, allestimento scenico di Mario Fontanini, una straordinaria energia corale anche quando gli interventi sono individuali, memorie singole divenuta rigorosa drammaturgia collettiva evocando fughe, corse nella paura, nel desiderio di libertà, un’infinità di azioni reali e metaforiche tra simboli ed esperienze vissute. Grande teatro.
“Otello Circus”, regia di Antonio Viganò
E ancora ha saputo entusiasmare “Otello Circus” del Teatro La Ribalta, regia di Antonio Viganò: nello spazio di un circo in miniatura questa compagnia stabile di professionisti della scena composta per la maggioranza da attori con forme di disagio, così come l’orchestra AllegroModerato di Milano, ha rappresentato la tragedia shakespeariana intrecciata a Verdi, tra magie, clownerie, abilità di puro teatro e vertiginosa commozione.
Sì: un festival con eventi di valore nel percorso classico e in quello diffuso, non certo solo di contorno, ricchissimo, stimolante, un po’ ovunque in Parma e provincia, grande, vivace la partecipazione. Ma, pur nell’affanno, fa piacere citare anche le compagnie Rodisio, Progetti&Teatro, e il Cerchio che hanno saputo giocare con Verdi per adulti e bambini. E insieme agli spettacoli non sono mancati naturalmente gli incontri teorici, di approfondimento, seguiti anche questi da molti appassionati, curiosi, un piacere sempre sentire di poter capire meglio e di più, di Verdi, delle sue opere.
Valeria Ottolenghi