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(LONDRA). Sam Mendes mette in scena la “Lehman Trilogy” di Stefano Massini. -di Beatrice Tavecchio

Simon Russell Beale, Adam Godley and Ben Miles in The Lehman Trilogy at the National Theatre. Photo by Mark Douet Simon Russell Beale, Adam Godley and Ben Miles in The Lehman Trilogy at the National Theatre. Photo by Mark Douet

Londra: Sam Mendes mette in scena la Lehman Trilogy di Stefano Massini

The Lehman Trilogy
di Stefano Massini
adattamento di Ben Power
Regia di Sam Mendes
Scenografia di Es Devlin
Progettista video Luke Halls
Progettista luci Jon Clark
Coreografia di Polly Bennett
Con Simon Russell Beale (Henry Lehman), Ben Miles (Emanuel Lehman) e Adam Godley (Mayer Lehman)
National Theatre, 12 luglio-20 ottobre 2018

di Beatrice Tavecchio

Il poema epico teatrale di Massini è tradotto in immagini potenti, fluide, metaforiche da Sam Mendes. È un trionfo, lo spettacolo dell'anno per il National. Quasi impossibile trovare biglietti. Il pubblico, dopo tre ore e mezzo di spettacolo, diviso in tre atti, è in piedi acclamante. Novecento spettatori per sera fino al 20 ottobre. Ma come, ma perchè è possibile questo miracolo?

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E uso la parola non a caso. In un'Inghilterra ricca di nuove scritture teatrali, con una rete teatrale fitta, forse unica al mondo, la caccia per nuovi lavori, che possibilmente facciano anche fortuna al botteghino a rimpinzare le finanze sempre più impoverite di sussidi statali, è incessante. Sam Mendes vede la Trilogy al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Luca Ronconi nel 2015 e lo vuole mettere in scena. Rufus Norris direttore supremo del National offre quanto necessario. Tutti, dopo American Beauty (1999), Road to Perdition (2002), Skyfall (2012) e Spectre (2015) conoscono la potenza immaginifica e la capacità di chiarezza e sintesi di Sam Mendes. Quindi cos'é risultato dal connubio Massini/ Mendes?
Una macchina teatrale che ha impiegato il meglio di ogni settore creativo in grembo al teatro. Innanzi tutto tre attori di gran calibro: Simon Russell Beale, Ben Miles e Adam Godley, ed inoltre un apparato scenico super moderno fatto di un enorme cubo di vetro diviso in tre luoghi deputati, due stanze ed una sala riunioni, che ruota dentro un ciclorama concavo che di volta in volta offre i paesaggi indicativi della storia. Scatoloni come quelli portati a braccia dagli impiegati della Lehman nel tracollo del 2008, ora servono da materiale di scena per sedie, scale, tavoli, sgabelli, stoffe, azioni bancarie.

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Il bianco e nero o più raramente i colori (per l'incendio, il treno o l'immagine finale di New York) dei fotogrammi sul ciclorama servono a ricreare il momento storico (la distesa dell'oceano appena attraversato), e ingranditi, ravvicinati incombono sul cubo, sui personaggi e sullo spettatore a creare la sensazione di paura per la guerra di secessione, di panico finanziario e di terrore negli incubi di Emanuel e Philip Lehman. L'illuminazione fa la sua parte e si propone in modi diversi nelle luci del soffitto del cubo di vetro, che a volte richiamano il cielo stellato, ad altre rischiarano solo un ambiente per attrarvi l'attenzione e che cambiano colore da bianco a giallo tenendo desta l'attenzione dello spettatore nel terzo atto della Trilogy. Infatti Mendes non perde mai di vista l'attenzione del pubblico e continuamente lo stimola con tutti i mezzi scenici. Il problema posto dalla lunghezza del lavoro, cinque ore a Milano ridotte a tre ore e trenta a Londra, è brillantemente risolto prima di tutto attraverso la rotazione imposta alla scenografia ed anche, nell'ultimo atto, allo scorrere furioso dei titoli di borsa e delle azioni sul ciclorama. Il movimento rotatorio è abbracciato anche dall'azione coreografica degli attori che continuamente si spostano da un ambiente all'altro. La fluidità e il ritmo del poema epico di Massini, la sua storia della genealogia Lehman in America, il flusso delle loro vite, è così stato trasposto e interpretato da Mendes, come a dar vita al "carillon chiamato America" di Massini.

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Mendes riesce a tenere assieme ed allo stesso tempo a far chiarezza e semplificare, sottolineando la sintesi del lavoro di Massini e convogliando la linearità dei versi, attraverso la scelta di avere solamente tre attori in scena, sempre solo vestiti elegantemente di palandrane nere, a volte con bastoni e bombette, ma senza altri attributi estetici, che, malleabili nel fisico e nella voce, narrano e interpretano i diversi personaggi: uomini e donne, bambini, vecchi, giovani, adulti insieme ai personaggi principali. È un tour de force di bravura. Il passaggio dal narrato al parlato e al dialogo/azione è anch'esso fluido, scorrevole, senza interruzioni così da essere poco percettibile. C'è una grande differenza qui tra teatro di narrazione e Massini, e Sam Mendes l'ha evidenziato. Perchè i dialoghi di Massini sono vere e proprie gemme d'azione scenica. Chi potrà mai dimenticare quella della scelta della sposa 'giusta' per Philip Lehman, quella del corteggiamento di Emanuel Lehman, quella alle corse, le due vignette coi figli del greco e dell'ungherese, la bellissima scena del twist ballato fino alla morte dall' 'immortale' Bobbie Lehman e la forza e semplicità delle spiegazioni di economia sulla 'fiducia' del consumatore e sulla speculazione del suo desiderio di 'comprare'? Forse quest'ultime non sono la continuazione di Das Kapital, e non sono forse paragonabili al discorso di Mark Antony nel Julius Caesar shakespeariano, ma per gli spettatori di ieri sera incollati a quelle parole, sembrava così.
Non una stortura in questo spettacolo che ci fa vedere un mondo che gira impazzito. Un bel lavoro che da voce per immagini all'epica poetica di Massini.

Ultima modifica il Lunedì, 16 Luglio 2018 15:52

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