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Teatri di realtà/2. La panchina di Bobò è rimasta vuota.... Addio all'attore poetico di Pippo Delbono. -di Nicola Arrigoni

Bobó. Foto Luca Del Pia Bobó. Foto Luca Del Pia

Teatri di realtà/2*.
La panchina di Bobò è rimasta vuota....
Addio all'attore poetico di Pippo Delbono
di Nicola Arrigoni

In mezzo alla scena, piccolo, indifeso con quella vocina argentina... eppure di una potenza senza eguali come sanno essere i 'figli di un Dio minore' che per il solo motivo di esistere e di essere nello spazio della scena ci interrogano con la loro umanità fragile. Bobò circondato di fiori sulla panchina ne La Gioia, Bobò vestito da Italia che sventola il tricolore in Dopo la battaglia, Bobò clown triste, Bobò domatore, semplicemente Bobò in Barboni nel lontano 1997 che sconvolgeva la scena italiana con la sua verità e che da allora per oltre vent'anni ha rappresentato un segno poetico inaudito e scandaloso nel teatro di verità, di svelamento dell'indicibile che spettacolo dopo spettacolo Pippo Delbono frequenta con egotica e poetica persistenza. Come infatti non ricordare in Barboni il dialogo muto e straziante fra Pippo Delbono e Bobò, seduti sulla panchina in attesa di chissà cosa, litigiosi e amici, teneri e spietati, uomini e fanciulli che aspettano Godot, pronti a partire, a separarsi ma poi destinati a tornare lì su quella panchina ad aspettare Godot. E viene da pensare che ora Bobò abbia raggiunto il suo Godot...
La dedica di Dopo la battaglia al piccolo uomo Bobò che per cinquant'anni ha vissuto in manicomio e il suo canto stridulo che graffia l'aria... raccontano di una presa in carico, di una relazione familiare fra Pippo Delbono e quell'uomo, microcefalo che ha fatto irruzione nella vita di Delbono quando l'esistenza per Pippo sembrava non degna di essere vissuta... Ed invece la vita pretende di essere vissuta e stupisce. Lo fa regalando a Bobò una vita altra, in quello spazio di finzione e di sogno che è il teatro. La verità dello stare di Bobò e degli altri compagni di viaggio, guidati da Delbono, sera dopo sera era lì a dire agli spettatori che la vita è più forte della morte, del dolore, della violenza istituzionalizzata del manicomio: la vita è nella capacità di accogliere l'altro, è germogliare poesia fatta di relazione e di presa in carico. Questo è stato Bobò, la vita vera in scena, l'irrompere di un'esistenza negata nella vertigine poetica che ad ogni spettacolo Delbono sa creare, portando sul palcoscenico la realtà di quei diversi che ci interrogano, non tanto pungolo della coscienza di noi normali, ma soprattutto attori, artisti malgrado tutto, artisti della vita e per la vita, segni di realtà che si fanno poesia, proprio per i loro corpi poetici, fatti e disfatti dal dolore, dalla malattia, dalla solitudine.
Bobò, nato nel 1936 a Villa di Briano in provincia di Caserta, ha ora la consistenza di cui sono fatti i sogni. Entrato nel manicomio di Aversa a sedici anni, proprio lì ha incontrato Pippo Delbono durante un laboratorio teatrale. Ed è lì che nasce un sodalizio profondo e tenace che va al di là del linguaggio e di quella strana finzione che siamo soliti chiamare ragione. Entrato in compagnia, dal 1995 Bobò non ha mai smesso di accompagnare Pippo Delbono e la sua famiglia teatrale, nelle rigorose e impervie e giocose e amarissime scorribande tra vita e teatro, alla ricerca di una sincerità assoluta nel vortice delle maschere, che Pippo, prendendo per mano Bobò, ha saputo da allora danzare.
«Bobò e gli altri mi hanno insegnato l'umiltà e la faticosa verità che è nell'arte. Molto spesso il lavoro dell'attore è pericoloso, l'applauso ti infervora ed è per questo necessario lavorare per mantenere un segno di umiltà, quel segno che ti permette di andare avanti nella ricerca del tuo linguaggio, un linguaggio che chiedi, presuntuosamente forse, di far condividere agli altri – ha detto in più occasioni Pippo Delbono - . Persone come Bobò, Gianluca, Armando portano in loro qualcosa di sacro. Quando Bobò porta i fiori in scena, nello spettacolo Guerra, compie un rito sacro, un rito che si pone nel tempo separato del teatro. In quel frangente lui è forte presenza in scena, ma al tempo stesso ha la forza di un'immagine vista da fuori. E' in sé e fuori di sé al tempo stesso. Tutto ciò è in fondo quella che si chiama distanza brechtiana, l'attore riesce ad andare e ricercare in quelle zone del separato in quelle zone in cui è più forte il non detto che si fa poesia. Bobò quando facevano Esodo mi propose il Colonnello Bernacca, mi diceva di mettere della musica. Ha proposto sempre tante cose, che magari non centravano nulla, ma profumavano di poesia».

Bobo Delbono Del Pia

Ed eccola la parola magica: 'poesia', la cui origine è nel verbo 'fare' ed quanto accade con Bobò in scena. Bobò fa, agisce e in quel suo fare essendo c'è la magia, c'è lo scarto, c'è la realtà che fa poesia, c'è l'autenticità che nello spazio scenico diventa iper-finzione e iper-realtà al tempo stesso. Per questo è esiziale chiedersi se il nostro sguardo è pornografico nei loro confronti, non c'è pornografia in esperienze come quelle messe in atto da Pippo Delbono e la sua famiglia teatrale, o anche da Antonio Viganò in quel di Bolzano in cui l'attore disabile è attore abile, senza distinzione, ma con una percentuale in più di poesia e realtà che non lascia indifferente. Per questo scrivere e dire di Bobò vuol dire raccontare del teatro che nel frequentare la propria semantica tracima, accresce di senso, si nutre della realtà sospesa che si fa poesia. «Per il vero poeta la metafora non è una figura retorica, bensì un'immagine sostitutiva che gli si presenta concretamente, in luogo di un concetto. Per lui il carattere non è affatto un tutto composto da singoli tratti cercati qua e là e messi insieme, bensì una persona insistentemente viva davanti ai suoi occhi. (...) In fondo il fenomeno estetico è semplice: che soltanto si abbia la capacità di vedere di continuo un gioco vivo e di vivere costantemente attorniati da schiere di spiriti, e si è poeti». Bobò è allora l'incarnazione, l'agire poetico, la capacità di vedere il gioco vivo del teatro come esprimono le parole di Nietzsche. Ecco Bobò, Pippo Delbono e la sua famiglia scenica sono i baluardi di questo teatro che sa sostituirsi a un concetto, che sa trasformarsi in realtà e stupirci e commuoverci per la sua poesia e bellezza...
*Subito la realtà chiede una deroga al pensiero di Teatri di realtà che ha l'obiettivo di raccontare laddove l'arte della scena condiziona e trasforma o interviene nella realtà con fare poetico. Qui la direzione è inversamente proporzionale: la viva non vissuta di Bobò è entrata nel teatro grazie allo psicopompo Pippo Delbono, ma questo è bastato a far sì che l'atto poetico della scena divenisse atto reale, non finto, presenza fattuale e concreta eppure astrazione estetica. Per queste ragioni Bobò ci incoraggia a seguire i teatri di realtà, nella convinzione che la finzione sia disvelamento, realtà aumentata in pericolosa tensione verso verità insondabili...

Ultima modifica il Lunedì, 04 Febbraio 2019 08:39

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