Musiche e liriche di Frank Loesse
libretto di Jo Swerling e Abe Burrows
Regia di Nicholas Hytner, scenografia di Bunny Christie, coreografia di Arlene Phillips e James Cousins,
costumi di Bunny Christie e Deborah Andrews, luci di Paul Constable.
Londra, Bridge Theatre, 3 marzo- 2 settembre 2023
di Beatrice Tavecchio
Il teatro immersivo non è più solo un esperimento, ma il nuovo modo di fare teatro.
Se un direttore come, Nicholas Hytner, con alle spalle un’esperienza di anni come direttore dal 2003 al 2015 del National Theatre, ora dal 2017 co-fondatore e direttore del nuovo Bridge Theatre a Londra, decide di far propria l’esperienza del teatro immersivo, e l’abbraccia con strepitoso successo, allora significa che questa forma teatrale che fa affluire e riempire il teatro anche di spettatori giovani, è la forma che meglio si addice oggi al far teatro.
Cosa significa teatro immersivo? In essenza significa immettere gli spettatori nella scena. Con quale scopo? Diverse rappresentazioni danno differenti risposte, ma tutte cercano di coinvolgere lo spettatore nella rappresentazione, non solo col cervello ed i sentimenti, ma fisicamente. Si erano visti, ancora nel secolo scorso, attori che si mischiavano al pubblico, attori che correvano tra il pubblico, si sedevano vicino a qualcuno, spruzzavano acqua ecc. sul povero spettatore che sedeva diligentemente al suo posto, un po’ esterrefatto e un po’ incuriosito da quelle provocazioni. Poi specie attraverso i giochi reali della televisione, Big Brother capostipite, si è notato che ai contendenti piace giocare. Sono così incominciati gli esperimenti di Punchdrunk Theatre, subito seguito da altri (vedi sipario.it 19 febbraio 2023) in cui si dava un nuovo ruolo agli spettatori. Quello di poter essere sullo stesso piano di rappresentazione degli attori, di poterli seguire, guardare da vicino, di non essere trincerati segregati dalla quarta parete, sprofondati in sedili scomodi o in accoglienti poltrone. Logicamente questo crea problemi per il regista, e per tutti i professionisti che allestiscono o agiscono nella rappresentazione. Avere una marea di persone tra i piedi mentre si rappresenta non è certo facile. E allora come in Punchdrunk, ecco il ricorso alla maschera bianca che lo spettatore deve indossare per distinguerlo dalla Compagnia, ecco le regole che lo spettatore deve seguire prima di essere ammesso alla rappresentazione: non parlare, non toccare gli attori, non interagire con loro. Punchdrunck dà anche loro uno scopo e una difficoltà: un percorso buio, non facile, con migliaia di oggetti(ni) e di curiosità da trovare e considerare. Ma allo stesso tempo ritiene la storia, che è un mito, una tragedia, una storia che viene ripetuta temporalmente spezzettata in diverse combinazioni. Quindi lo spettatore, che non è più seduto, ma deambulante si trova ad agire, ma sotto controllo, ed acquista intimità e con lo spazio e con l’azione e con gli attori, ha agenzia nella sua scelta dell’azione che vuole vedere, anche se può esserne confuso, ed è sempre attivato cerebralmente ed emotivamente dalla Storia rappresentata.
Con Guys & Dolls abbiamo un’altra evoluzione. Via la maschera, via i corridoi, via le poltroncine in platea. Ci sono ora 360 posti in piedi per gli spettatori nello spazio della rappresentazione. Rimangono altri 700 posti distribuiti ai margini della platea e nelle due gallerie soprastanti. Nella prima galleria è situata l’orchestra. Lo spazio a disposizione degli attori sembra inesistente. Non c’è palcoscenico. Una decina di attori vestiti anni Trenta: l’attrice con la sigaretta, ad esempio, ed inoltre venditori di coca cola e di ciambelle, poliziotti in costume sono mischiati e ingolfati dalla folla del pubblico tutta presa dal proprio chiacchierio. Sopra di loro, scritte al neon, semafori; si sente il rombo ad intervalli regolari della pseudo metropolitana. E all’improvviso piattaforme rettangolari ed una quadrata centrale fuoriescono dal pavimento e s’innalzano. Non tutte allo stesso momento, ma con un andamento coreografato di spazi, secondo l’azione, che crea passerelle sia della stessa altezza che di altezze differenti, che vanno da un capo all’altro, diagonalmente, della nuova platea disegnando nella loro estensione corridoi sopraelevati architetturalmente obliqui e ricurvi.
Marisha Wallace (Adelaide), foto Manuel Harlan
L’accesso alle piattaforme è per scalette mobili, con entrate ed uscite degli attori allo stesso livello degli spettatori. Il pubblico è pilotato da attori vestiti come poliziotti per far spazio e per riguadagnare spazio intorno ai multipli palcoscenici innalzati.
Quindi la pluripremiata scenografa Bunny Christie (Olivier e Tony Awards per Company di Sondheim e per The Curious Incident of the Dog in the Night Time (sipario.it 7 marzo 2017) ha creato una magnifica struttura che integra semplicità, linearità, bellezza scenografica, coreografia non statica di volumi, in un disegno che rispetta i dettami pratici della scena: di esser visibile da tutti i lati, di essere inclusiva e degli spazi della rappresentazione che di quelli della platea. La realizzazione del suo concetto scenografico è stata senz’altro costosa per il Bridge Theatre ed deve aver richiesto una decisione importante, con la visione per sviluppi futuri, da parte di Nicholas Hytner e dei suoi collaboratori. Ma la fortuna di questo spettacolo è decisamente legata alla sua forma scenografica.
Questo non detrae nulla dalla qualità dello spettacolo stesso. Guys & Dolls non ha bisogno di presentazioni. È uno dei musical più rappresentati al mondo e non smette di attirare pubblico per la bontà delle musiche e della Storia: una banda di giocatori d’azzardo con a capo Nathan Detroit cerca un locale dove scommettere, lo trova nella sala dell’Esercito della Salvezza attraverso la complicità di Sky Masterson, un altro scommettitore, che si innamora di Sarah Brown, l’evangelizzatrice riformista. Il gioco peccatore-riformatrice col suo risvolto romantico tra Sky e Sarah, si riflette anche nella storia di Nathan e di Adelaide, la sua eterna fidanzata che lavora in un night club, ma sogna la casa col giardinetto ed i bambini. Anche se il sogno attuale delle donne, non è proprio quello di Adelaide, il romanticismo della storia, ma soprattutto l’aria scherzosa, impertinente dell’azione e delle liriche dei personaggi, il ritmo incalzante, a volte jazzistico, a volte sincopato e corale delle musiche, la sintesi ed il ritmo con cui viene perseguita la storia, ne fanno un ben calibrato gioiello.
Naturalmente il tutto non funzionerebbe senza l’eccellenza dell’interpretazione. Prima di tutto delle due eroine: Sarah Brown -Celinde Schoenmaker-, dalla voce potente e senza sbavature di soprano che senza sforzo raggiunge le note più alte, e Miss Adelaide -Marisha Wallace- dalla voce più ambrata e capace di esprimere emozioni. Le due interpreti elettrizzano non solo attraverso la qualità della voce che calca sulle parole delle liriche estraendone significato, ma anche attraverso la fisicità del corpo, con una Wallace scintillante in déshabillé in paillettes generosa nell’usare le proprie curve per effetto scenico. La Schoenmaker non è di meno, sempre in carattere come la morigerata predicatrice, ma pronta ad usare pugni e sberle per difendere il proprio amore, come nella scena in cui con determinazione si riappropria di Sky che si era unito ad un gruppo di maschi in un impetuoso ballo. Un ammodernamento LGBTQ+ ben riuscito sia per l’eccellenza del gruppo di danzatori che per l’approfondimento del carattere di Sarah. Bene il Nathan di Daniel Mays sia come cantante che come interprete, mentre Sky Masterson di Andrew Richardson affascina per il suo fisico e per l’interpretazione, ma meno per le sue doti canore.
Ha avuto quattro encore, Il “Sit Down, You Are Rocking the Boat” il pezzo forte del musical, cantato da Nicely-Nicely -l’ottimo Cedric Neal- e Ensemble, con movimenti in verticale ed in orizzontale, concordanti e discordanti, a significare i ‘sit down’ e specialmente l’onda del mare “A great big wave came and washed me overboard” con l’azione di molteplici sedie ed attori ruotante ad ogni ripresa verso un lato diverso della sala.
I costumi pieni di colore, i movimenti coreografici dell’azione e degli attori in continuo dinamismo, l’apporto del gruppo di danzatori, ed inoltre la cerimoniera che nell’intervallo intrattiene l’udienza con un gruppo di vocalisti ed alla fine dello spettacolo altri attori che rimangono a danzare ed interagire col gruppo di spettatori più giovani, il tutto concorre a formare l’effervescenza che la regia vuole immettere e far durare tra gli spettatori, anche con la decisione di non marcare la fine dello spettacolo.
Tornando all’analisi iniziale sul teatro immersivo, cosa si può dire di questo spettacolo? Pensando che anche il Globe Theatre, il teatro shakespeariano ricostruito a Londra, ha una platea vuota dove il pubblico rimane in piedi a guardare lo spettacolo e che anche gli attori del Globe si rivolgono e cercano se non di dialogare, di rivolgersi direttamente al pubblico, dove sta la differenza con questo Guys & Dolls immersivo?
Quello a cui ho assistito è stata una galvanizzazione dell’esperienza teatrale. La vicinanza agli attori ed all’azione scenica senz’altro intensifica i meccanismi di ricezione del pubblico in un modo non dissimile dall’esperienza che si può avere in un concerto all’aperto o in uno stadio. Se poi agli spettatori vien dato un modo di interagire con la scena e di dare sfogo al proprio essere, non solo attraverso le risate, il battito delle mani, le grida di ‘bravo’ ecc., ma anche attraverso altre forme di espressione come qui è avvenuto, allora vediamo che l’esperienza dello spettacolo teatrale, è più profonda e più duratura. Senz’altro i meccanismi adottati da Guys & Dolls erano diretti specie ad un pubblico giovane, ma è proprio quel pubblico che il teatro ha bisogno di attrarre.