LONDRA
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2024-03-28T10:38:27+01:00
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La nuova drammaturgia di Jez Butterworth e Sam Mendes: tra sogni infranti nella vita e nello spettacolo. -di Beatrice Tavecchio
2024-02-15T06:19:59+01:00
2024-02-15T06:19:59+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15629-la-nuova-drammaturgia-di-jez-butterworth-e-sam-mendes-tra-sogni-infranti-nella-vita-e-nello-spettacolo-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/0f7334530275cee2c9d0ddcdcd164280_S.jpg" alt=""The Hills of California" di Jez Butterworth. Regia di Sam Mendes. Foto Mark Douet" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong><em>The Hills of California</em> (Le colline della California) di Jez Butterworth <br />Regia di Sam Mendes. Scene di Rob Howell<br />Con Laura Donnelly (Veronica/Joan), Helena Wilson (Jillian), Ophelia Lovibond (Ruby), Leanne Best (Gloria); Nancy Allsop (la giovane Gloria), Nicola Turner (la giovane Jill), Sophia Ally (la giovane Ruby) e Lara McDonnell (la giovane Joan)<br />London, Harold Pinter Theatre, West End, dal 27 gennaio al 15 giugno 2024.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Jez Butterworth ha scritto numerose drammaturgie per il teatro tra cui <em>Mojo</em>, <em>The Night Heron</em>. <em>The Winterling</em>, <em>Jerusalem</em> acclamato dal quotidiano Guardian come uno dei migliori lavori del ventunesimo secolo, <em>The River</em> e <em>The Ferryman</em>, messi in scena al Royal Court Theatre di Londra e nel West End, e a Broadway. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Best Play all’Olivier e Tony Awards. </p> <p style="text-align: justify;">Quattro sorelle riunite intorno ad una madre adorata e temuta, morente nella camera di sopra, che rivivono i loro ricordi in una afosa estate del 1976 a Blackpool, la località balneare nel nord ovest d’Inghilterra, una volta popolare ma ora, nel ’76, in declino.</p> <p style="text-align: justify;">L’aspirazione della madre Veronica nello spingere le ragazze a formare un quartetto di voci armonizzanti risulta in piacere e concordia tra le sorelle - la timida Jillian, l’ ansiosa Ruby, la gelosa Gloria e Joan, la più dotata e prediletta dalla madre-, ma anche in gelosie e incomprensioni che hanno risvolti sulle loro vite.</p> <p style="text-align: justify;">Jez Butterworth, ha creato un’opera che come <em>Le Tre Sorelle</em> di Chekov, illustra il desiderio di fuggire dalla noia della vita in campagna, dall’oppressione di un’epoca, per una vita che si pensa migliore, lontano, forse in un sogno racchiuso in canzoni, sulle Colline della California. Ma la similitudine si ferma qui. Gelosie e rivalità, amore e odio, aspirazioni e ostacoli, sbagli e incomprensioni sono i temi del nuovo lavoro. Quello che incomincia come una tragedia per l’imminente morte della madre, si rivela solo un accadimento che cela la vera tragedia: lo stupro della quindicenne Joan, col tacito consenso della madre, da parte dell’impresario americano che promette alla ragazza che desidera andarsene, un futuro nello spettacolo. Rimasta incinta e dopo l’aborto, Joan che è partita per l’America e reciso ogni legame con la famiglia, ricompare dopo vent’anni nel terzo atto del lavoro a raccontare una vita di stenti nel mondo dello spettacolo e di amori recisi, tornata col solo desiderio di lasciare la figlioletta di sei mesi alle sorelle, così da poter proseguire la sua tournée. Un solo disco, non ottimo a suo attivo, a spezzare definitivamente il sogno della madre e delle sorelle che lo vedevano impersonato da Joan: “ Cosa diceva la mamma? Una canzone è un luogo, un posto dove vivere. Forse è lì che la mamma appartiene con tutte le persone sole, immaginate, che tentano più che possono di sopravvivere, di brillare, di esserci”.</p> <p style="text-align: justify;"><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Laura_Donnelly__L-R_Nicola_Turner_Nancy_Allsop_Lara_McDonnell_Sophia_Ally_-_The_Hills_of_California_Harold_Pinter_Theatre_-_Photo_by_Mark_Douet.JPG" alt="Laura Donnelly L R Nicola Turner Nancy Allsop Lara McDonnell Sophia Ally The Hills of California Harold Pinter Theatre Photo by Mark Douet" width="500" height="333" /><br /><strong>Laura Donnelly, L R Nicola Turner, Nancy Allsop, Lara McDonnell, Sophia Ally in <em>The Hills of California.</em> <br />Harold Pinter Theatre. Foto Mark Douet</strong></p> <p style="text-align: justify;">Come far lievitare una tragedia del genere in più di tre ore di spettacolo?</p> <p style="text-align: justify;">Soprattutto perché il tessuto della drammaturgia di Butterworth che è denso di temi di conflitto, ma anche di affetti, è come sempre nelle sue drammaturgie poeticamente quasi elegiacamente articolato. I suoi personaggi sono dettagliatamente caratterizzati. Li vediamo decisamente in tutto tondo. Donne vere con pregi e difetti, ansie, sogni e struggenti risvegli alla realtà. Grande è l’apporto nel sollevare l’atmosfera dei gioiosi e ricorrenti motivetti di canzoni anni cinquanta e sessanta cantati a solo o a cappella dalle protagoniste adulte e dalle loro controparti più giovani, accompagnate dalle note del piano o dell’ukulele di Ruby.</p> <p style="text-align: justify;">Il tocco di Sam Mendes, regista acclamato e pluripremiato, non si smentisce. La sua caratteristica fluidità nel raccontare la storia, unisce, fa confluire, raccatta e potenzia i vari filoni del lavoro. Rende la scorrevolezza della moviola in un fluido susseguirsi delle scene. Il succedersi di fatti e racconti di difficoltà e incomprensioni si combina con il comico dei nonsensi, delle battute comiche e delle canzoni che le ragazze eseguono con verve. Le entrate e le uscite dei personaggi scorrono senza pause. I personaggi minori, qui i mariti o gli uomini e le donne che alloggiano nella pensione di Veronica, formano un insieme che dà supporto alla storia dei personaggi principali e creano l’atmosfera della pensione che, come un presagio, ha vista mare solo nel nome altisonante: Seaview Luxury Guesthouse and Spa. La scena tonda, girevole, tagliata in due dalla rampa di scale che sale al primo piano, brillantemente scenica e praticamente utile realizzazione di Rob Howell, permette un passaggio scorrevole dalla sala dove le sorelle adulte sono radunate, alla cucina dove queste sono interpretate dalle bravissime giovanissime attrici-cantanti-ballerine di tap dance. </p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo coinvolge in particolare per la bravura dell’attrice Laura Donnelly, compagna di Jez Butterworth nella vita - che prevedo premiata con varie nomine e premi -, che impersona sia la morente Veronica che l’adulta Joan. La caratterizzazione di entrambi i personaggi è straordinaria, non una caduta di tensione, ed un comando dei personaggi e della scena ineccepibili che obbligano la piena attenzione del pubblico. La trasformazione dall’impeccabile madre - “donna forte, bella, decente che vive una vita difficile”- che sprona le sue ragazze a conquistarsi un posto nel mondo dello spettacolo con un’autorità che alterna a sprazzi di comune gioia nella condivisione del piacere delle vocalizzazioni, alla caratterizzazione di Joan dall’acquisito accento americano, stravaccata sulla poltrona con la continua sigaretta tra le mani ed un’aria di annoiato disinteresse per quelle sorelle che si arrabattano intorno a lei.</p> <p style="text-align: justify;">Il cast di attrici, sia delle ‘grandi’ che delle ‘piccole’ interpreti, è notevole per la loro capacità di impersonare, di cantare e ballare il tap. I riferimenti all’America - le stanze della pensione sono chiamate Colorado, Alabama, Indiana, Minnesota, Mississippi - ed i temi trattati, rendono lo spettacolo di indubbio interesse per la scena d’oltreoceano.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/0f7334530275cee2c9d0ddcdcd164280_S.jpg" alt=""The Hills of California" di Jez Butterworth. Regia di Sam Mendes. Foto Mark Douet" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong><em>The Hills of California</em> (Le colline della California) di Jez Butterworth <br />Regia di Sam Mendes. Scene di Rob Howell<br />Con Laura Donnelly (Veronica/Joan), Helena Wilson (Jillian), Ophelia Lovibond (Ruby), Leanne Best (Gloria); Nancy Allsop (la giovane Gloria), Nicola Turner (la giovane Jill), Sophia Ally (la giovane Ruby) e Lara McDonnell (la giovane Joan)<br />London, Harold Pinter Theatre, West End, dal 27 gennaio al 15 giugno 2024.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Jez Butterworth ha scritto numerose drammaturgie per il teatro tra cui <em>Mojo</em>, <em>The Night Heron</em>. <em>The Winterling</em>, <em>Jerusalem</em> acclamato dal quotidiano Guardian come uno dei migliori lavori del ventunesimo secolo, <em>The River</em> e <em>The Ferryman</em>, messi in scena al Royal Court Theatre di Londra e nel West End, e a Broadway. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Best Play all’Olivier e Tony Awards. </p> <p style="text-align: justify;">Quattro sorelle riunite intorno ad una madre adorata e temuta, morente nella camera di sopra, che rivivono i loro ricordi in una afosa estate del 1976 a Blackpool, la località balneare nel nord ovest d’Inghilterra, una volta popolare ma ora, nel ’76, in declino.</p> <p style="text-align: justify;">L’aspirazione della madre Veronica nello spingere le ragazze a formare un quartetto di voci armonizzanti risulta in piacere e concordia tra le sorelle - la timida Jillian, l’ ansiosa Ruby, la gelosa Gloria e Joan, la più dotata e prediletta dalla madre-, ma anche in gelosie e incomprensioni che hanno risvolti sulle loro vite.</p> <p style="text-align: justify;">Jez Butterworth, ha creato un’opera che come <em>Le Tre Sorelle</em> di Chekov, illustra il desiderio di fuggire dalla noia della vita in campagna, dall’oppressione di un’epoca, per una vita che si pensa migliore, lontano, forse in un sogno racchiuso in canzoni, sulle Colline della California. Ma la similitudine si ferma qui. Gelosie e rivalità, amore e odio, aspirazioni e ostacoli, sbagli e incomprensioni sono i temi del nuovo lavoro. Quello che incomincia come una tragedia per l’imminente morte della madre, si rivela solo un accadimento che cela la vera tragedia: lo stupro della quindicenne Joan, col tacito consenso della madre, da parte dell’impresario americano che promette alla ragazza che desidera andarsene, un futuro nello spettacolo. Rimasta incinta e dopo l’aborto, Joan che è partita per l’America e reciso ogni legame con la famiglia, ricompare dopo vent’anni nel terzo atto del lavoro a raccontare una vita di stenti nel mondo dello spettacolo e di amori recisi, tornata col solo desiderio di lasciare la figlioletta di sei mesi alle sorelle, così da poter proseguire la sua tournée. Un solo disco, non ottimo a suo attivo, a spezzare definitivamente il sogno della madre e delle sorelle che lo vedevano impersonato da Joan: “ Cosa diceva la mamma? Una canzone è un luogo, un posto dove vivere. Forse è lì che la mamma appartiene con tutte le persone sole, immaginate, che tentano più che possono di sopravvivere, di brillare, di esserci”.</p> <p style="text-align: justify;"><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Laura_Donnelly__L-R_Nicola_Turner_Nancy_Allsop_Lara_McDonnell_Sophia_Ally_-_The_Hills_of_California_Harold_Pinter_Theatre_-_Photo_by_Mark_Douet.JPG" alt="Laura Donnelly L R Nicola Turner Nancy Allsop Lara McDonnell Sophia Ally The Hills of California Harold Pinter Theatre Photo by Mark Douet" width="500" height="333" /><br /><strong>Laura Donnelly, L R Nicola Turner, Nancy Allsop, Lara McDonnell, Sophia Ally in <em>The Hills of California.</em> <br />Harold Pinter Theatre. Foto Mark Douet</strong></p> <p style="text-align: justify;">Come far lievitare una tragedia del genere in più di tre ore di spettacolo?</p> <p style="text-align: justify;">Soprattutto perché il tessuto della drammaturgia di Butterworth che è denso di temi di conflitto, ma anche di affetti, è come sempre nelle sue drammaturgie poeticamente quasi elegiacamente articolato. I suoi personaggi sono dettagliatamente caratterizzati. Li vediamo decisamente in tutto tondo. Donne vere con pregi e difetti, ansie, sogni e struggenti risvegli alla realtà. Grande è l’apporto nel sollevare l’atmosfera dei gioiosi e ricorrenti motivetti di canzoni anni cinquanta e sessanta cantati a solo o a cappella dalle protagoniste adulte e dalle loro controparti più giovani, accompagnate dalle note del piano o dell’ukulele di Ruby.</p> <p style="text-align: justify;">Il tocco di Sam Mendes, regista acclamato e pluripremiato, non si smentisce. La sua caratteristica fluidità nel raccontare la storia, unisce, fa confluire, raccatta e potenzia i vari filoni del lavoro. Rende la scorrevolezza della moviola in un fluido susseguirsi delle scene. Il succedersi di fatti e racconti di difficoltà e incomprensioni si combina con il comico dei nonsensi, delle battute comiche e delle canzoni che le ragazze eseguono con verve. Le entrate e le uscite dei personaggi scorrono senza pause. I personaggi minori, qui i mariti o gli uomini e le donne che alloggiano nella pensione di Veronica, formano un insieme che dà supporto alla storia dei personaggi principali e creano l’atmosfera della pensione che, come un presagio, ha vista mare solo nel nome altisonante: Seaview Luxury Guesthouse and Spa. La scena tonda, girevole, tagliata in due dalla rampa di scale che sale al primo piano, brillantemente scenica e praticamente utile realizzazione di Rob Howell, permette un passaggio scorrevole dalla sala dove le sorelle adulte sono radunate, alla cucina dove queste sono interpretate dalle bravissime giovanissime attrici-cantanti-ballerine di tap dance. </p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo coinvolge in particolare per la bravura dell’attrice Laura Donnelly, compagna di Jez Butterworth nella vita - che prevedo premiata con varie nomine e premi -, che impersona sia la morente Veronica che l’adulta Joan. La caratterizzazione di entrambi i personaggi è straordinaria, non una caduta di tensione, ed un comando dei personaggi e della scena ineccepibili che obbligano la piena attenzione del pubblico. La trasformazione dall’impeccabile madre - “donna forte, bella, decente che vive una vita difficile”- che sprona le sue ragazze a conquistarsi un posto nel mondo dello spettacolo con un’autorità che alterna a sprazzi di comune gioia nella condivisione del piacere delle vocalizzazioni, alla caratterizzazione di Joan dall’acquisito accento americano, stravaccata sulla poltrona con la continua sigaretta tra le mani ed un’aria di annoiato disinteresse per quelle sorelle che si arrabattano intorno a lei.</p> <p style="text-align: justify;">Il cast di attrici, sia delle ‘grandi’ che delle ‘piccole’ interpreti, è notevole per la loro capacità di impersonare, di cantare e ballare il tap. I riferimenti all’America - le stanze della pensione sono chiamate Colorado, Alabama, Indiana, Minnesota, Mississippi - ed i temi trattati, rendono lo spettacolo di indubbio interesse per la scena d’oltreoceano.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
La tragedia umana. "The House of Bernarda Alba", regia Rebecca Frecknall - Lyttelton Theatre, National Theatre. -di Beatrice Tavecchio
2023-12-25T11:17:33+01:00
2023-12-25T11:17:33+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15519-la-tragedia-umana-the-house-of-bernarda-alba-regia-rebecca-frecknall-lyttelton-theatre-national-theatre-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/b6517032c718b826cd5dcfab2b0f32f7_S.jpg" alt=""The House of Bernarda Alba" company at the National Theatre. Foto Marc Brenner" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>La tragedia umana<br /><em>The House of Bernarda Alba</em> (<em>La casa di Bernarda Alba</em>) <br />di Alice Birch <br />da Federico Garcia Lorca. <br />Regia di Rebecca Frecknall, <br />scene e costumi di Merle Hensel. <br />Con Harriet Walter ( Bernarda Alba), Isis Hainsworth (Adela), Lizzie Annis (Martirio), <br />Rosalind Eleazar (Angustias), Thusitha Jayasundera (Poncia), Eileen Nicholas (Maria Josefa), James McHugh (Pepe El Romano). <br />Lyttelton Theatre, National Theatre dal 28 novembre 2023.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Qual è la rilevanza di <em>La casa di Bernarda Alba</em> ai nostri giorni?</p> <p style="text-align: justify;">Il tema principale della matriarca che vuol chiudere in casa per otto anni le quattro figlie per ossequiare la morte del marito e che impera come un despota sulle loro vite è stato descritto dall’autore Federico Garcia Lorca nel 1936, come un documento realista, in cui ogni scena rappresenta la realtà. Ed infatti la tragedia, che porta al suicidio della figlia minore, ha tutte le caratteristiche di una scrittura verista. Simile ai drammi di Giovanni Verga e di Émile Zola per l’incalzare degli eventi che coinvolgono tutta una famiglia, colta in un ciclo di passioni e di modelli culturali che non lasciano scampo. I dialoghi di Lorca tessono la rete di oppressione che regna nella casa, segnata dai pettegolezzi ricercati e da evitare, dai segreti rovinosi che vivono nell’atmosfera di amore ed odio che trasuda dalle sorelle. </p> <p style="text-align: justify;">La regista Rebecca Frecknall ha scelto di mantenere queste caratteristiche di tragedia umana, qui famigliare, evitando di dare al lavoro toni politici di dittatura, come è stato fatto. Lorca fu fucilato dal regime fascista nel 1936, due mesi dopo aver finito il suo dramma.</p> <p style="text-align: justify;">Frecknall ha invece posto l’accento sull’immagine viva e allo stesso tempo simbolica dell’elemento della discordia tra la madre e le figlie, e tra le sorelle: l’Uomo, che la madre vorrebbe negare alle figlie, impedendo loro il matrimonio, l’aspirazione principale di quelle donne, poiché rappresenta la libertà dall’oppressione famigliare ed un futuro che si spera migliore. L’ uomo, Pepe El Romano, che promesso alla maggiore, Angustias ( una bella interpretazione dell’attrice Rosalind Eleazar ), è adorato segretamente da un’altra ( Martirio, interpretata acutamente da Lizzie Annis ) e amato dalla più giovane Adela, che si suiciderà dopo che la propria madre glielo ha ammazzato. Il fucile, appeso alla parete, è in bella mostra durante lo spettacolo.</p> <p style="text-align: justify;">All’alzarsi del sipario, è l’Uomo che è in scena, grande, aitante, pettorali e braccia da atleta; si muove come un danzatore falcando il palco. È una figura muta che appare di notte al cancello della casa per incontrare ed amare Adela. L’altra figura usata allegoricamente è quella della madre di Bernarda Alba, Maria Josefa, che fa da contrappunto coi suoi, ai desideri delle sorelle. Come una demente si vuole mettere il suo abito da sposa e nella scena dell’incontro amoroso tra Adela e Pepe, è in scena con un agnello morto in braccio, quasi a sottolineare quello che sarà del frutto dell’amore dei due innamorati. Il suo continuo cicaleccio, contrapposto all’incredulità di Martirio che scopre il connubio, è eccellente.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Harriet_Walter_Bernarda_Alba_Isis_Hainsworth_Adela_and_Eileen_Nicholas_Maria_Josefa_in_The_House_of_Bernarda_Alba_at_the_National_Theatre._Credit-_Marc_Brenner_5376.jpg" alt="Harriet Walter Bernarda Alba Isis Hainsworth Adela and Eileen Nicholas Maria Josefa in The House of Bernarda Alba at the National Theatre. Credit Marc Brenner 5376" width="500" height="333" /><br /><strong>Harriet Walter (Bernarda Alba) Isis Hainsworth (Adela) and Eileen Nicholas (Maria Josefa) in <em>The House of Bernarda Alba</em> <br />at the National Theatre. Foto Marc Brenner.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Due scene corali sono magistralmente eseguite. La prima come preannuncio della tragedia che sarà: la donna che ha ucciso il suo bambino, coi suoi inseguitori irrompe nella sala di Bernarda in un quadro vivente di mani e lembi insanguinati e di grida, e chiude fortemente il primo atto. L’altra è l’apertura corale del dramma in cui tutti i personaggi sono in scena e le loro battute risuonano come una cacofonia di suoni e di impressioni che dipingono una comunità. Lo stesso controllo su tempi e silenzi delizia nei dialoghi tra Poncia, la domestica, la brava Thusitha Jayasundera, e Bernarda Alba.</p> <p style="text-align: justify;">La scenografia Merle Hensel è una scaffalatura a tre piani con quattro divisioni per piano contenenti le camerette delle donne. Tutte con letti da ospedale e crocefisso alla parete. Hensel ha scelto di stendere su tutto, mobili, pareti, un colore unico di un leggero azzurro verde. I mobili, il tavolo e le sedie della sala da pranzo sono anonimi, dello stesso colore che dà loro un aspetto moderno, slavato. L’intento sembra essere quello di concentrare l’attenzione sul tema solido del dramma e cioè su donne rinchiuse nelle loro stanze, private della libertà, e di togliere connessioni storiche. Il risultato è interessante, ma non illuminante. </p> <p style="text-align: justify;">La stella dello spettacolo è l’attrice Isis Hainsworth, che impersona Adela. Notevole è come si muove sulla scena, volteggiando nell’abito verde, di come fa vivere la frustrazione di dover sottoporsi al volere della madre, la sua passione per Pepe, il suo risentimento e odio verso le sorelle, la disperazione che la porta ad uccidersi. La sua interpretazione è un misto di intransigenza giovanile e di cocciutaggine nel cercare di liberarsi dalle catene domestiche, che risulta del tutto credibile. Harriet Walters, attrice di fama, cerca di dare alla matriarca specie nella seconda parte del lavoro, una colorazione più umana, specie nella scena in cui tutte le donne sono sedute a tavola, e in particolare nell’ultima scena quando col corpo riverso della figlia morta in grembo, invoca il silenzio, varie volte, con la voce sempre più rotta e strozzata dal pianto. </p> <p style="text-align: justify;">È stato detto che il dramma ricorda i lavori di Chekov, <em>Le tre sorelle</em> in particolare, ma qui siamo ben lontani dall’andamento pacato, sotterraneo dei temi tragici di Chekov. La tragedia di Lorca è scoperta, potente e come tale è stata qui interpretata. A sottolineare il fatto che è la tragedia umana di incomprensioni e di soprusi, di preconcetti e crudeli modelli culturali, di desideri umani e della loro irriducibile deflagrazione, che portano a conseguenze tragiche.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/b6517032c718b826cd5dcfab2b0f32f7_S.jpg" alt=""The House of Bernarda Alba" company at the National Theatre. Foto Marc Brenner" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>La tragedia umana<br /><em>The House of Bernarda Alba</em> (<em>La casa di Bernarda Alba</em>) <br />di Alice Birch <br />da Federico Garcia Lorca. <br />Regia di Rebecca Frecknall, <br />scene e costumi di Merle Hensel. <br />Con Harriet Walter ( Bernarda Alba), Isis Hainsworth (Adela), Lizzie Annis (Martirio), <br />Rosalind Eleazar (Angustias), Thusitha Jayasundera (Poncia), Eileen Nicholas (Maria Josefa), James McHugh (Pepe El Romano). <br />Lyttelton Theatre, National Theatre dal 28 novembre 2023.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Qual è la rilevanza di <em>La casa di Bernarda Alba</em> ai nostri giorni?</p> <p style="text-align: justify;">Il tema principale della matriarca che vuol chiudere in casa per otto anni le quattro figlie per ossequiare la morte del marito e che impera come un despota sulle loro vite è stato descritto dall’autore Federico Garcia Lorca nel 1936, come un documento realista, in cui ogni scena rappresenta la realtà. Ed infatti la tragedia, che porta al suicidio della figlia minore, ha tutte le caratteristiche di una scrittura verista. Simile ai drammi di Giovanni Verga e di Émile Zola per l’incalzare degli eventi che coinvolgono tutta una famiglia, colta in un ciclo di passioni e di modelli culturali che non lasciano scampo. I dialoghi di Lorca tessono la rete di oppressione che regna nella casa, segnata dai pettegolezzi ricercati e da evitare, dai segreti rovinosi che vivono nell’atmosfera di amore ed odio che trasuda dalle sorelle. </p> <p style="text-align: justify;">La regista Rebecca Frecknall ha scelto di mantenere queste caratteristiche di tragedia umana, qui famigliare, evitando di dare al lavoro toni politici di dittatura, come è stato fatto. Lorca fu fucilato dal regime fascista nel 1936, due mesi dopo aver finito il suo dramma.</p> <p style="text-align: justify;">Frecknall ha invece posto l’accento sull’immagine viva e allo stesso tempo simbolica dell’elemento della discordia tra la madre e le figlie, e tra le sorelle: l’Uomo, che la madre vorrebbe negare alle figlie, impedendo loro il matrimonio, l’aspirazione principale di quelle donne, poiché rappresenta la libertà dall’oppressione famigliare ed un futuro che si spera migliore. L’ uomo, Pepe El Romano, che promesso alla maggiore, Angustias ( una bella interpretazione dell’attrice Rosalind Eleazar ), è adorato segretamente da un’altra ( Martirio, interpretata acutamente da Lizzie Annis ) e amato dalla più giovane Adela, che si suiciderà dopo che la propria madre glielo ha ammazzato. Il fucile, appeso alla parete, è in bella mostra durante lo spettacolo.</p> <p style="text-align: justify;">All’alzarsi del sipario, è l’Uomo che è in scena, grande, aitante, pettorali e braccia da atleta; si muove come un danzatore falcando il palco. È una figura muta che appare di notte al cancello della casa per incontrare ed amare Adela. L’altra figura usata allegoricamente è quella della madre di Bernarda Alba, Maria Josefa, che fa da contrappunto coi suoi, ai desideri delle sorelle. Come una demente si vuole mettere il suo abito da sposa e nella scena dell’incontro amoroso tra Adela e Pepe, è in scena con un agnello morto in braccio, quasi a sottolineare quello che sarà del frutto dell’amore dei due innamorati. Il suo continuo cicaleccio, contrapposto all’incredulità di Martirio che scopre il connubio, è eccellente.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Harriet_Walter_Bernarda_Alba_Isis_Hainsworth_Adela_and_Eileen_Nicholas_Maria_Josefa_in_The_House_of_Bernarda_Alba_at_the_National_Theatre._Credit-_Marc_Brenner_5376.jpg" alt="Harriet Walter Bernarda Alba Isis Hainsworth Adela and Eileen Nicholas Maria Josefa in The House of Bernarda Alba at the National Theatre. Credit Marc Brenner 5376" width="500" height="333" /><br /><strong>Harriet Walter (Bernarda Alba) Isis Hainsworth (Adela) and Eileen Nicholas (Maria Josefa) in <em>The House of Bernarda Alba</em> <br />at the National Theatre. Foto Marc Brenner.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Due scene corali sono magistralmente eseguite. La prima come preannuncio della tragedia che sarà: la donna che ha ucciso il suo bambino, coi suoi inseguitori irrompe nella sala di Bernarda in un quadro vivente di mani e lembi insanguinati e di grida, e chiude fortemente il primo atto. L’altra è l’apertura corale del dramma in cui tutti i personaggi sono in scena e le loro battute risuonano come una cacofonia di suoni e di impressioni che dipingono una comunità. Lo stesso controllo su tempi e silenzi delizia nei dialoghi tra Poncia, la domestica, la brava Thusitha Jayasundera, e Bernarda Alba.</p> <p style="text-align: justify;">La scenografia Merle Hensel è una scaffalatura a tre piani con quattro divisioni per piano contenenti le camerette delle donne. Tutte con letti da ospedale e crocefisso alla parete. Hensel ha scelto di stendere su tutto, mobili, pareti, un colore unico di un leggero azzurro verde. I mobili, il tavolo e le sedie della sala da pranzo sono anonimi, dello stesso colore che dà loro un aspetto moderno, slavato. L’intento sembra essere quello di concentrare l’attenzione sul tema solido del dramma e cioè su donne rinchiuse nelle loro stanze, private della libertà, e di togliere connessioni storiche. Il risultato è interessante, ma non illuminante. </p> <p style="text-align: justify;">La stella dello spettacolo è l’attrice Isis Hainsworth, che impersona Adela. Notevole è come si muove sulla scena, volteggiando nell’abito verde, di come fa vivere la frustrazione di dover sottoporsi al volere della madre, la sua passione per Pepe, il suo risentimento e odio verso le sorelle, la disperazione che la porta ad uccidersi. La sua interpretazione è un misto di intransigenza giovanile e di cocciutaggine nel cercare di liberarsi dalle catene domestiche, che risulta del tutto credibile. Harriet Walters, attrice di fama, cerca di dare alla matriarca specie nella seconda parte del lavoro, una colorazione più umana, specie nella scena in cui tutte le donne sono sedute a tavola, e in particolare nell’ultima scena quando col corpo riverso della figlia morta in grembo, invoca il silenzio, varie volte, con la voce sempre più rotta e strozzata dal pianto. </p> <p style="text-align: justify;">È stato detto che il dramma ricorda i lavori di Chekov, <em>Le tre sorelle</em> in particolare, ma qui siamo ben lontani dall’andamento pacato, sotterraneo dei temi tragici di Chekov. La tragedia di Lorca è scoperta, potente e come tale è stata qui interpretata. A sottolineare il fatto che è la tragedia umana di incomprensioni e di soprusi, di preconcetti e crudeli modelli culturali, di desideri umani e della loro irriducibile deflagrazione, che portano a conseguenze tragiche.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
L’Aviva Studios, Nuovo immenso Centro per le Arti a Manchester. -di Beatrice Tavecchio
2023-11-05T12:39:21+01:00
2023-11-05T12:39:21+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15412-l-aviva-studios-nuovo-immenso-centro-per-le-arti-a-manchester-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/a525335344f8dee4b54ca31335133457_S.jpg" alt="Aviva Studios. Photo by Marco Cappelletti, courtesy of OMA and Factory International." /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;">La scena britannica, tra le più vivaci e creative del mondo, si risolleva. Lentamente dapprima, ma sempre più celermente, l’industria dell’intrattenimento, trainata dai musicals, ricomincia a fiorire.</p> <p style="text-align: justify;">Il fiore all’occhiello è l’apertura del nuovo complesso culturale e sociale, un nuovo centro per le Arti, l’Aviva Studios, a Manchester, che offre al Nord la possibilità di gareggiare per vastità ed eccellenza col Sud di Londra. Pensato e supportato con 106 milioni di sterline dall’allora ministro del tesoro conservatore George Osborne nel 2014, in ritardo sulla realizzazione anche per il Covid e con costi aumentati esponenzialmente anche per l’aumentato costo dei materiali fino alla bella cifra di 242 milioni di sterline, vede ora a novembre la sua inaugurazione.</p> <p style="text-align: justify;">Manchester conta già sulla Opera House, sul teatro Home e sull’acclamato Royal Exchange Theatre che coltivano le menti e la vita sociale della città. L’Aviva Studios aggiunge un’altra dimensione per la vastità dello spazio e la sua flessibilità. “Avevamo notato la mancanza di un’organizzazione più ampia. Abbiamo teatri commerciali che girano come la Opera House e il Palace, e teatri per produzioni di media portata come il Royal Exchange, ma avevamo bisogno di qualcosa di più grande e versatile” spiega il vice-sindaco del Manchester City Council, Luthfur Rahman “ora abbiamo uno tra i più flessibili e versatili edifici in UK. Le opzioni sono infinite. E questo è quello di cui Manchester aveva bisogno.”</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/OK_Aviva_Studios._Photo_by_Marco_Cappelletti_courtesy_of_OMA_and_Factory_International.e6814b1.jpg_copia.jpg" alt="OK Aviva Studios. Photo by Marco Cappelletti courtesy of OMA and Factory International.e6814b1.jpg copia" width="500" height="338" /><br /><strong>Aviva Studios. Photo by Marco Cappelletti, courtesy of OMA and Factory International.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Se i nuovi spazi teatrali vanno progettati pensando al futuro, e se si considera il successo di spettacoli di teatro immersivo che richiedono ettari di terreno performativo in cui immettere e far muovere scene/palcoscenici multipli coi loro attori e far circolare al suo interno centinaia di spettatori, allora l’Aviva Studios presenta la carta vincente.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò che l’’architetto olandese <strong>Ellen van Loon</strong> dell’Office of Metropolitan Architecture, che aveva vinto il contratto nel 2015, ha costruito è uno spazio flessibile con due aree che possono essere usate singolarmente o insieme, per far fronte alle necessità di un programma vario di teatro, di musica, di cinema e di arti visive. Lo spazio del Warehouse (il Magazzino), può essere usato come un singolo, enorme palcoscenico che <strong>Ellen van Loon</strong> spiega “ è più grande di quelli dei teatri tradizionali, con un soffitto più alto di quattro autobus double decker e che può sostenere più di duecento tonnellate di scene o di attrezzature. Un livello di spazio performativo che non esiste al mondo.” Il nuovo complesso di 44.500 metri quadri ospita oltre al Werehouse, un altro teatro di mille seicento posti. Sarà la sede del Manchester International Festival, la biennale d’arte attiva dal 2007, e col nuovo nome di Factory International, che comprende il MIF, programmerà tutta la produzione culturale del centro, i programmi di apprendistato tecnico e di produzione per giovani, schemi di sviluppo artistico, oltre a tutto l’ampio lavoro di partecipazione. Ma, in giugno la compagnia di assicurazione Aviva con uno dei maggiori sussidi dato alla cultura, trentadue milioni, si è assicurata i diritti di dare al centro il suo nome: Aviva Studios.</p> <p style="text-align: justify;">Il dibattito sulle prerogative che si danno agli sponsor privati in cambio di privilegi non si è ancora placato. Ma date le ristrettezze economiche e il bisogno di finire il progetto - solo a settembre il comune di Manchester ha approvato un ultimo aumento di 22 milioni sul bilancio per completare i lavori - non c’era molta scelta ed il direttore artistico ed esecutivo di Factory International, <strong>John McGrath</strong> invita a celebrare questo misto di aiuti finanziari pubblici e privati come un esempio di ciò che dovrebbe accadere anche altrove.“Abbiamo visto a Manchester politici non solo parlare di quello che si ha bisogno per far funzionare una città, ma anche di quello che rende una città degna di viverci, come l’investire nella cultura”</p> <p style="text-align: justify;">Il centro riceverà dall’Art Council England dal prossimo aprile 2024 fino al 2026, 9,9 milioni di sterline all’anno, che includono 9 milioni da parte del Governo. </p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Free_Your_Mind_the_official_opening_production_for_Aviva_Studios_the_home_of_Factory_International__Tristram_Kenton_October_2023_-_4506.934deeb.jpg" alt="Free Your Mind the official opening production for Aviva Studios the home of Factory International Tristram Kenton October 2023 4506.934deeb" width="500" height="333" /><br /><strong><em>Free Your Mind</em>, the official opening production for Aviva Studios, the home of Factory International © Daniel Devlin, October 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo inaugurale del 18 ottobre 2023, <em>Free Your Mind</em> (<em>Libera la mente</em>), spettacolo immersivo di danza, musica ed effetti speciali, con 50 danzatori professionisti e altri 100 partecipanti ha preso ispirazione dal film The Matrix. Diretto da <strong>Danny Boyle</strong>, pluripremiato regista cinematografico di <em>Transpotting</em>, <em>Slumdog</em> <em>Millionaire</em> e <em>Steve Jobs</em>, e regista dei Giochi 2012 Summer Olympics, si avvale della coreografia hip hop di <strong>Kenrick ‘H2O’ Sandy</strong> e delle musiche di <strong>Michael ‘Mikey J’ Asante</strong> (fondatore e direttore artistico di Boy Blue), e della scenografia immersiva di <strong>Es Devlin</strong>. Le luci di <strong>Lucy Carter</strong>, il suono di <strong>Gareth Fry</strong> e il disegno video di <strong>Luke Halls</strong> indicano che il contributo di questi elementi sarà sempre più prezioso nel teatro immersivo futuro.</p> <p style="text-align: justify;">Seguiranno in programma un adattamento del libro per bambini di <strong>Oliver Jeffers</strong>, <em>Lost and Found</em> (<em>Perso e Trovato</em>) con musica di <strong>Gruff Rhys</strong> dei <strong>Super Furry Animals</strong> e concerti di <strong>Children of Zeus</strong> e <strong>Johnny Marr</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/a525335344f8dee4b54ca31335133457_S.jpg" alt="Aviva Studios. Photo by Marco Cappelletti, courtesy of OMA and Factory International." /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;">La scena britannica, tra le più vivaci e creative del mondo, si risolleva. Lentamente dapprima, ma sempre più celermente, l’industria dell’intrattenimento, trainata dai musicals, ricomincia a fiorire.</p> <p style="text-align: justify;">Il fiore all’occhiello è l’apertura del nuovo complesso culturale e sociale, un nuovo centro per le Arti, l’Aviva Studios, a Manchester, che offre al Nord la possibilità di gareggiare per vastità ed eccellenza col Sud di Londra. Pensato e supportato con 106 milioni di sterline dall’allora ministro del tesoro conservatore George Osborne nel 2014, in ritardo sulla realizzazione anche per il Covid e con costi aumentati esponenzialmente anche per l’aumentato costo dei materiali fino alla bella cifra di 242 milioni di sterline, vede ora a novembre la sua inaugurazione.</p> <p style="text-align: justify;">Manchester conta già sulla Opera House, sul teatro Home e sull’acclamato Royal Exchange Theatre che coltivano le menti e la vita sociale della città. L’Aviva Studios aggiunge un’altra dimensione per la vastità dello spazio e la sua flessibilità. “Avevamo notato la mancanza di un’organizzazione più ampia. Abbiamo teatri commerciali che girano come la Opera House e il Palace, e teatri per produzioni di media portata come il Royal Exchange, ma avevamo bisogno di qualcosa di più grande e versatile” spiega il vice-sindaco del Manchester City Council, Luthfur Rahman “ora abbiamo uno tra i più flessibili e versatili edifici in UK. Le opzioni sono infinite. E questo è quello di cui Manchester aveva bisogno.”</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/OK_Aviva_Studios._Photo_by_Marco_Cappelletti_courtesy_of_OMA_and_Factory_International.e6814b1.jpg_copia.jpg" alt="OK Aviva Studios. Photo by Marco Cappelletti courtesy of OMA and Factory International.e6814b1.jpg copia" width="500" height="338" /><br /><strong>Aviva Studios. Photo by Marco Cappelletti, courtesy of OMA and Factory International.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Se i nuovi spazi teatrali vanno progettati pensando al futuro, e se si considera il successo di spettacoli di teatro immersivo che richiedono ettari di terreno performativo in cui immettere e far muovere scene/palcoscenici multipli coi loro attori e far circolare al suo interno centinaia di spettatori, allora l’Aviva Studios presenta la carta vincente.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò che l’’architetto olandese <strong>Ellen van Loon</strong> dell’Office of Metropolitan Architecture, che aveva vinto il contratto nel 2015, ha costruito è uno spazio flessibile con due aree che possono essere usate singolarmente o insieme, per far fronte alle necessità di un programma vario di teatro, di musica, di cinema e di arti visive. Lo spazio del Warehouse (il Magazzino), può essere usato come un singolo, enorme palcoscenico che <strong>Ellen van Loon</strong> spiega “ è più grande di quelli dei teatri tradizionali, con un soffitto più alto di quattro autobus double decker e che può sostenere più di duecento tonnellate di scene o di attrezzature. Un livello di spazio performativo che non esiste al mondo.” Il nuovo complesso di 44.500 metri quadri ospita oltre al Werehouse, un altro teatro di mille seicento posti. Sarà la sede del Manchester International Festival, la biennale d’arte attiva dal 2007, e col nuovo nome di Factory International, che comprende il MIF, programmerà tutta la produzione culturale del centro, i programmi di apprendistato tecnico e di produzione per giovani, schemi di sviluppo artistico, oltre a tutto l’ampio lavoro di partecipazione. Ma, in giugno la compagnia di assicurazione Aviva con uno dei maggiori sussidi dato alla cultura, trentadue milioni, si è assicurata i diritti di dare al centro il suo nome: Aviva Studios.</p> <p style="text-align: justify;">Il dibattito sulle prerogative che si danno agli sponsor privati in cambio di privilegi non si è ancora placato. Ma date le ristrettezze economiche e il bisogno di finire il progetto - solo a settembre il comune di Manchester ha approvato un ultimo aumento di 22 milioni sul bilancio per completare i lavori - non c’era molta scelta ed il direttore artistico ed esecutivo di Factory International, <strong>John McGrath</strong> invita a celebrare questo misto di aiuti finanziari pubblici e privati come un esempio di ciò che dovrebbe accadere anche altrove.“Abbiamo visto a Manchester politici non solo parlare di quello che si ha bisogno per far funzionare una città, ma anche di quello che rende una città degna di viverci, come l’investire nella cultura”</p> <p style="text-align: justify;">Il centro riceverà dall’Art Council England dal prossimo aprile 2024 fino al 2026, 9,9 milioni di sterline all’anno, che includono 9 milioni da parte del Governo. </p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Free_Your_Mind_the_official_opening_production_for_Aviva_Studios_the_home_of_Factory_International__Tristram_Kenton_October_2023_-_4506.934deeb.jpg" alt="Free Your Mind the official opening production for Aviva Studios the home of Factory International Tristram Kenton October 2023 4506.934deeb" width="500" height="333" /><br /><strong><em>Free Your Mind</em>, the official opening production for Aviva Studios, the home of Factory International © Daniel Devlin, October 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">Lo spettacolo inaugurale del 18 ottobre 2023, <em>Free Your Mind</em> (<em>Libera la mente</em>), spettacolo immersivo di danza, musica ed effetti speciali, con 50 danzatori professionisti e altri 100 partecipanti ha preso ispirazione dal film The Matrix. Diretto da <strong>Danny Boyle</strong>, pluripremiato regista cinematografico di <em>Transpotting</em>, <em>Slumdog</em> <em>Millionaire</em> e <em>Steve Jobs</em>, e regista dei Giochi 2012 Summer Olympics, si avvale della coreografia hip hop di <strong>Kenrick ‘H2O’ Sandy</strong> e delle musiche di <strong>Michael ‘Mikey J’ Asante</strong> (fondatore e direttore artistico di Boy Blue), e della scenografia immersiva di <strong>Es Devlin</strong>. Le luci di <strong>Lucy Carter</strong>, il suono di <strong>Gareth Fry</strong> e il disegno video di <strong>Luke Halls</strong> indicano che il contributo di questi elementi sarà sempre più prezioso nel teatro immersivo futuro.</p> <p style="text-align: justify;">Seguiranno in programma un adattamento del libro per bambini di <strong>Oliver Jeffers</strong>, <em>Lost and Found</em> (<em>Perso e Trovato</em>) con musica di <strong>Gruff Rhys</strong> dei <strong>Super Furry Animals</strong> e concerti di <strong>Children of Zeus</strong> e <strong>Johnny Marr</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
Dear England (Cara Inghilterra). Un nuovo testo teatrale trascinante e impeccabile... -di Beatrice Tavecchio
2023-11-01T10:17:02+01:00
2023-11-01T10:17:02+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15410-dear-england-cara-inghilterra-un-nuovo-testo-teatrale-trascinante-e-impeccabile-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/2014d94d978e71aa998c899167b72952_S.jpg" alt="Il cast di "Dear England", West End. Foto Marc Brenner " /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Dear England (Cara Inghilterra)</em><br />di James Graham. Regia di Rupert Goold, scene di Es Devlin, costumi di Evie Gurney, luci di Jon Clark, <br />coreografie di Ellen Kane e Hannes Langolf, suono di Dan Balfour e Tom Gibbons, <br />video di Ash J Woodward.<br />Con Joseph Fiennes (Gareth Southgate), Denzel Baidoo (Bukayo Saka), Josh Barrow (Jordan Pickford), Will Close (Harry Kane), Darragh Hand (Marcus Rashford) Griffin Stevens (Harry Maguire).<br />Prima al National Theatre il 20 giugno 2023<br />Ora al Prince Edward Theatre, West End, dal 9 ottobre 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">Un nuovo testo teatrale trascinante e impeccabile con una regia che ne sottolinea il ritmo veloce e lo esalta con musiche, coreografia ed il gioco dei colori nei costumi. Cast brillante e coinvolgente. </p> <p style="text-align: justify;"><strong>James Graham</strong> (1982), il drammaturgo inglese che si distingue per l’indagine storica e a volte politica dei suoi lavori e che sta acquistando sempre più fama sia in UK che negli USA, pluripremiato per <em>This House</em>, <em>Best of Enemies</em>, <em>Ink</em>, e i musical <em>Tammy Faye</em> e <em>Finding Neverland</em>, ha scritto ora un testo teatrale che farà storia. Per vari motivi. Prima di tutto perché ripercorre una storia conosciuta: quella della Nazionale Inglese di calcio, in cui tutti si possono rispecchiare e sentirsi coinvolti criticamente. Secondo, per il ritmo impresso al testo che copre un lungo arco di tempo, tre e più decadi, dettagliato dai specifici riferimenti agli eventi che vivono nella memoria collettiva del calcio inglese, dalla sua nascita ai suoi eroi, per poi concentrarsi sul rigore mancato di Gareth Southgate nella semifinale europea contro la Germania del 1996 e sulla sua strategia come commissario tecnico per risollevare le sorti e la connessione col pubblico della nazionale. Dicevo del ritmo del testo, che è dato da una scrittura che non si perde nei dettagli, ma con piglio sicuro dà voce a personaggi ed eventi che delineano senza orpelli una storia che vuole essere personale per Southgate e per i calciatori della nazionale e che allo stesso tempo si rifrange sulla memoria collettiva per quello che è stata ed è la nazionale, non solo per i tifosi, ma per la coscienza nazionale. Un esempio di vita.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/The_cast_of_Dear_England_in_the_West_End._Credit_Marc_Brenner_3.jpg" alt="The cast of Dear England in the West End. Credit Marc Brenner 3" width="500" height="333" /><br /><strong>Il cast di "Dear England", West End. Foto Marc Brenner </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il testo è un’esplorazione della strategia psicologica di Southgate che diversamente da chi l’ha preceduto, punta a costruire l’affiatamento, la coesione, il supporto tra i calciatori della nazionale che provengono da diversi club, a lasciar loro la prerogativa di dar voce alle loro ansie con l’aiuto della psicologa, la dottoressa Pippa Grange, (l’attrice <strong>Dervla Kirwan</strong>), e alle loro iniziative - <strong>Marcus Rashford</strong> in tempo di Covid porta avanti una campagna affinché tutti i bambini delle scuole inglesi abbiano un pasto - fino al poter esprimere il proprio punto di vista sulle oscenità razziste gridate da certi tifosi ai calciatori di colore, che portò all’esaltante visione di ammirare tutti i calciatori della nazionale inglese piegare il ginocchio in loro supporto. La crescita personale dei giocatori, la loro maggiore confidenza sul chi sono e sul sopporto dei compagni di squadra si riversa sul campo da gioco con una progressione di vittorie che li porta al quarto posto nel campionato del mondo 2018-19 e al secondo posto nel campionato d’Europa 2020-21, dove a Wembley perdono ai rigori la finale contro la nazionale italiana. Ed è proprio questa alternanza di sconfitte -da quella del mancato rigore di Southgate nel ’96, a tutti gli altri rigori mancati- e di vincite, che cuce insieme il testo, che diventa un esempio positivo, nel suo insieme di bassi e di alti, di resilienza e solidarietà umana.</p> <p style="text-align: justify;">Ma veniamo allo spettacolo. <strong>Rupert Goold</strong>, il regista sostiene il testo e gli infonde l’esuberanza distintiva del calcio, il ritmo incalzante e la coerenza delle scene. Come? Prima di tutto attraverso la scenografia di Es Devlin, semplice, minimalista: un ciclorama sul fondale, in alto un cerchio al neon più largo ed uno più ristretto in basso a delineare la scena. Dieci scatoloni a misura d’uomo, rettangolari, usati in verticale, ad aiutare i cambiamenti di scena, entrate ed uscite. Tutto qui. Sono le proiezioni solitamente in bianco e nero sul ciclorama ad indicare e far rivivere gli eventi sportivi, mentre sul nastro al neon superiore vengono indicati i punteggi delle varie partite, in rosso. </p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/The_cast_of_Dear_England_in_the_West_End._Credit_Marc_Brenner.jpg" alt="The cast of Dear England in the West End. Credit Marc Brenner" width="500" height="280" /><br /><strong>Il cast di "Dear England", West End. Foto Marc Brenner </strong></p> <p style="text-align: justify;">Altri elementi non intralciano il discorso dello spettacolo perché non delimitano gli spazi in cui gli avvenimenti occorrono. Il suo inizio è da 2001 <em>Odissea nello spazio</em> di <strong>Stanley Kubrick</strong>. L’arena del vecchio stadio di Wembley con le sue due iconiche torri -in bianco e nero- emerge a poco a poco dal livello del palco, e si innalza adagio sul ciclorama fino a esplodere nei canti e nelle grida dei tifosi. Gareth Southgate, l’ottimo protagonista <strong>Joseph Fiennes</strong>, solo sul palco, si porta sgomento le mani sul retro del capo, come fece il giocatore stesso dopo il mancato goal del ’96. Il rosso delle divise dei giocatori e il giallo di quella del portiere irrompono come esplosioni sui colori tenui della scena, così come il rosso delle sedie su cui gli interpreti a volte si siedono e che vengono anche usate come pulsazioni, battute sul palco, per dar ritmo allo spettacolo. I rigori, che sono al cuore del discorso del lavoro, sono resi da un cerchietto al neon sul palco nel punto da cui partirà il colpo dato dagli interpreti, che è accompagnato da un boato sonoro. Musica di tutti i tipi, curata da <strong>Dan Balfour</strong> e <strong>Tom Gibbons</strong>, dalla classica, alla semi-classica, al pop, ai canti: dall’universale “It’s Coming Home” (<em>Sta tornando a casa</em>) al “Sweet Caroline” - <em>non é mai stato così bello, pensavo che bei tempi non sarebbero mai arrivati, ma ora io.</em>..- all’inno nazionale, sostengono la tensione per diversità e ritmo. Ho detto prima di come la diversità degli ambienti in cui la compagnia si muove, da quelli intimi come gli spogliatoi a quelli ampi dei campi da gioco sono stati risolti. Ma come si è resa la dimensione di una squadra ed i suoi movimenti? La coreografia di <strong>Ellen Kane</strong> e <strong>Hannes Langolf</strong> gioca sia sull’interpretazione di movimenti atletici che sul loro fermo immagine, che danno ai giocatori quasi un aspetto statuario o anche se si vuole di gioco delle ‘belle statuine’, di Un, Due, Tre, Stella! Un aspetto scherzoso adottato anche per le entrate dei personaggi del pubblico, tutti assieme freneticamente, dal venditore di pesce e patatine, al curato, alla coppia di sposi, alla lollipop lady, e poi per i tre ministri: <strong>Teresa May</strong>, <strong>Boris Johnson</strong> e <strong>Liz Truss</strong> che appaiono più come clown che veri personaggi, a cui sono state date brevi incoerenti battute - un po’ alla <em>Ubu Roi</em> di <strong>Alfred Jarry</strong> o alle marionette o ai personaggi demistificanti di Dario Fo - che contrastano il lavoro ben programmato di Southgate.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Will_Close_Young_Gareth_Southgate_in_Dear_England_West_End._Credit_Marc_Brenner.jpg" alt="Will Close Young Gareth Southgate in Dear England West End. Credit Marc Brenner" width="500" height="333" /><br /><strong>Will Close (Young Gareth Southgate) in "Dear England" West End. Foto Marc Brenner</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Joseph Fiennes</strong> rende il manierismo di Southgate, pacato, riflessivo, ma fermo nelle proprie convinzioni, umano. Se all’inizio può sembrare un po’ stereotipato, nell’azione diventa sempre più convincente e sicuro del proprio ruolo. Gli altri attori sono ben inseriti e individualizzati, pur giocando con tono scherzoso e istrionico su un certo aspetto o caratteristica del personaggio che interpretano: la difficoltà di comunicare del capitano Harry Kane, per esempio. Ma il tutto in un’atmosfera di cameratismo che si esplicita anche nell’ultima scena, fisicamente, nella “brutta”danza improvvisata dai giocatori raggruppati in solidarietà intorno a Kane che ha mancato il rigore. L’ironia giocosa che è nel testo, è visibile sul palco. Dove, a concludere lo spettacolo, irrompe il personaggio della Leonessa Chloe Kelly -quella che si era tolta la maglietta-, con la Coppa UEFA Euro 2022 e quello di <strong>Sarina Wiegman</strong>, manager della squadra nazionale femminile inglese, che offre a Southgate la Coppa, perché tanto lei ne ha delle altre! Evviva, un testo teatrale ed uno spettacolo che ricordano l’uguaglianza di genere e celebrano, se pur brevemente, le vittorie femminili!</p> <p style="text-align: justify;">Uno spettacolo quindi che rispecchia il nostro tempo, ben scritto, intelligente, e bello in tutto tondo, umano e positivo.</p> <p><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/2014d94d978e71aa998c899167b72952_S.jpg" alt="Il cast di "Dear England", West End. Foto Marc Brenner " /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Dear England (Cara Inghilterra)</em><br />di James Graham. Regia di Rupert Goold, scene di Es Devlin, costumi di Evie Gurney, luci di Jon Clark, <br />coreografie di Ellen Kane e Hannes Langolf, suono di Dan Balfour e Tom Gibbons, <br />video di Ash J Woodward.<br />Con Joseph Fiennes (Gareth Southgate), Denzel Baidoo (Bukayo Saka), Josh Barrow (Jordan Pickford), Will Close (Harry Kane), Darragh Hand (Marcus Rashford) Griffin Stevens (Harry Maguire).<br />Prima al National Theatre il 20 giugno 2023<br />Ora al Prince Edward Theatre, West End, dal 9 ottobre 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">Un nuovo testo teatrale trascinante e impeccabile con una regia che ne sottolinea il ritmo veloce e lo esalta con musiche, coreografia ed il gioco dei colori nei costumi. Cast brillante e coinvolgente. </p> <p style="text-align: justify;"><strong>James Graham</strong> (1982), il drammaturgo inglese che si distingue per l’indagine storica e a volte politica dei suoi lavori e che sta acquistando sempre più fama sia in UK che negli USA, pluripremiato per <em>This House</em>, <em>Best of Enemies</em>, <em>Ink</em>, e i musical <em>Tammy Faye</em> e <em>Finding Neverland</em>, ha scritto ora un testo teatrale che farà storia. Per vari motivi. Prima di tutto perché ripercorre una storia conosciuta: quella della Nazionale Inglese di calcio, in cui tutti si possono rispecchiare e sentirsi coinvolti criticamente. Secondo, per il ritmo impresso al testo che copre un lungo arco di tempo, tre e più decadi, dettagliato dai specifici riferimenti agli eventi che vivono nella memoria collettiva del calcio inglese, dalla sua nascita ai suoi eroi, per poi concentrarsi sul rigore mancato di Gareth Southgate nella semifinale europea contro la Germania del 1996 e sulla sua strategia come commissario tecnico per risollevare le sorti e la connessione col pubblico della nazionale. Dicevo del ritmo del testo, che è dato da una scrittura che non si perde nei dettagli, ma con piglio sicuro dà voce a personaggi ed eventi che delineano senza orpelli una storia che vuole essere personale per Southgate e per i calciatori della nazionale e che allo stesso tempo si rifrange sulla memoria collettiva per quello che è stata ed è la nazionale, non solo per i tifosi, ma per la coscienza nazionale. Un esempio di vita.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/The_cast_of_Dear_England_in_the_West_End._Credit_Marc_Brenner_3.jpg" alt="The cast of Dear England in the West End. Credit Marc Brenner 3" width="500" height="333" /><br /><strong>Il cast di "Dear England", West End. Foto Marc Brenner </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il testo è un’esplorazione della strategia psicologica di Southgate che diversamente da chi l’ha preceduto, punta a costruire l’affiatamento, la coesione, il supporto tra i calciatori della nazionale che provengono da diversi club, a lasciar loro la prerogativa di dar voce alle loro ansie con l’aiuto della psicologa, la dottoressa Pippa Grange, (l’attrice <strong>Dervla Kirwan</strong>), e alle loro iniziative - <strong>Marcus Rashford</strong> in tempo di Covid porta avanti una campagna affinché tutti i bambini delle scuole inglesi abbiano un pasto - fino al poter esprimere il proprio punto di vista sulle oscenità razziste gridate da certi tifosi ai calciatori di colore, che portò all’esaltante visione di ammirare tutti i calciatori della nazionale inglese piegare il ginocchio in loro supporto. La crescita personale dei giocatori, la loro maggiore confidenza sul chi sono e sul sopporto dei compagni di squadra si riversa sul campo da gioco con una progressione di vittorie che li porta al quarto posto nel campionato del mondo 2018-19 e al secondo posto nel campionato d’Europa 2020-21, dove a Wembley perdono ai rigori la finale contro la nazionale italiana. Ed è proprio questa alternanza di sconfitte -da quella del mancato rigore di Southgate nel ’96, a tutti gli altri rigori mancati- e di vincite, che cuce insieme il testo, che diventa un esempio positivo, nel suo insieme di bassi e di alti, di resilienza e solidarietà umana.</p> <p style="text-align: justify;">Ma veniamo allo spettacolo. <strong>Rupert Goold</strong>, il regista sostiene il testo e gli infonde l’esuberanza distintiva del calcio, il ritmo incalzante e la coerenza delle scene. Come? Prima di tutto attraverso la scenografia di Es Devlin, semplice, minimalista: un ciclorama sul fondale, in alto un cerchio al neon più largo ed uno più ristretto in basso a delineare la scena. Dieci scatoloni a misura d’uomo, rettangolari, usati in verticale, ad aiutare i cambiamenti di scena, entrate ed uscite. Tutto qui. Sono le proiezioni solitamente in bianco e nero sul ciclorama ad indicare e far rivivere gli eventi sportivi, mentre sul nastro al neon superiore vengono indicati i punteggi delle varie partite, in rosso. </p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/The_cast_of_Dear_England_in_the_West_End._Credit_Marc_Brenner.jpg" alt="The cast of Dear England in the West End. Credit Marc Brenner" width="500" height="280" /><br /><strong>Il cast di "Dear England", West End. Foto Marc Brenner </strong></p> <p style="text-align: justify;">Altri elementi non intralciano il discorso dello spettacolo perché non delimitano gli spazi in cui gli avvenimenti occorrono. Il suo inizio è da 2001 <em>Odissea nello spazio</em> di <strong>Stanley Kubrick</strong>. L’arena del vecchio stadio di Wembley con le sue due iconiche torri -in bianco e nero- emerge a poco a poco dal livello del palco, e si innalza adagio sul ciclorama fino a esplodere nei canti e nelle grida dei tifosi. Gareth Southgate, l’ottimo protagonista <strong>Joseph Fiennes</strong>, solo sul palco, si porta sgomento le mani sul retro del capo, come fece il giocatore stesso dopo il mancato goal del ’96. Il rosso delle divise dei giocatori e il giallo di quella del portiere irrompono come esplosioni sui colori tenui della scena, così come il rosso delle sedie su cui gli interpreti a volte si siedono e che vengono anche usate come pulsazioni, battute sul palco, per dar ritmo allo spettacolo. I rigori, che sono al cuore del discorso del lavoro, sono resi da un cerchietto al neon sul palco nel punto da cui partirà il colpo dato dagli interpreti, che è accompagnato da un boato sonoro. Musica di tutti i tipi, curata da <strong>Dan Balfour</strong> e <strong>Tom Gibbons</strong>, dalla classica, alla semi-classica, al pop, ai canti: dall’universale “It’s Coming Home” (<em>Sta tornando a casa</em>) al “Sweet Caroline” - <em>non é mai stato così bello, pensavo che bei tempi non sarebbero mai arrivati, ma ora io.</em>..- all’inno nazionale, sostengono la tensione per diversità e ritmo. Ho detto prima di come la diversità degli ambienti in cui la compagnia si muove, da quelli intimi come gli spogliatoi a quelli ampi dei campi da gioco sono stati risolti. Ma come si è resa la dimensione di una squadra ed i suoi movimenti? La coreografia di <strong>Ellen Kane</strong> e <strong>Hannes Langolf</strong> gioca sia sull’interpretazione di movimenti atletici che sul loro fermo immagine, che danno ai giocatori quasi un aspetto statuario o anche se si vuole di gioco delle ‘belle statuine’, di Un, Due, Tre, Stella! Un aspetto scherzoso adottato anche per le entrate dei personaggi del pubblico, tutti assieme freneticamente, dal venditore di pesce e patatine, al curato, alla coppia di sposi, alla lollipop lady, e poi per i tre ministri: <strong>Teresa May</strong>, <strong>Boris Johnson</strong> e <strong>Liz Truss</strong> che appaiono più come clown che veri personaggi, a cui sono state date brevi incoerenti battute - un po’ alla <em>Ubu Roi</em> di <strong>Alfred Jarry</strong> o alle marionette o ai personaggi demistificanti di Dario Fo - che contrastano il lavoro ben programmato di Southgate.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Will_Close_Young_Gareth_Southgate_in_Dear_England_West_End._Credit_Marc_Brenner.jpg" alt="Will Close Young Gareth Southgate in Dear England West End. Credit Marc Brenner" width="500" height="333" /><br /><strong>Will Close (Young Gareth Southgate) in "Dear England" West End. Foto Marc Brenner</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Joseph Fiennes</strong> rende il manierismo di Southgate, pacato, riflessivo, ma fermo nelle proprie convinzioni, umano. Se all’inizio può sembrare un po’ stereotipato, nell’azione diventa sempre più convincente e sicuro del proprio ruolo. Gli altri attori sono ben inseriti e individualizzati, pur giocando con tono scherzoso e istrionico su un certo aspetto o caratteristica del personaggio che interpretano: la difficoltà di comunicare del capitano Harry Kane, per esempio. Ma il tutto in un’atmosfera di cameratismo che si esplicita anche nell’ultima scena, fisicamente, nella “brutta”danza improvvisata dai giocatori raggruppati in solidarietà intorno a Kane che ha mancato il rigore. L’ironia giocosa che è nel testo, è visibile sul palco. Dove, a concludere lo spettacolo, irrompe il personaggio della Leonessa Chloe Kelly -quella che si era tolta la maglietta-, con la Coppa UEFA Euro 2022 e quello di <strong>Sarina Wiegman</strong>, manager della squadra nazionale femminile inglese, che offre a Southgate la Coppa, perché tanto lei ne ha delle altre! Evviva, un testo teatrale ed uno spettacolo che ricordano l’uguaglianza di genere e celebrano, se pur brevemente, le vittorie femminili!</p> <p style="text-align: justify;">Uno spettacolo quindi che rispecchia il nostro tempo, ben scritto, intelligente, e bello in tutto tondo, umano e positivo.</p> <p><strong>Beatrice Tavecchio</strong></p></div>
A LITTLE LIFE (Una vita come tante). Ivo Van Hove mette in scena una odierna umana tragedia. -di Beatrice Tavecchio
2023-04-28T17:05:28+02:00
2023-04-28T17:05:28+02:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15111-a-little-life-una-vita-come-tante-ivo-van-hove-mette-in-scena-una-odierna-umana-tragedia-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/885112323029b4ff67c59e5af71d2a8a_S.jpg" alt="Luke Thompson (Willem), James Norton (Jude) in "A little life", regia Ivo Van Hove. Foto Jan Versweyveld" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt;"><strong><em>A Little Life (Una vita come tante)</em><br />Dal romanzo di Hanya Yanagihara<br />adattato da Koen Tachelet, Ivo Van Hove e Hanya Yanagihara<br />Regia di Ivo Van Hove<br />Scena, luci e video di Jan Versweyveld<br />Con James Norton (Jude), Luke Thompson (Willem), Omari Douglas (JB), Elliot Cowan (Padre Luke, Dott. Traylor, Caleb), Nathalie Armin (Ana).<br />Londra, all’Harold Pinter Theatre fino al 18 giugno<br />Poi al Savoy Theatre dal 4 luglio al 5 agosto 2023<br />di Beatrice Tavecchio</strong></span></p> <p><strong> Ivo Van Hove mette in scena una odierna umana tragedia.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Ivo Van Hove, regista di fama internazionale, pluripremiato direttore generale dell’ International Theatre di Amsterdam (l’ex Toneelgroep Amsterdam), ha lavorato sulla tragedia per decenni. <em>The Roman Tragedies</em> in cui riunì le tragedie shakespeariane del Coriolano, Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra in uno spettacolo di sei ore col Toneelgroep Amsterdam nel 2007, visto al Barbican Theatre di Londra due anni più tardi, e <em>Age of Rage</em> che combina tragedie greche tratte da Euripide ed Eschilo, prodotto dall’ <em>Internationaal Theater Amsterdam</em> e visto a Londra nel 2022, sono spettacoli che hanno fatto storia per le innovazioni che hanno immesso nel linguaggio teatrale modi cinematografici di espressione, un uso espressionistico e cinetico della scena, una riforma dello spazio canonico -palco e platea- in cui attori e spettatori erano segregati.<br />I suoi spettacoli suscitano applausi e discussioni, ma sempre indubbio è il talento di questo regista.<br />Con <em>A Little Life</em> Ivo Van Hove ci dà una tragedia sul tema della pedofilia, della prostituzione dei minori, della molestia e violenza sessuale, unite al riconoscimento e alla consapevolezza che le ferite che ne derivano, fisiche e psicologiche, sono incurabili.<br />A differenza delle Tragedie precedenti, il tema qui è unico, brutale, doloroso, straziante nella sua ripetizione che sembra infinita. Se la tragedia è caratterizzata da un insieme di pena e sofferenza sulla scena che si risolve in compassione e pietà da parte dello spettatore, questo spettacolo ne esprime tutte le proprietà.<br />La vicenda tratta dal romanzo del 2015 di Hanya Yanagihara, mette in scena Jude St.Francis, avvocato affermato ed i suoi amici Willem, attore, JB, artista, e Malcom, architetto in un appartamento a New York. Jude, fisicamente debole, si infligge regolarmente delle ferite con lame di rasoio e bruciature “perché questo è l’unico modo per sentirsi padrone del proprio corpo”, e nonostante l’affetto degli amici e del suo ex-professore di legge che lo adotta, non riesce a dimenticare la catena di soprusi che ha avuto, a cominciare da quelli perpetrati dai Padri dell’orfanotrofio, Padre Luca tra gli altri, che abusa della sua innocenza e che lo inizia alla prostituzione, in cui subisce violazioni fino ad essere torturato e volutamente investito da un sadico dottore. Il passato impatta sulla sua relazione con Willem, per il suo timore di essere come sempre tradito e per l’incapacità di piacere sessuale che derivano dalla sua esperienza passata. Finalmente felice con Willem, si lascerà morire, quando Willem muore in un incidente d’auto.<br />Nelle parole di Ivo Van Hove “<em>A Little Life</em> è l’infinito, contorto viaggio attraverso le orribili conseguenze di un abuso sessuale violento, strutturale, di un minore [...] completamente focalizzato sulla vita emotiva dei personaggi [...] parole, sentimenti, abuso sessuale, mutilazione volontaria ed eroici tentativi per avere amore ed amicizia”.<br />Ed è proprio l’alternanza dei due motivi, di sofferenza e di compassione, di pietas, a tenere unito il lavoro, che è uno splendido, delicato, compassionevole studio di questo orrore. Quello che avrebbe potuto essere un truculento dispiego del tema, rimane nella memoria come un’esplorazione delicata, caritatevole della situazione in cui Jude si trova. È anche un’esplorazione dell’amore di una coppia omosessuale, che dipinge il legame dettato dall’affetto, dalla preoccupazione per l’altro. Ed è tutto grazie all’interpretazione delicata, travagliata, intensa, ed allo stesso tempo fragile di James Norton. La pena psichica si traduce fin dall’inizio nella difficoltà fisica di camminare, il suo corpo si contrae e incespica visualizzando la sofferenza. Le mutilazioni che ripetutamente si infligge per trovare sollievo avvengono al centro del palcoscenico. Jude si appoggia ad un lavabo bianco posto su un tappeto rosso: svolge la lunga benda bianca che gli copre il braccio e incide la pelle con la lama. Si perde il conto di quante volte la scena è ripetuta, ma ogni volta lo svolgere della benda provoca una stretta allo stomaco. Jude finisce infinite volte sul lettino del medico che lo cura, trasportato, a volte nudo, cadaverico, dai suoi amici come una croce obliqua. Scene col suo corpo martirizzato sono quasi impossibili da guardare, ma sono quelle che inducono un dominante sentimento di pietà, di compassione. Il canto a cappella di Jude, per due volte, contribuisce a dare serenità e respiro alla tragedia. La musica dal vivo di due violini, una viola ed un violoncello accompagnano l’azione, sottolineandola con suoni dolcemente striduli o con più ariose note, dando significato a quanto rappresentato. L’unico personaggio femminile, quello di Ana, l’assistente sociale che appare come un fantasma, dato che è morta, ad aiutare Jude coi suoi consigli è, con i suoi amici, la nota positiva che interviene a dare sollievo allo spettacolo.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Zubin_Varla_Harold_James_Norton_Jude_Elliot_Cowan_Brother_Luke_Nathalie_Armin_Ana._Pic_by_Jan_Versweyveld.jpg" alt="Zubin Varla Harold James Norton Jude Elliot Cowan Brother Luke Nathalie Armin Ana. Pic by Jan Versweyveld" width="500" height="333" /><br /><strong>Zubin Varla (Harold) James Norton (Jude) Elliot Cowan( Brother Luke) Nathalie Armin (Ana). Foto Jan Versweyveld</strong></p> <p style="text-align: justify;">Strutturalmente la vicenda è chiara: si va dal tempo presente al passato e poi al tempo dopo il presente, ma a volte luoghi e tempi si sovrappongono, tenuti insieme però dai personaggi. Per esempio, Jude siede con un personaggio del passato alla sua destra ed uno del presente, il padre adottivo, alla sua sinistra.<br />La scena di Jan Versweyveld, l’abituale grande scenografo di Van Hove, è semplicissima, con un bancone da cucina a sinistra, -profumo di cibo che il padre adottivo cuoce-, un divano a cubi sul fondo e il lavabo che nessun elemento della scenografia minimizza, al centro. Sulla parete sopra la cucina, un video con diverse vedute di tranquille vie newyorkesi che diventano pixels o cambiano colore a sottolineare il dolore di Jude.<br />La scena è simbolica: il rosso del tappeto e il bianco del lavabo fanno eco al corpo bianco del martire coperto dal rosso del suo sangue. Il padre adottivo pulisce diligentemente con secchio e carta il pavimento insanguinato, mentre ci racconta la storia del figlioletto morto prematuramente. L’auto che investe Jude è un faro che lo insegue mentre lui corre disperatamente intorno al lavabo.<br />Jude veste per la durata dello spettacolo la stessa camicia bianca e pantaloni chiari, che man mano diventano sempre più insanguinati, a ricordo perpetuo degli oltraggi subiti.<br />Una tragedia quindi contemporaneamente personale ed universale, di tutti i tempi, che allarga il dibattito di <em>Angels in America</em> del drammaturgo americano Tony Kushner del 1993 e come quella rappresentazione marcherà un contributo importante del teatro alla vita della società. L’interpretazione di tutti gli attori è ottima; straordinaria quella di James Norton.<br />Ottocento spettatori, la maggior parte giovani adulti, sono rimasti a guardarsi sconvolti dopo il primo tempo e uniti in una acclamazione alla fine, dopo tre ore e quaranta di spettacolo.</p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/885112323029b4ff67c59e5af71d2a8a_S.jpg" alt="Luke Thompson (Willem), James Norton (Jude) in "A little life", regia Ivo Van Hove. Foto Jan Versweyveld" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt;"><strong><em>A Little Life (Una vita come tante)</em><br />Dal romanzo di Hanya Yanagihara<br />adattato da Koen Tachelet, Ivo Van Hove e Hanya Yanagihara<br />Regia di Ivo Van Hove<br />Scena, luci e video di Jan Versweyveld<br />Con James Norton (Jude), Luke Thompson (Willem), Omari Douglas (JB), Elliot Cowan (Padre Luke, Dott. Traylor, Caleb), Nathalie Armin (Ana).<br />Londra, all’Harold Pinter Theatre fino al 18 giugno<br />Poi al Savoy Theatre dal 4 luglio al 5 agosto 2023<br />di Beatrice Tavecchio</strong></span></p> <p><strong> Ivo Van Hove mette in scena una odierna umana tragedia.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Ivo Van Hove, regista di fama internazionale, pluripremiato direttore generale dell’ International Theatre di Amsterdam (l’ex Toneelgroep Amsterdam), ha lavorato sulla tragedia per decenni. <em>The Roman Tragedies</em> in cui riunì le tragedie shakespeariane del Coriolano, Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra in uno spettacolo di sei ore col Toneelgroep Amsterdam nel 2007, visto al Barbican Theatre di Londra due anni più tardi, e <em>Age of Rage</em> che combina tragedie greche tratte da Euripide ed Eschilo, prodotto dall’ <em>Internationaal Theater Amsterdam</em> e visto a Londra nel 2022, sono spettacoli che hanno fatto storia per le innovazioni che hanno immesso nel linguaggio teatrale modi cinematografici di espressione, un uso espressionistico e cinetico della scena, una riforma dello spazio canonico -palco e platea- in cui attori e spettatori erano segregati.<br />I suoi spettacoli suscitano applausi e discussioni, ma sempre indubbio è il talento di questo regista.<br />Con <em>A Little Life</em> Ivo Van Hove ci dà una tragedia sul tema della pedofilia, della prostituzione dei minori, della molestia e violenza sessuale, unite al riconoscimento e alla consapevolezza che le ferite che ne derivano, fisiche e psicologiche, sono incurabili.<br />A differenza delle Tragedie precedenti, il tema qui è unico, brutale, doloroso, straziante nella sua ripetizione che sembra infinita. Se la tragedia è caratterizzata da un insieme di pena e sofferenza sulla scena che si risolve in compassione e pietà da parte dello spettatore, questo spettacolo ne esprime tutte le proprietà.<br />La vicenda tratta dal romanzo del 2015 di Hanya Yanagihara, mette in scena Jude St.Francis, avvocato affermato ed i suoi amici Willem, attore, JB, artista, e Malcom, architetto in un appartamento a New York. Jude, fisicamente debole, si infligge regolarmente delle ferite con lame di rasoio e bruciature “perché questo è l’unico modo per sentirsi padrone del proprio corpo”, e nonostante l’affetto degli amici e del suo ex-professore di legge che lo adotta, non riesce a dimenticare la catena di soprusi che ha avuto, a cominciare da quelli perpetrati dai Padri dell’orfanotrofio, Padre Luca tra gli altri, che abusa della sua innocenza e che lo inizia alla prostituzione, in cui subisce violazioni fino ad essere torturato e volutamente investito da un sadico dottore. Il passato impatta sulla sua relazione con Willem, per il suo timore di essere come sempre tradito e per l’incapacità di piacere sessuale che derivano dalla sua esperienza passata. Finalmente felice con Willem, si lascerà morire, quando Willem muore in un incidente d’auto.<br />Nelle parole di Ivo Van Hove “<em>A Little Life</em> è l’infinito, contorto viaggio attraverso le orribili conseguenze di un abuso sessuale violento, strutturale, di un minore [...] completamente focalizzato sulla vita emotiva dei personaggi [...] parole, sentimenti, abuso sessuale, mutilazione volontaria ed eroici tentativi per avere amore ed amicizia”.<br />Ed è proprio l’alternanza dei due motivi, di sofferenza e di compassione, di pietas, a tenere unito il lavoro, che è uno splendido, delicato, compassionevole studio di questo orrore. Quello che avrebbe potuto essere un truculento dispiego del tema, rimane nella memoria come un’esplorazione delicata, caritatevole della situazione in cui Jude si trova. È anche un’esplorazione dell’amore di una coppia omosessuale, che dipinge il legame dettato dall’affetto, dalla preoccupazione per l’altro. Ed è tutto grazie all’interpretazione delicata, travagliata, intensa, ed allo stesso tempo fragile di James Norton. La pena psichica si traduce fin dall’inizio nella difficoltà fisica di camminare, il suo corpo si contrae e incespica visualizzando la sofferenza. Le mutilazioni che ripetutamente si infligge per trovare sollievo avvengono al centro del palcoscenico. Jude si appoggia ad un lavabo bianco posto su un tappeto rosso: svolge la lunga benda bianca che gli copre il braccio e incide la pelle con la lama. Si perde il conto di quante volte la scena è ripetuta, ma ogni volta lo svolgere della benda provoca una stretta allo stomaco. Jude finisce infinite volte sul lettino del medico che lo cura, trasportato, a volte nudo, cadaverico, dai suoi amici come una croce obliqua. Scene col suo corpo martirizzato sono quasi impossibili da guardare, ma sono quelle che inducono un dominante sentimento di pietà, di compassione. Il canto a cappella di Jude, per due volte, contribuisce a dare serenità e respiro alla tragedia. La musica dal vivo di due violini, una viola ed un violoncello accompagnano l’azione, sottolineandola con suoni dolcemente striduli o con più ariose note, dando significato a quanto rappresentato. L’unico personaggio femminile, quello di Ana, l’assistente sociale che appare come un fantasma, dato che è morta, ad aiutare Jude coi suoi consigli è, con i suoi amici, la nota positiva che interviene a dare sollievo allo spettacolo.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Zubin_Varla_Harold_James_Norton_Jude_Elliot_Cowan_Brother_Luke_Nathalie_Armin_Ana._Pic_by_Jan_Versweyveld.jpg" alt="Zubin Varla Harold James Norton Jude Elliot Cowan Brother Luke Nathalie Armin Ana. Pic by Jan Versweyveld" width="500" height="333" /><br /><strong>Zubin Varla (Harold) James Norton (Jude) Elliot Cowan( Brother Luke) Nathalie Armin (Ana). Foto Jan Versweyveld</strong></p> <p style="text-align: justify;">Strutturalmente la vicenda è chiara: si va dal tempo presente al passato e poi al tempo dopo il presente, ma a volte luoghi e tempi si sovrappongono, tenuti insieme però dai personaggi. Per esempio, Jude siede con un personaggio del passato alla sua destra ed uno del presente, il padre adottivo, alla sua sinistra.<br />La scena di Jan Versweyveld, l’abituale grande scenografo di Van Hove, è semplicissima, con un bancone da cucina a sinistra, -profumo di cibo che il padre adottivo cuoce-, un divano a cubi sul fondo e il lavabo che nessun elemento della scenografia minimizza, al centro. Sulla parete sopra la cucina, un video con diverse vedute di tranquille vie newyorkesi che diventano pixels o cambiano colore a sottolineare il dolore di Jude.<br />La scena è simbolica: il rosso del tappeto e il bianco del lavabo fanno eco al corpo bianco del martire coperto dal rosso del suo sangue. Il padre adottivo pulisce diligentemente con secchio e carta il pavimento insanguinato, mentre ci racconta la storia del figlioletto morto prematuramente. L’auto che investe Jude è un faro che lo insegue mentre lui corre disperatamente intorno al lavabo.<br />Jude veste per la durata dello spettacolo la stessa camicia bianca e pantaloni chiari, che man mano diventano sempre più insanguinati, a ricordo perpetuo degli oltraggi subiti.<br />Una tragedia quindi contemporaneamente personale ed universale, di tutti i tempi, che allarga il dibattito di <em>Angels in America</em> del drammaturgo americano Tony Kushner del 1993 e come quella rappresentazione marcherà un contributo importante del teatro alla vita della società. L’interpretazione di tutti gli attori è ottima; straordinaria quella di James Norton.<br />Ottocento spettatori, la maggior parte giovani adulti, sono rimasti a guardarsi sconvolti dopo il primo tempo e uniti in una acclamazione alla fine, dopo tre ore e quaranta di spettacolo.</p></div>
DRIVE YOUR PLOW OVER THE BONES OF THE DEAD (Ara sulle ossa dei morti) - Temi ecologici nel teatro di narrazione di Complicité. -di Beatrice Tavecchio
2023-03-29T10:44:20+02:00
2023-03-29T10:44:20+02:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15061-drive-your-plow-over-the-bones-of-the-dead-ara-sulle-ossa-dei-morti-temi-ecologici-nel-teatro-di-narrazione-di-complicite-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/8902d5a9177ce3329e6116cc936849e3_S.jpg" alt=""Drive Your Plow Over the Bones of the Dead", regia Simon McBurney. Foto Alex Brenner" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead (Ara sulle ossa dei morti)</em>, temi ecologici nel teatro di narrazione di Complicité.<br />dal romanzo di Olga Tokarczuc<br />Regia di Simon McBurney<br />scenografia e costumi di Rae Smith<br />luci di Paule Constable<br />suoni di Christopher Shutt<br />video di Dick Straker<br />Con Thomas Arnold, Johannes Flaschberger, Tamzin Griffin, Amanda Hadingue, Kathryn Hunter, Kiren Kebaili-Dwyer, <br />Weronika Maria, Tim McMullan, César Sarachu, Sophie Steer, Alexander Uzoka.<br />Londra, Barbican Theatre, dal 16 marzo al 1 aprile e poi in <em>tournée</em>.<br />Nottingham Playhouse, 4 - 8 aprile; Belgrade Theatre, Coventry, 19 - 22 aprile; The Lowry, Salford, 25 - 29 aprile; Ruhrfestspiele, Recklinghausen, 3 - 6 maggio; Grand Theatre, Luxembourg, 11 - 12 maggio; 10th Theatre Olympics, Budapest, 16 - 17 maggio; Wiener Festwochen, Vienna, 22 - 26 maggio; Holland Festival, Amsterdam,1 - 3 June; L'Odeon, Paris,7 - 17 June 2023<br />di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il teatro di narrazione è stata l’innovazione teatrale più importante delle ultime decadi in Italia. Narratori come Marco Baliani, Laura Curino, Marco Paolini, Gabriele Vacis, Ascanio Celestini, Davide Enia, Andrea Cosentino ed altri, hanno portato avanti e approfondito in modi originali la modalità dell’attore-narratore, la cui ‘recente’ origine risale ai monologhi di <em>Mistero Buffo</em> (1969) di Dario Fo. Il teatro di narrazione è caratterizzato da una scena povera o quasi, con solo suggerimenti di oggetti, costumi e spazi, in cui l’attore-solista, drammaturgo e affabulatore rifacendosi al proprio vissuto e al materiale storico e culturale raccolto, ricostruisce la memoria collettiva.</p> <p style="text-align: justify;">La Compagnia teatrale di fama internazionale Complicité, diretta da Simon McBurney, opera in questa modalità. <em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead (Ara sulle ossa dei morti)</em> ricorda il suo altro spettacolo <em>The Encounter</em> (<em>L’incontro</em>) del 2016 (vedi B. Tavecchio, <em>Sipario</em>, Feb. 2016) sia per l’uso di un narratore che per il tema ecologico.</p> <p style="text-align: justify;">In <em>The Encounter</em>, lo stesso McBurney era il narratore che impersonava un fotografo americano che incontra la tribù Mayoruna nella foresta brasiliana. Incarna il fotografo, il capo tribù, la figlioletta che a casa lo disturba, riempie la scena di rumori ripresi ed ampliati dai microfoni bi-auricolari di suoni della foresta, il frusciare degli alberi, lo scrosciare della pioggia, lo squittire delle scimmie, il cinguettio degli uccelli, il tutto con bottiglie di plastica ed altri materiali poveri. I temi toccati in quella produzione: la nozione del tempo, dove presente, passato e futuro si rivelano effimeri, e la possibilità di comunicare mentalmente, sono immersi nel reale contesto della progressiva tragica scomparsa della foresta amazzonica e dei suoi indigeni.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Drive_Your_Plow_Complicite__Photo_Alex_Brenner__DSC1996_dx_s.jpg" alt="Drive Your Plow Complicite Photo Alex Brenner DSC1996 dx s" width="500" height="304" /><br /><strong><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead. </em>Foto Alex Brenner</strong></p> <p style="text-align: justify;">In <em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead</em> i temi sono multipli, ma quello principale che contiene tutti gli altri, è quello dettato dalla preoccupazione ecologica. Infatti, chiamerei il suo ‘attivismo teatrale per la salvaguardia del pianeta’. Il tema è ecologico, in difesa degli animali e del loro habitat, ed è associato alla celebrazione della bellezza del creato sulla Terra e nell’universo. Come sempre McBurney stupisce e per la molteplicità dei temi che riesce ad unire e per la loro rilevanza. Il suo è un teatro che non ha paura di suscitare reazioni, anzi cerca il dibattito ed in questo vede la ragione del suo essere teatro. Il tutto presentato con originalità e maestria di interpretazione e di messa in scena.</p> <p style="text-align: justify;">Ma andiamo con ordine. Come McBurney è riuscito a tenere assieme i vari contenuti e come figurativamente prendono vita sulla scena?</p> <p style="text-align: justify;">La storia narrata dall’eccellente Amanda Adingue, -che all’ultimo momento ha sostituito l’incomparabile Kathryn Hunter, moglie e compagna di Marcello Magni, purtroppo recentemente deceduto- è tratta dal romanzo omonimo <em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead</em> dell’acclamata scrittrice polacca Olga Tokarczuk, Premio Nobel per la Letteratura nel 2018. La protagonista Janina (Amanda Adingue), un’anziana femminista eccentrica ci racconta di strane morti tra i maschilisti cacciatori del paese. Dopo la prima morte, due altre ne seguono, del commissario di Polizia e del Politico locale, tutti attivi e crudeli membri del clan dei cacciatori. Mentre si cerca il colpevole nel buio degli indizi, quando anche i sospetti vertono su Janina, il pubblico è portato a credere quello che Janina professa, cioè che gli animali stessi si stanno vendicando del loro eccidio. Molte le orme di cervi, volpi e uccelli intorno ai cadaveri. Janina legge gli oroscopi e si diletta d’astrologia. Chiama i suoi cani che ha trovato uccisi, suoi ‘cari’. L’amore per la natura e l’orrore per l’ignoranza e brutalità dell’Uomo nei suoi confronti, la riempiono d’indignazione per i crimini ed al tempo stesso le fanno apprezzare ancor più fortemente la bellezza dell’Universo. Il giallo si risolve con la sua confessione di aver commesso gli ultimi crimini per vendicarsi dell’uccisione intenzionale dei suoi cani, impilati ai piedi dei cacciatori insieme al loro bottino di animali morti.</p> <p style="text-align: justify;">Un giallo ecologico quindi, con una narratrice ingannevole, lega insieme i due temi portanti, quello della miopica distruzione del nostro mondo e a contrasto quello dell’incredibile bellezza dell’universo. Su questi s’inserisce una sferzante satira della chiesa cattolica, che celebra Sant’Uberto come patrono dei cacciatori, pur essendo stato fermato nella sua caccia dalla visione di un cervo che portava il crocefisso tra le corna. Figurativamente in scena la visione dei cervi massacrati dai cacciatori -in una grande foto e poi mimati dagli attori-, e quella del cervo di Sant’Uberto, si mischiano a creare il senso di tragica inquietudine, diretta agli spettatori, a cui contribuisce l’immagine dell’incendio della chiesa a cui Janina ha dato fuoco.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Drive_Your_Plow_Complicite__Photo_Alex_Brenner__DSC2957_dx_s.jpg" alt="Drive Your Plow Complicite Photo Alex Brenner DSC2957 dx s" width="500" height="314" /><br /><strong><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead. </em>Foto Alex Brenner</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nel complesso è la poeticità della visione della bellezza del Creato che rimane impressa. Lo spazio scenico, ristretto, con un microfono bi-aurale centrale da cui parla la narratrice, si allarga, diventa liquido e prende varie profondità per uno schermo che funge da fondale su cui vengono proiettati il cielo stellato, il pianeta Venere che nasce e cala sull’orizzonte, e via via gli altri pianeti, la via lattea, i segni zodiacali, che avanzano e sembrano fuoriuscire dal palco per investire gli spettatori. A tratti citazioni di versi del poeta visionario del diciottesimo secolo William Blake contribuiscono all’atmosfera.</p> <p style="text-align: justify;">L’azione della rappresentazione coinvolge altri due ruoli maggiori, oltre quello principale della narratrice sempre presente a narrare ed a partecipare all’azione, quelli del vicino di casa Oddball (lo Strano), l’ottimo César Sarachu, e dell’entomologo con cui Janina ha una relazione romantica, l’attore Johannes Flaschberger. E qui bisogna chiarire che gli attori di Complicité, provengono dalla scuola mimica di Lecoq - lo stesso McBurney, Kathryn Hunter, César Sarachu-, e di Marcel Marceau per Johannes Flaschberger. Quando Oddball, Janina e l’entomologo si fanno una canna, la loro azione ricorda le vecchie comiche del cinema. Sono maestri di tempo, di ritmo: la sorpresa dell’effetto dell’erba, si tramuta in riso, il riso in sussulti e questi in sussurri di meraviglia all’incredibile bellezza del cielo stellato. Anche gli altri attori sono mimi. Le loro braccia diventano corna di cervi; un attore interpreta il cane che scodinzola intorno al suo padrone; un altro attore diventa il signore col cane invisibile al guinzaglio. La musica ed i suoni sono rarefatti specie nelle visioni dell’universo, evocativi, e mai forzati. L’azione è fluida, costumi e oggetti sono ridotti al minimo e solo suggeriti da pochi elementi. Le luci sottolineano e/o interrompono l’azione agendo come grosse lampadine flash di una vecchia macchina fotografica.</p> <p style="text-align: justify;"><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead</em> è un gioiello di arte teatrale, un prodotto curato, levigato, come Complicité ci ha assuefatto, ma principalmente nuovo e rilevante per i temi trattati. </p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/8902d5a9177ce3329e6116cc936849e3_S.jpg" alt=""Drive Your Plow Over the Bones of the Dead", regia Simon McBurney. Foto Alex Brenner" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead (Ara sulle ossa dei morti)</em>, temi ecologici nel teatro di narrazione di Complicité.<br />dal romanzo di Olga Tokarczuc<br />Regia di Simon McBurney<br />scenografia e costumi di Rae Smith<br />luci di Paule Constable<br />suoni di Christopher Shutt<br />video di Dick Straker<br />Con Thomas Arnold, Johannes Flaschberger, Tamzin Griffin, Amanda Hadingue, Kathryn Hunter, Kiren Kebaili-Dwyer, <br />Weronika Maria, Tim McMullan, César Sarachu, Sophie Steer, Alexander Uzoka.<br />Londra, Barbican Theatre, dal 16 marzo al 1 aprile e poi in <em>tournée</em>.<br />Nottingham Playhouse, 4 - 8 aprile; Belgrade Theatre, Coventry, 19 - 22 aprile; The Lowry, Salford, 25 - 29 aprile; Ruhrfestspiele, Recklinghausen, 3 - 6 maggio; Grand Theatre, Luxembourg, 11 - 12 maggio; 10th Theatre Olympics, Budapest, 16 - 17 maggio; Wiener Festwochen, Vienna, 22 - 26 maggio; Holland Festival, Amsterdam,1 - 3 June; L'Odeon, Paris,7 - 17 June 2023<br />di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il teatro di narrazione è stata l’innovazione teatrale più importante delle ultime decadi in Italia. Narratori come Marco Baliani, Laura Curino, Marco Paolini, Gabriele Vacis, Ascanio Celestini, Davide Enia, Andrea Cosentino ed altri, hanno portato avanti e approfondito in modi originali la modalità dell’attore-narratore, la cui ‘recente’ origine risale ai monologhi di <em>Mistero Buffo</em> (1969) di Dario Fo. Il teatro di narrazione è caratterizzato da una scena povera o quasi, con solo suggerimenti di oggetti, costumi e spazi, in cui l’attore-solista, drammaturgo e affabulatore rifacendosi al proprio vissuto e al materiale storico e culturale raccolto, ricostruisce la memoria collettiva.</p> <p style="text-align: justify;">La Compagnia teatrale di fama internazionale Complicité, diretta da Simon McBurney, opera in questa modalità. <em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead (Ara sulle ossa dei morti)</em> ricorda il suo altro spettacolo <em>The Encounter</em> (<em>L’incontro</em>) del 2016 (vedi B. Tavecchio, <em>Sipario</em>, Feb. 2016) sia per l’uso di un narratore che per il tema ecologico.</p> <p style="text-align: justify;">In <em>The Encounter</em>, lo stesso McBurney era il narratore che impersonava un fotografo americano che incontra la tribù Mayoruna nella foresta brasiliana. Incarna il fotografo, il capo tribù, la figlioletta che a casa lo disturba, riempie la scena di rumori ripresi ed ampliati dai microfoni bi-auricolari di suoni della foresta, il frusciare degli alberi, lo scrosciare della pioggia, lo squittire delle scimmie, il cinguettio degli uccelli, il tutto con bottiglie di plastica ed altri materiali poveri. I temi toccati in quella produzione: la nozione del tempo, dove presente, passato e futuro si rivelano effimeri, e la possibilità di comunicare mentalmente, sono immersi nel reale contesto della progressiva tragica scomparsa della foresta amazzonica e dei suoi indigeni.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Drive_Your_Plow_Complicite__Photo_Alex_Brenner__DSC1996_dx_s.jpg" alt="Drive Your Plow Complicite Photo Alex Brenner DSC1996 dx s" width="500" height="304" /><br /><strong><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead. </em>Foto Alex Brenner</strong></p> <p style="text-align: justify;">In <em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead</em> i temi sono multipli, ma quello principale che contiene tutti gli altri, è quello dettato dalla preoccupazione ecologica. Infatti, chiamerei il suo ‘attivismo teatrale per la salvaguardia del pianeta’. Il tema è ecologico, in difesa degli animali e del loro habitat, ed è associato alla celebrazione della bellezza del creato sulla Terra e nell’universo. Come sempre McBurney stupisce e per la molteplicità dei temi che riesce ad unire e per la loro rilevanza. Il suo è un teatro che non ha paura di suscitare reazioni, anzi cerca il dibattito ed in questo vede la ragione del suo essere teatro. Il tutto presentato con originalità e maestria di interpretazione e di messa in scena.</p> <p style="text-align: justify;">Ma andiamo con ordine. Come McBurney è riuscito a tenere assieme i vari contenuti e come figurativamente prendono vita sulla scena?</p> <p style="text-align: justify;">La storia narrata dall’eccellente Amanda Adingue, -che all’ultimo momento ha sostituito l’incomparabile Kathryn Hunter, moglie e compagna di Marcello Magni, purtroppo recentemente deceduto- è tratta dal romanzo omonimo <em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead</em> dell’acclamata scrittrice polacca Olga Tokarczuk, Premio Nobel per la Letteratura nel 2018. La protagonista Janina (Amanda Adingue), un’anziana femminista eccentrica ci racconta di strane morti tra i maschilisti cacciatori del paese. Dopo la prima morte, due altre ne seguono, del commissario di Polizia e del Politico locale, tutti attivi e crudeli membri del clan dei cacciatori. Mentre si cerca il colpevole nel buio degli indizi, quando anche i sospetti vertono su Janina, il pubblico è portato a credere quello che Janina professa, cioè che gli animali stessi si stanno vendicando del loro eccidio. Molte le orme di cervi, volpi e uccelli intorno ai cadaveri. Janina legge gli oroscopi e si diletta d’astrologia. Chiama i suoi cani che ha trovato uccisi, suoi ‘cari’. L’amore per la natura e l’orrore per l’ignoranza e brutalità dell’Uomo nei suoi confronti, la riempiono d’indignazione per i crimini ed al tempo stesso le fanno apprezzare ancor più fortemente la bellezza dell’Universo. Il giallo si risolve con la sua confessione di aver commesso gli ultimi crimini per vendicarsi dell’uccisione intenzionale dei suoi cani, impilati ai piedi dei cacciatori insieme al loro bottino di animali morti.</p> <p style="text-align: justify;">Un giallo ecologico quindi, con una narratrice ingannevole, lega insieme i due temi portanti, quello della miopica distruzione del nostro mondo e a contrasto quello dell’incredibile bellezza dell’universo. Su questi s’inserisce una sferzante satira della chiesa cattolica, che celebra Sant’Uberto come patrono dei cacciatori, pur essendo stato fermato nella sua caccia dalla visione di un cervo che portava il crocefisso tra le corna. Figurativamente in scena la visione dei cervi massacrati dai cacciatori -in una grande foto e poi mimati dagli attori-, e quella del cervo di Sant’Uberto, si mischiano a creare il senso di tragica inquietudine, diretta agli spettatori, a cui contribuisce l’immagine dell’incendio della chiesa a cui Janina ha dato fuoco.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Drive_Your_Plow_Complicite__Photo_Alex_Brenner__DSC2957_dx_s.jpg" alt="Drive Your Plow Complicite Photo Alex Brenner DSC2957 dx s" width="500" height="314" /><br /><strong><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead. </em>Foto Alex Brenner</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nel complesso è la poeticità della visione della bellezza del Creato che rimane impressa. Lo spazio scenico, ristretto, con un microfono bi-aurale centrale da cui parla la narratrice, si allarga, diventa liquido e prende varie profondità per uno schermo che funge da fondale su cui vengono proiettati il cielo stellato, il pianeta Venere che nasce e cala sull’orizzonte, e via via gli altri pianeti, la via lattea, i segni zodiacali, che avanzano e sembrano fuoriuscire dal palco per investire gli spettatori. A tratti citazioni di versi del poeta visionario del diciottesimo secolo William Blake contribuiscono all’atmosfera.</p> <p style="text-align: justify;">L’azione della rappresentazione coinvolge altri due ruoli maggiori, oltre quello principale della narratrice sempre presente a narrare ed a partecipare all’azione, quelli del vicino di casa Oddball (lo Strano), l’ottimo César Sarachu, e dell’entomologo con cui Janina ha una relazione romantica, l’attore Johannes Flaschberger. E qui bisogna chiarire che gli attori di Complicité, provengono dalla scuola mimica di Lecoq - lo stesso McBurney, Kathryn Hunter, César Sarachu-, e di Marcel Marceau per Johannes Flaschberger. Quando Oddball, Janina e l’entomologo si fanno una canna, la loro azione ricorda le vecchie comiche del cinema. Sono maestri di tempo, di ritmo: la sorpresa dell’effetto dell’erba, si tramuta in riso, il riso in sussulti e questi in sussurri di meraviglia all’incredibile bellezza del cielo stellato. Anche gli altri attori sono mimi. Le loro braccia diventano corna di cervi; un attore interpreta il cane che scodinzola intorno al suo padrone; un altro attore diventa il signore col cane invisibile al guinzaglio. La musica ed i suoni sono rarefatti specie nelle visioni dell’universo, evocativi, e mai forzati. L’azione è fluida, costumi e oggetti sono ridotti al minimo e solo suggeriti da pochi elementi. Le luci sottolineano e/o interrompono l’azione agendo come grosse lampadine flash di una vecchia macchina fotografica.</p> <p style="text-align: justify;"><em>Drive Your Plow Over the Bones of the Dead</em> è un gioiello di arte teatrale, un prodotto curato, levigato, come Complicité ci ha assuefatto, ma principalmente nuovo e rilevante per i temi trattati. </p></div>
GUYS & DOLLS - Una fiaba musicale di Broadway. Teatro immersivo, nuova forma di rappresentazione. -di Beatrice Tavecchio
2023-03-17T09:06:23+01:00
2023-03-17T09:06:23+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15034-guys-dolls-una-fiaba-musicale-di-broadway-teatro-immersivo-nuova-forma-di-rappresentazione-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/0daf099abd96c8ce2365692bf812ea03_S.jpg" alt="Cast di "Guys & Dolls" The Bridge Theatre, foto Manuel Harlan" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Musiche e liriche di Frank Loesse<br /> libretto di Jo Swerling e Abe Burrows<br />Regia di Nicholas Hytner, scenografia di Bunny Christie, coreografia di Arlene Phillips e James Cousins, <br />costumi di Bunny Christie e Deborah Andrews, luci di Paul Constable. <br />Londra, Bridge Theatre, 3 marzo- 2 settembre 2023<br />di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il teatro immersivo non è più solo un esperimento, ma il nuovo modo di fare teatro.</p> <p style="text-align: justify;">Se un direttore come, <strong>Nicholas Hytner</strong>, con alle spalle un’esperienza di anni come direttore dal 2003 al 2015 del National Theatre, ora dal 2017 co-fondatore e direttore del nuovo Bridge Theatre a Londra, decide di far propria l’esperienza del teatro immersivo, e l’abbraccia con strepitoso successo, allora significa che questa forma teatrale che fa affluire e riempire il teatro anche di spettatori giovani, è la forma che meglio si addice oggi al far teatro.</p> <p style="text-align: justify;">Cosa significa teatro immersivo? In essenza significa immettere gli spettatori nella scena. Con quale scopo? Diverse rappresentazioni danno differenti risposte, ma tutte cercano di coinvolgere lo spettatore nella rappresentazione, non solo col cervello ed i sentimenti, ma fisicamente. Si erano visti, ancora nel secolo scorso, attori che si mischiavano al pubblico, attori che correvano tra il pubblico, si sedevano vicino a qualcuno, spruzzavano acqua ecc. sul povero spettatore che sedeva diligentemente al suo posto, un po’ esterrefatto e un po’ incuriosito da quelle provocazioni. Poi specie attraverso i giochi reali della televisione, Big Brother capostipite, si è notato che ai contendenti piace giocare. Sono così incominciati gli esperimenti di Punchdrunk Theatre, subito seguito da altri (vedi sipario.it 19 febbraio 2023) in cui si dava un nuovo ruolo agli spettatori. Quello di poter essere sullo stesso piano di rappresentazione degli attori, di poterli seguire, guardare da vicino, di non essere trincerati segregati dalla quarta parete, sprofondati in sedili scomodi o in accoglienti poltrone. Logicamente questo crea problemi per il regista, e per tutti i professionisti che allestiscono o agiscono nella rappresentazione. Avere una marea di persone tra i piedi mentre si rappresenta non è certo facile. E allora come in Punchdrunk, ecco il ricorso alla maschera bianca che lo spettatore deve indossare per distinguerlo dalla Compagnia, ecco le regole che lo spettatore deve seguire prima di essere ammesso alla rappresentazione: non parlare, non toccare gli attori, non interagire con loro. Punchdrunck dà anche loro uno scopo e una difficoltà: un percorso buio, non facile, con migliaia di oggetti(ni) e di curiosità da trovare e considerare. Ma allo stesso tempo ritiene la storia, che è un mito, una tragedia, una storia che viene ripetuta temporalmente spezzettata in diverse combinazioni. Quindi lo spettatore, che non è più seduto, ma deambulante si trova ad agire, ma sotto controllo, ed acquista intimità e con lo spazio e con l’azione e con gli attori, ha agenzia nella sua scelta dell’azione che vuole vedere, anche se può esserne confuso, ed è sempre attivato cerebralmente ed emotivamente dalla Storia rappresentata.</p> <p style="text-align: justify;">Con <em>Guys & Dolls</em> abbiamo un’altra evoluzione. Via la maschera, via i corridoi, via le poltroncine in platea. Ci sono ora 360 posti in piedi per gli spettatori nello spazio della rappresentazione. Rimangono altri 700 posti distribuiti ai margini della platea e nelle due gallerie soprastanti. Nella prima galleria è situata l’orchestra. Lo spazio a disposizione degli attori sembra inesistente. Non c’è palcoscenico. Una decina di attori vestiti anni Trenta: l’attrice con la sigaretta, ad esempio, ed inoltre venditori di coca cola e di ciambelle, poliziotti in costume sono mischiati e ingolfati dalla folla del pubblico tutta presa dal proprio chiacchierio. Sopra di loro, scritte al neon, semafori; si sente il rombo ad intervalli regolari della pseudo metropolitana. E all’improvviso piattaforme rettangolari ed una quadrata centrale fuoriescono dal pavimento e s’innalzano. Non tutte allo stesso momento, ma con un andamento coreografato di spazi, secondo l’azione, che crea passerelle sia della stessa altezza che di altezze differenti, che vanno da un capo all’altro, diagonalmente, della nuova platea disegnando nella loro estensione corridoi sopraelevati architetturalmente obliqui e ricurvi.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/43._Marisha_Wallace_Adelaide_photo_by_Manuel_Harlan.jpg" alt="43. Marisha Wallace Adelaide photo by Manuel Harlan" width="500" height="333" /><br /><strong>Marisha Wallace (Adelaide), foto Manuel Harlan</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’accesso alle piattaforme è per scalette mobili, con entrate ed uscite degli attori allo stesso livello degli spettatori. Il pubblico è pilotato da attori vestiti come poliziotti per far spazio e per riguadagnare spazio intorno ai multipli palcoscenici innalzati.</p> <p style="text-align: justify;">Quindi la pluripremiata scenografa <strong>Bunny Christie</strong> (Olivier e Tony Awards per <em>Company</em> di <strong>Sondheim</strong> e per <em>The Curious Incident of the Dog in the Night Time</em> (sipario.it 7 marzo 2017) ha creato una magnifica struttura che integra semplicità, linearità, bellezza scenografica, coreografia non statica di volumi, in un disegno che rispetta i dettami pratici della scena: di esser visibile da tutti i lati, di essere inclusiva e degli spazi della rappresentazione che di quelli della platea. La realizzazione del suo concetto scenografico è stata senz’altro costosa per il Bridge Theatre ed deve aver richiesto una decisione importante, con la visione per sviluppi futuri, da parte di <strong>Nicholas Hytner</strong> e dei suoi collaboratori. Ma la fortuna di questo spettacolo è decisamente legata alla sua forma scenografica.</p> <p style="text-align: justify;">Questo non detrae nulla dalla qualità dello spettacolo stesso. <em>Guys & Dolls</em> non ha bisogno di presentazioni. È uno dei <em>musical</em> più rappresentati al mondo e non smette di attirare pubblico per la bontà delle musiche e della Storia: una banda di giocatori d’azzardo con a capo Nathan Detroit cerca un locale dove scommettere, lo trova nella sala dell’Esercito della Salvezza attraverso la complicità di Sky Masterson, un altro scommettitore, che si innamora di Sarah Brown, l’evangelizzatrice riformista. Il gioco peccatore-riformatrice col suo risvolto romantico tra Sky e Sarah, si riflette anche nella storia di Nathan e di Adelaide, la sua eterna fidanzata che lavora in un night club, ma sogna la casa col giardinetto ed i bambini. Anche se il sogno attuale delle donne, non è proprio quello di Adelaide, il romanticismo della storia, ma soprattutto l’aria scherzosa, impertinente dell’azione e delle liriche dei personaggi, il ritmo incalzante, a volte jazzistico, a volte sincopato e corale delle musiche, la sintesi ed il ritmo con cui viene perseguita la storia, ne fanno un ben calibrato gioiello.</p> <p style="text-align: justify;">Naturalmente il tutto non funzionerebbe senza l’eccellenza dell’interpretazione. Prima di tutto delle due eroine: Sarah Brown -<strong>Celinde Schoenmaker</strong>-, dalla voce potente e senza sbavature di soprano che senza sforzo raggiunge le note più alte, e Miss Adelaide -<strong>Marisha Wallace</strong>- dalla voce più ambrata e capace di esprimere emozioni. Le due interpreti elettrizzano non solo attraverso la qualità della voce che calca sulle parole delle liriche estraendone significato, ma anche attraverso la fisicità del corpo, con una Wallace scintillante in déshabillé in paillettes generosa nell’usare le proprie curve per effetto scenico. La <strong>Schoenmaker</strong> non è di meno, sempre in carattere come la morigerata predicatrice, ma pronta ad usare pugni e sberle per difendere il proprio amore, come nella scena in cui con determinazione si riappropria di Sky che si era unito ad un gruppo di maschi in un impetuoso ballo. Un ammodernamento LGBTQ+ ben riuscito sia per l’eccellenza del gruppo di danzatori che per l’approfondimento del carattere di Sarah. Bene il Nathan di <strong>Daniel Mays</strong> sia come cantante che come interprete, mentre Sky Masterson di <strong>Andrew Richardson</strong> affascina per il suo fisico e per l’interpretazione, ma meno per le sue doti canore. </p> <p style="text-align: justify;">Ha avuto quattro encore, Il “Sit Down, You Are Rocking the Boat” il pezzo forte del <em>musical</em>, cantato da Nicely-Nicely -l’ottimo <strong>Cedric Neal</strong>- e Ensemble, con movimenti in verticale ed in orizzontale, concordanti e discordanti, a significare i ‘sit down’ e specialmente l’onda del mare “A great big wave came and washed me overboard” con l’azione di molteplici sedie ed attori ruotante ad ogni ripresa verso un lato diverso della sala. </p> <p style="text-align: justify;">I costumi pieni di colore, i movimenti coreografici dell’azione e degli attori in continuo dinamismo, l’apporto del gruppo di danzatori, ed inoltre la cerimoniera che nell’intervallo intrattiene l’udienza con un gruppo di vocalisti ed alla fine dello spettacolo altri attori che rimangono a danzare ed interagire col gruppo di spettatori più giovani, il tutto concorre a formare l’effervescenza che la regia vuole immettere e far durare tra gli spettatori, anche con la decisione di non marcare la fine dello spettacolo. </p> <p style="text-align: justify;">Tornando all’analisi iniziale sul teatro immersivo, cosa si può dire di questo spettacolo? Pensando che anche il Globe Theatre, il teatro shakespeariano ricostruito a Londra, ha una platea vuota dove il pubblico rimane in piedi a guardare lo spettacolo e che anche gli attori del Globe si rivolgono e cercano se non di dialogare, di rivolgersi direttamente al pubblico, dove sta la differenza con questo <em>Guys & Dolls</em> immersivo?</p> <p style="text-align: justify;">Quello a cui ho assistito è stata una galvanizzazione dell’esperienza teatrale. La vicinanza agli attori ed all’azione scenica senz’altro intensifica i meccanismi di ricezione del pubblico in un modo non dissimile dall’esperienza che si può avere in un concerto all’aperto o in uno stadio. Se poi agli spettatori vien dato un modo di interagire con la scena e di dare sfogo al proprio essere, non solo attraverso le risate, il battito delle mani, le grida di ‘bravo’ ecc., ma anche attraverso altre forme di espressione come qui è avvenuto, allora vediamo che l’esperienza dello spettacolo teatrale, è più profonda e più duratura. Senz’altro i meccanismi adottati da <em>Guys & Dolls</em> erano diretti specie ad un pubblico giovane, ma è proprio quel pubblico che il teatro ha bisogno di attrarre.</p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/0daf099abd96c8ce2365692bf812ea03_S.jpg" alt="Cast di "Guys & Dolls" The Bridge Theatre, foto Manuel Harlan" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Musiche e liriche di Frank Loesse<br /> libretto di Jo Swerling e Abe Burrows<br />Regia di Nicholas Hytner, scenografia di Bunny Christie, coreografia di Arlene Phillips e James Cousins, <br />costumi di Bunny Christie e Deborah Andrews, luci di Paul Constable. <br />Londra, Bridge Theatre, 3 marzo- 2 settembre 2023<br />di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il teatro immersivo non è più solo un esperimento, ma il nuovo modo di fare teatro.</p> <p style="text-align: justify;">Se un direttore come, <strong>Nicholas Hytner</strong>, con alle spalle un’esperienza di anni come direttore dal 2003 al 2015 del National Theatre, ora dal 2017 co-fondatore e direttore del nuovo Bridge Theatre a Londra, decide di far propria l’esperienza del teatro immersivo, e l’abbraccia con strepitoso successo, allora significa che questa forma teatrale che fa affluire e riempire il teatro anche di spettatori giovani, è la forma che meglio si addice oggi al far teatro.</p> <p style="text-align: justify;">Cosa significa teatro immersivo? In essenza significa immettere gli spettatori nella scena. Con quale scopo? Diverse rappresentazioni danno differenti risposte, ma tutte cercano di coinvolgere lo spettatore nella rappresentazione, non solo col cervello ed i sentimenti, ma fisicamente. Si erano visti, ancora nel secolo scorso, attori che si mischiavano al pubblico, attori che correvano tra il pubblico, si sedevano vicino a qualcuno, spruzzavano acqua ecc. sul povero spettatore che sedeva diligentemente al suo posto, un po’ esterrefatto e un po’ incuriosito da quelle provocazioni. Poi specie attraverso i giochi reali della televisione, Big Brother capostipite, si è notato che ai contendenti piace giocare. Sono così incominciati gli esperimenti di Punchdrunk Theatre, subito seguito da altri (vedi sipario.it 19 febbraio 2023) in cui si dava un nuovo ruolo agli spettatori. Quello di poter essere sullo stesso piano di rappresentazione degli attori, di poterli seguire, guardare da vicino, di non essere trincerati segregati dalla quarta parete, sprofondati in sedili scomodi o in accoglienti poltrone. Logicamente questo crea problemi per il regista, e per tutti i professionisti che allestiscono o agiscono nella rappresentazione. Avere una marea di persone tra i piedi mentre si rappresenta non è certo facile. E allora come in Punchdrunk, ecco il ricorso alla maschera bianca che lo spettatore deve indossare per distinguerlo dalla Compagnia, ecco le regole che lo spettatore deve seguire prima di essere ammesso alla rappresentazione: non parlare, non toccare gli attori, non interagire con loro. Punchdrunck dà anche loro uno scopo e una difficoltà: un percorso buio, non facile, con migliaia di oggetti(ni) e di curiosità da trovare e considerare. Ma allo stesso tempo ritiene la storia, che è un mito, una tragedia, una storia che viene ripetuta temporalmente spezzettata in diverse combinazioni. Quindi lo spettatore, che non è più seduto, ma deambulante si trova ad agire, ma sotto controllo, ed acquista intimità e con lo spazio e con l’azione e con gli attori, ha agenzia nella sua scelta dell’azione che vuole vedere, anche se può esserne confuso, ed è sempre attivato cerebralmente ed emotivamente dalla Storia rappresentata.</p> <p style="text-align: justify;">Con <em>Guys & Dolls</em> abbiamo un’altra evoluzione. Via la maschera, via i corridoi, via le poltroncine in platea. Ci sono ora 360 posti in piedi per gli spettatori nello spazio della rappresentazione. Rimangono altri 700 posti distribuiti ai margini della platea e nelle due gallerie soprastanti. Nella prima galleria è situata l’orchestra. Lo spazio a disposizione degli attori sembra inesistente. Non c’è palcoscenico. Una decina di attori vestiti anni Trenta: l’attrice con la sigaretta, ad esempio, ed inoltre venditori di coca cola e di ciambelle, poliziotti in costume sono mischiati e ingolfati dalla folla del pubblico tutta presa dal proprio chiacchierio. Sopra di loro, scritte al neon, semafori; si sente il rombo ad intervalli regolari della pseudo metropolitana. E all’improvviso piattaforme rettangolari ed una quadrata centrale fuoriescono dal pavimento e s’innalzano. Non tutte allo stesso momento, ma con un andamento coreografato di spazi, secondo l’azione, che crea passerelle sia della stessa altezza che di altezze differenti, che vanno da un capo all’altro, diagonalmente, della nuova platea disegnando nella loro estensione corridoi sopraelevati architetturalmente obliqui e ricurvi.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/43._Marisha_Wallace_Adelaide_photo_by_Manuel_Harlan.jpg" alt="43. Marisha Wallace Adelaide photo by Manuel Harlan" width="500" height="333" /><br /><strong>Marisha Wallace (Adelaide), foto Manuel Harlan</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’accesso alle piattaforme è per scalette mobili, con entrate ed uscite degli attori allo stesso livello degli spettatori. Il pubblico è pilotato da attori vestiti come poliziotti per far spazio e per riguadagnare spazio intorno ai multipli palcoscenici innalzati.</p> <p style="text-align: justify;">Quindi la pluripremiata scenografa <strong>Bunny Christie</strong> (Olivier e Tony Awards per <em>Company</em> di <strong>Sondheim</strong> e per <em>The Curious Incident of the Dog in the Night Time</em> (sipario.it 7 marzo 2017) ha creato una magnifica struttura che integra semplicità, linearità, bellezza scenografica, coreografia non statica di volumi, in un disegno che rispetta i dettami pratici della scena: di esser visibile da tutti i lati, di essere inclusiva e degli spazi della rappresentazione che di quelli della platea. La realizzazione del suo concetto scenografico è stata senz’altro costosa per il Bridge Theatre ed deve aver richiesto una decisione importante, con la visione per sviluppi futuri, da parte di <strong>Nicholas Hytner</strong> e dei suoi collaboratori. Ma la fortuna di questo spettacolo è decisamente legata alla sua forma scenografica.</p> <p style="text-align: justify;">Questo non detrae nulla dalla qualità dello spettacolo stesso. <em>Guys & Dolls</em> non ha bisogno di presentazioni. È uno dei <em>musical</em> più rappresentati al mondo e non smette di attirare pubblico per la bontà delle musiche e della Storia: una banda di giocatori d’azzardo con a capo Nathan Detroit cerca un locale dove scommettere, lo trova nella sala dell’Esercito della Salvezza attraverso la complicità di Sky Masterson, un altro scommettitore, che si innamora di Sarah Brown, l’evangelizzatrice riformista. Il gioco peccatore-riformatrice col suo risvolto romantico tra Sky e Sarah, si riflette anche nella storia di Nathan e di Adelaide, la sua eterna fidanzata che lavora in un night club, ma sogna la casa col giardinetto ed i bambini. Anche se il sogno attuale delle donne, non è proprio quello di Adelaide, il romanticismo della storia, ma soprattutto l’aria scherzosa, impertinente dell’azione e delle liriche dei personaggi, il ritmo incalzante, a volte jazzistico, a volte sincopato e corale delle musiche, la sintesi ed il ritmo con cui viene perseguita la storia, ne fanno un ben calibrato gioiello.</p> <p style="text-align: justify;">Naturalmente il tutto non funzionerebbe senza l’eccellenza dell’interpretazione. Prima di tutto delle due eroine: Sarah Brown -<strong>Celinde Schoenmaker</strong>-, dalla voce potente e senza sbavature di soprano che senza sforzo raggiunge le note più alte, e Miss Adelaide -<strong>Marisha Wallace</strong>- dalla voce più ambrata e capace di esprimere emozioni. Le due interpreti elettrizzano non solo attraverso la qualità della voce che calca sulle parole delle liriche estraendone significato, ma anche attraverso la fisicità del corpo, con una Wallace scintillante in déshabillé in paillettes generosa nell’usare le proprie curve per effetto scenico. La <strong>Schoenmaker</strong> non è di meno, sempre in carattere come la morigerata predicatrice, ma pronta ad usare pugni e sberle per difendere il proprio amore, come nella scena in cui con determinazione si riappropria di Sky che si era unito ad un gruppo di maschi in un impetuoso ballo. Un ammodernamento LGBTQ+ ben riuscito sia per l’eccellenza del gruppo di danzatori che per l’approfondimento del carattere di Sarah. Bene il Nathan di <strong>Daniel Mays</strong> sia come cantante che come interprete, mentre Sky Masterson di <strong>Andrew Richardson</strong> affascina per il suo fisico e per l’interpretazione, ma meno per le sue doti canore. </p> <p style="text-align: justify;">Ha avuto quattro encore, Il “Sit Down, You Are Rocking the Boat” il pezzo forte del <em>musical</em>, cantato da Nicely-Nicely -l’ottimo <strong>Cedric Neal</strong>- e Ensemble, con movimenti in verticale ed in orizzontale, concordanti e discordanti, a significare i ‘sit down’ e specialmente l’onda del mare “A great big wave came and washed me overboard” con l’azione di molteplici sedie ed attori ruotante ad ogni ripresa verso un lato diverso della sala. </p> <p style="text-align: justify;">I costumi pieni di colore, i movimenti coreografici dell’azione e degli attori in continuo dinamismo, l’apporto del gruppo di danzatori, ed inoltre la cerimoniera che nell’intervallo intrattiene l’udienza con un gruppo di vocalisti ed alla fine dello spettacolo altri attori che rimangono a danzare ed interagire col gruppo di spettatori più giovani, il tutto concorre a formare l’effervescenza che la regia vuole immettere e far durare tra gli spettatori, anche con la decisione di non marcare la fine dello spettacolo. </p> <p style="text-align: justify;">Tornando all’analisi iniziale sul teatro immersivo, cosa si può dire di questo spettacolo? Pensando che anche il Globe Theatre, il teatro shakespeariano ricostruito a Londra, ha una platea vuota dove il pubblico rimane in piedi a guardare lo spettacolo e che anche gli attori del Globe si rivolgono e cercano se non di dialogare, di rivolgersi direttamente al pubblico, dove sta la differenza con questo <em>Guys & Dolls</em> immersivo?</p> <p style="text-align: justify;">Quello a cui ho assistito è stata una galvanizzazione dell’esperienza teatrale. La vicinanza agli attori ed all’azione scenica senz’altro intensifica i meccanismi di ricezione del pubblico in un modo non dissimile dall’esperienza che si può avere in un concerto all’aperto o in uno stadio. Se poi agli spettatori vien dato un modo di interagire con la scena e di dare sfogo al proprio essere, non solo attraverso le risate, il battito delle mani, le grida di ‘bravo’ ecc., ma anche attraverso altre forme di espressione come qui è avvenuto, allora vediamo che l’esperienza dello spettacolo teatrale, è più profonda e più duratura. Senz’altro i meccanismi adottati da <em>Guys & Dolls</em> erano diretti specie ad un pubblico giovane, ma è proprio quel pubblico che il teatro ha bisogno di attrarre.</p></div>
STANDING AT THE SKY'S EDGE (Al limite del cielo). Finalmente un musical del nostro tempo. -di Beatrice Tavecchio
2023-03-17T08:57:34+01:00
2023-03-17T08:57:34+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/15033-standing-at-the-sky-s-edge-al-limite-del-cielo-finalmente-un-musical-del-nostro-tempo-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/8287316cb07e77bf565f267e9d001a69_S.jpg" alt="Rachael Wooding (Rose) e Robert Lonsdale (Harry) in "Standing at the Sky’s Edge". Foto Johan Persson." /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong> Musica e liriche di Richard Hawley, libretto di Chris Bush<br />Regia di Robert Hastie, scenografia e costumi di Ben Stones, coreografia di Lynne Page. <br />È una produzione del Crucible Theatre di Sheffield, ora al National Theatre di Londra fino al 25 marzo 2023.<br />di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Finalmente un musical denso di temi attuali e interessanti. Lontano dal romanticismo zuccherino di <strong>Lloyd Webber</strong> o da miti di eroi tipo Hamilton, <em>Standing at the Sky’s Edge</em> unisce, o meglio intreccia storie umane, con elementi, sociali, politici e storici legati ad un luogo ben determinato: il complesso di edifici ‘brutalisti' della Park Hill Estate -costruiti negli anni Sessanta, ispirati dal concetto ed esempio degli edifici moderni di Le Corbusier a Marsiglia-, nella cittadina di Sheffield, centro dell’industria dell’acciaio fino a cinquant’anni fa’.</p> <p style="text-align: justify;">Traccia gli ultimi sessant’anni di storia, attraverso tre generazioni di personaggi vissuti in un appartamento, non linearmente, ma in un misto di visioni in cui anni e generazioni si combinano a creare un affresco unitario che trova riscontri non solo per i cittadini di Sheffield che hanno vissuto la storia, ma in tutto il Paese ed oltre, per l’universalità e l’autenticità di temi. Dalla felicità di avere una nuova casa con acqua corrente ecc. di Rose, all’orgoglio del marito, Harry, che può mantenere moglie e figli all’inizio degli anni Sessanta, agli scioperi dalla fine degli anni Settanta, governo <strong>Margaret Thatcher</strong>, per la chiusura delle acciaierie, alla delusione, depressione e morte che ne derivano, all’entrata delle donne nel mercato del lavoro, all’immigrazione con le paure di violenza, ai matrimoni misti, alle morti per coltello nelle strade, ai tempi recenti con l’esame della relazione tra due donne lesbiche in un quadro di coppie LGBTQ+.</p> <p style="text-align: justify;">L’azione principale all’interno dell’appartamento ruota intorno alla storia di tre coppie e delle loro famiglie: il grande amore di Harry (<strong>Robert Lonsdale</strong>) per Rose (<strong>Rachael Wooding</strong>), quello di Jimmy (<strong>Samuel Jordan</strong>) per Joy (<strong>Faith Omole</strong>) e di Nikki (<strong>Maimuna Memon</strong>) per Poppy (<strong>Alex Young</strong>).</p> <p style="text-align: justify;">La scritta I LOVE YOU WILL U MERRY ME (Ti amo Vuoi sposarmi?) di fatto scritta sulla Park Hill Estate, è qui ricreata in neon, alta sopra l’edificio ricostruito. Le storie non sono rappresentate in linea temporale, ma si frammezzano e si associano. Nonostante questo, sono eccezionalmente chiare nel loro sviluppo, che in essenza presenta un frammento di una storia, a cui segue un pezzo lineare d’azione di una seconda storia, per poi farle confluire, per cui i personaggi dell’una e dell’altra storia sono presenti in scena allo stesso momento, pur continuando ad agire secondo una loro personale vicenda. Questo gioco viene ripetuto fino ad incorporare le tre diverse storie in una straordinaria scena dove tutti i personaggi si riuniscono intorno allo stesso tavolo pur avendo agito e agendo le loro personali vicissitudini. Ricorda lontanamente la scena di <em>Top</em> <em>Girls</em> (1983) di <strong>Caryl Churchill</strong> in cui donne di diverse epoche, siedono conversando alla stessa tavola.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/The_Company_of_Standing_at_the_Skys_Edge.jpg" alt="The Company of Standing at the Skys Edge" width="500" height="333" /><br /><strong>La Compagnia di "Standing at the Sky’s Edge". Foto Johan Persson.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Questa la forma. I temi, accennati sopra, sono impersonati da personaggi credibili. la felicità dell’amore di Rose e Harry trova espressione nei loro corpi danzanti, nelle liriche, nell’estensione delle loro voci, così come la depressione e la morte del protagonista, con la sofferenza di Rose espressa dal suo carezzare la poltrona su cui è morto il marito. O l’amore di Jimmy e Joy, coppia mista, con Jimmy che per trovare lavoro lascia la moglie e va a lavorare su una piattaforma petrolifera ed è pugnalato sulla porta di casa al suo ritorno per Capodanno, senza nessun motivo, da un violento. L’amore tra due donne ritrae le difficoltà, gli alti ed i bassi, della loro relazione. Quindi, come si può capire dagli esempi citati, i problemi sono umani, agiti senza ridondanze e commenti, ma solo come vita vissuta.</p> <p style="text-align: justify;">Il materiale è tanto, ma il modo in cui è stato rappresentato è ingegnoso. L’Olivier Theatre è un teatro di più di mille posti, con una vasta degradante platea sovrastata da un longilineo circolo. Il tutto abbraccia ad anfiteatro il lungo e ampio palcoscenico rettangolare. Ora la struttura scenica di <strong>Ben Stones</strong> è posta obliquamente sul rettangolo, come un parallelepipedo messo ad angolo, e presenta due piani d’azione, quello a terra dov’è ubicato l’appartamento e un primo piano dove un’orchestra dal vivo dove predominano i violini -ma anche con un esaltante solo di chitarra elettrica- trova posto. I personaggi usano questo spazio sopraelevato a ringhiera, così come i due balconi laterali alle estremità del piano. Il resto dell’edificio che da lì s’innalza, è accennato. La soluzione semplice che intelligentemente ci dà l’indicazione dell’anno in cui si svolge o si svolgono le azioni - le azioni possono essere multiple-, scende dall’alto sotto forma di uno, due o tre cubi su cui si illuminano gli anni.</p> <p style="text-align: justify;">L’azione è densa: più di venti personaggi delineano e animano l’azione dei circa dieci attori principali. La loro coreografia -dell’eccezionale <strong>Lynne Page</strong>- riempie tutti gli spazi scenici e in associazione all’azione principale che si svolge all’interno dell’appartamento, rende attraverso i movimenti dei loro corpi l’impostazione emotiva e cognitiva delle situazioni. Così ad esempio, la precarietà della vicenda tra la coppia degli anni Sessanta, viene visivamente resa dallo slittamento continuo, persistente dei personaggi corali che non riescono a stare in piedi e senza soluzione scivolano a terra. Lo stesso dicasi per l’inclinazione in avanti o indietro del ‘coro’ ad indicare che qualcosa non è ‘dritto’. Il loro contributo alle scene è non solo di fornire allo spettatore una chiave di lettura, e un coro, ma anche un contesto che ci dà una comunità e che anche impedisce allo spettatore di distrarsi perché è sempre attirato dalla densità della scena.</p> <p style="text-align: justify;">Le musiche e liriche di <strong>Richard Hawley</strong> - famoso anche per aver collaborato con il complesso dei <em>Pulp</em>- hanno vinto la Best Musical Production Award per il Teatro in UK nel 2019, e la South Bank Sky Arts Theatre Award per il miglior musical 2020. Notevoli l’abilità vocale degli artisti, sia dei principali, -soprattutto di <strong>Faith Omole</strong> (Joy), di <strong>Maimuna Memon</strong> ( Nikki), di <strong>Rachael Wooding</strong> (Rose) e di <strong>Alex Young</strong> (Poppy)- che del coro, e le parole delle liriche, specie quelle di <em>Standing at the Sky’s Edge</em>, che paragona quel limite a quello tagliente di un rasoio.</p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/8287316cb07e77bf565f267e9d001a69_S.jpg" alt="Rachael Wooding (Rose) e Robert Lonsdale (Harry) in "Standing at the Sky’s Edge". Foto Johan Persson." /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong> Musica e liriche di Richard Hawley, libretto di Chris Bush<br />Regia di Robert Hastie, scenografia e costumi di Ben Stones, coreografia di Lynne Page. <br />È una produzione del Crucible Theatre di Sheffield, ora al National Theatre di Londra fino al 25 marzo 2023.<br />di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Finalmente un musical denso di temi attuali e interessanti. Lontano dal romanticismo zuccherino di <strong>Lloyd Webber</strong> o da miti di eroi tipo Hamilton, <em>Standing at the Sky’s Edge</em> unisce, o meglio intreccia storie umane, con elementi, sociali, politici e storici legati ad un luogo ben determinato: il complesso di edifici ‘brutalisti' della Park Hill Estate -costruiti negli anni Sessanta, ispirati dal concetto ed esempio degli edifici moderni di Le Corbusier a Marsiglia-, nella cittadina di Sheffield, centro dell’industria dell’acciaio fino a cinquant’anni fa’.</p> <p style="text-align: justify;">Traccia gli ultimi sessant’anni di storia, attraverso tre generazioni di personaggi vissuti in un appartamento, non linearmente, ma in un misto di visioni in cui anni e generazioni si combinano a creare un affresco unitario che trova riscontri non solo per i cittadini di Sheffield che hanno vissuto la storia, ma in tutto il Paese ed oltre, per l’universalità e l’autenticità di temi. Dalla felicità di avere una nuova casa con acqua corrente ecc. di Rose, all’orgoglio del marito, Harry, che può mantenere moglie e figli all’inizio degli anni Sessanta, agli scioperi dalla fine degli anni Settanta, governo <strong>Margaret Thatcher</strong>, per la chiusura delle acciaierie, alla delusione, depressione e morte che ne derivano, all’entrata delle donne nel mercato del lavoro, all’immigrazione con le paure di violenza, ai matrimoni misti, alle morti per coltello nelle strade, ai tempi recenti con l’esame della relazione tra due donne lesbiche in un quadro di coppie LGBTQ+.</p> <p style="text-align: justify;">L’azione principale all’interno dell’appartamento ruota intorno alla storia di tre coppie e delle loro famiglie: il grande amore di Harry (<strong>Robert Lonsdale</strong>) per Rose (<strong>Rachael Wooding</strong>), quello di Jimmy (<strong>Samuel Jordan</strong>) per Joy (<strong>Faith Omole</strong>) e di Nikki (<strong>Maimuna Memon</strong>) per Poppy (<strong>Alex Young</strong>).</p> <p style="text-align: justify;">La scritta I LOVE YOU WILL U MERRY ME (Ti amo Vuoi sposarmi?) di fatto scritta sulla Park Hill Estate, è qui ricreata in neon, alta sopra l’edificio ricostruito. Le storie non sono rappresentate in linea temporale, ma si frammezzano e si associano. Nonostante questo, sono eccezionalmente chiare nel loro sviluppo, che in essenza presenta un frammento di una storia, a cui segue un pezzo lineare d’azione di una seconda storia, per poi farle confluire, per cui i personaggi dell’una e dell’altra storia sono presenti in scena allo stesso momento, pur continuando ad agire secondo una loro personale vicenda. Questo gioco viene ripetuto fino ad incorporare le tre diverse storie in una straordinaria scena dove tutti i personaggi si riuniscono intorno allo stesso tavolo pur avendo agito e agendo le loro personali vicissitudini. Ricorda lontanamente la scena di <em>Top</em> <em>Girls</em> (1983) di <strong>Caryl Churchill</strong> in cui donne di diverse epoche, siedono conversando alla stessa tavola.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/The_Company_of_Standing_at_the_Skys_Edge.jpg" alt="The Company of Standing at the Skys Edge" width="500" height="333" /><br /><strong>La Compagnia di "Standing at the Sky’s Edge". Foto Johan Persson.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Questa la forma. I temi, accennati sopra, sono impersonati da personaggi credibili. la felicità dell’amore di Rose e Harry trova espressione nei loro corpi danzanti, nelle liriche, nell’estensione delle loro voci, così come la depressione e la morte del protagonista, con la sofferenza di Rose espressa dal suo carezzare la poltrona su cui è morto il marito. O l’amore di Jimmy e Joy, coppia mista, con Jimmy che per trovare lavoro lascia la moglie e va a lavorare su una piattaforma petrolifera ed è pugnalato sulla porta di casa al suo ritorno per Capodanno, senza nessun motivo, da un violento. L’amore tra due donne ritrae le difficoltà, gli alti ed i bassi, della loro relazione. Quindi, come si può capire dagli esempi citati, i problemi sono umani, agiti senza ridondanze e commenti, ma solo come vita vissuta.</p> <p style="text-align: justify;">Il materiale è tanto, ma il modo in cui è stato rappresentato è ingegnoso. L’Olivier Theatre è un teatro di più di mille posti, con una vasta degradante platea sovrastata da un longilineo circolo. Il tutto abbraccia ad anfiteatro il lungo e ampio palcoscenico rettangolare. Ora la struttura scenica di <strong>Ben Stones</strong> è posta obliquamente sul rettangolo, come un parallelepipedo messo ad angolo, e presenta due piani d’azione, quello a terra dov’è ubicato l’appartamento e un primo piano dove un’orchestra dal vivo dove predominano i violini -ma anche con un esaltante solo di chitarra elettrica- trova posto. I personaggi usano questo spazio sopraelevato a ringhiera, così come i due balconi laterali alle estremità del piano. Il resto dell’edificio che da lì s’innalza, è accennato. La soluzione semplice che intelligentemente ci dà l’indicazione dell’anno in cui si svolge o si svolgono le azioni - le azioni possono essere multiple-, scende dall’alto sotto forma di uno, due o tre cubi su cui si illuminano gli anni.</p> <p style="text-align: justify;">L’azione è densa: più di venti personaggi delineano e animano l’azione dei circa dieci attori principali. La loro coreografia -dell’eccezionale <strong>Lynne Page</strong>- riempie tutti gli spazi scenici e in associazione all’azione principale che si svolge all’interno dell’appartamento, rende attraverso i movimenti dei loro corpi l’impostazione emotiva e cognitiva delle situazioni. Così ad esempio, la precarietà della vicenda tra la coppia degli anni Sessanta, viene visivamente resa dallo slittamento continuo, persistente dei personaggi corali che non riescono a stare in piedi e senza soluzione scivolano a terra. Lo stesso dicasi per l’inclinazione in avanti o indietro del ‘coro’ ad indicare che qualcosa non è ‘dritto’. Il loro contributo alle scene è non solo di fornire allo spettatore una chiave di lettura, e un coro, ma anche un contesto che ci dà una comunità e che anche impedisce allo spettatore di distrarsi perché è sempre attirato dalla densità della scena.</p> <p style="text-align: justify;">Le musiche e liriche di <strong>Richard Hawley</strong> - famoso anche per aver collaborato con il complesso dei <em>Pulp</em>- hanno vinto la Best Musical Production Award per il Teatro in UK nel 2019, e la South Bank Sky Arts Theatre Award per il miglior musical 2020. Notevoli l’abilità vocale degli artisti, sia dei principali, -soprattutto di <strong>Faith Omole</strong> (Joy), di <strong>Maimuna Memon</strong> ( Nikki), di <strong>Rachael Wooding</strong> (Rose) e di <strong>Alex Young</strong> (Poppy)- che del coro, e le parole delle liriche, specie quelle di <em>Standing at the Sky’s Edge</em>, che paragona quel limite a quello tagliente di un rasoio.</p></div>
Phaedra. Sperimentando con la tragedia, di Simon Stone. -di Beatrice Tavecchio
2023-02-20T21:39:55+01:00
2023-02-20T21:39:55+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/14950-phaedra-sperimentando-con-la-tragedia-di-simon-stone-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/883871e5a2f5a5f047cb7fa2413c8b01_S.jpg" alt="Janet McTeer in "Phaedra", National Theatre. Foto Johan Persson." /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Phaedra. Sperimentando con la tragedia.<br />di Simon Stone<br />Regia di Simon Stone, scenografia di Chloe Lamford<br />Con Janet McTeer (Helen), Mackenzie Davis (Isolde), Paul Chahidi (Hugo), Assaad Bouab (Sofiane), Akiya Henry (Omolara). Lyttelton, National Theatre, Londra, dal 1 febbraio all’8 aprile 2023.<br />di Beatrice Tavecchio </strong></p> <p style="text-align: justify;">Sul frontespizio del programma il regista e drammaturgo australiano <strong>Simon Stone</strong>, - premiato con l’Olivier per il suo adattamento di <em>Yerma</em> di <strong>F.G. Lorca</strong> all’Young Vic, ora in streaming- subito chiarisce che questa è ‘una nuova drammaturgia tratta da <strong>Euripide</strong>, <strong>Seneca</strong> e <strong>Racine</strong>’, e nell’intervista che segue, asserisce di aver voluto mettere in scena un soggetto tabù, e cioè la sessualità di una donna anziana. “Che cos’è sentirsi sessualmente emotivamente prese in un modo nuovo ad un’età quando senti, in certa misura, di essere invisibile come agente sessuale? È da lì che volevo iniziare ad esplorare la storia.”<br />Una drammaturgia scritta a ridosso e improntata anche dall’interpretazione degli attori in un lavoro che sembra ancora non ben definito, con scene lodevoli ed altre ridondanti, con un’ evoluzione dell’azione a volte chiara, ma specie nel finale decisamente confusa e pasticciata.<br /><strong>Sarah Bernhardt</strong>, <strong>Glenda Jackson</strong>, <strong>Diana Rigg</strong>, <strong>Isabella Huppert</strong>, <strong>Janet Suzman</strong> e <strong>Helen Mirren</strong> hanno interpretato la tragica regina, che perdutamente s’innamora del figlio di primo letto del marito Teseo e che rifiutata, ne provoca la morte ed eventualmente la propria. Questo con variazioni è il nocciolo della storia messa in scena nei capolavori della drammaturgia greca, latina e francese, e cioè nell’’<em>Ippolito</em> di <strong>Euridice</strong>, nella <em>Fedra</em> di <strong>Seneca</strong> e nella <em>Phèdre</em> di <strong>Racine</strong>.<br />La versione di <strong>Simon Stone</strong> è decisamente aggiornata. Fedra qui si chiama Helen, è deputata del Consiglio del Partito d’Opposizione, ha una figlia Isolde sposata, ma infelice, un figlio adolescente, un marito d’origine iraniana, ora diplomatico. Quando il figlio, Sofiane, dell’amante marocchino, ucciso in un incidente d’auto, viene a farle visita, se ne innamora perdutamente. Ma Sofiane, ora rifugiato politico, ha le sue ragioni per andare a trovarla: un misto di rabbia contro il padre distaccato e dominante ed un desiderio sessuale represso verso la donna che aveva visto abbracciarsi col padre e che era con lui sull’auto alla sua morte. La storia si complica: Sofiane s’innamora di Isolde, che si separa dal marito e rimane incinta. Helen, disperata, impreca contro la figlia e fa deportare Sofiane che rimpatriato in Marocco, dove ha una moglie libanese ed un figlioletto che muore perpetuando la tragedia famigliare anche lui in un incidente d’auto, finisce in prigione dove viene ucciso. Helen che pentita l’ha seguito, si taglia la gola.<br /><strong>Simon Stone</strong> ha voluto spiegare questa evoluzione dettagliatamente, cercando di dar peso e ragioni a tutti i personaggi. Così facendo ha però appesantito l’azione, facendola finire in rivoletti d’azione secondaria, invece che nel fiume della tragedia. L’esposizione iniziale che dipinge le personalità dei famigliari si dilunga, gioca sul comico -bravo l’attore <strong>Paul Chahidi</strong>, il marito iraniano-, ma serve relativamente poco a costruire la personalità di Helen e dei suoi famigliari. Quando Sofiane appare, la scena sembra acquistare un pò di più di consistenza, ma sempre il personaggio di Helen rimane freddo, nonostante la bravura di <strong>Janet McTeer</strong> nel caratterizzare, non mostra profondità d’emozioni umane, forse perché giocato solo su un timbro, quello di un’isterica egoista. La scena ‘sessuale’ tra i due è anch’essa di routine e non emana concomitanza d’affetti o anche di passione. Dobbiamo così solo credere alle parole di Helen quando descrive di essere rinata e di aver riscoperto sessualmente il proprio corpo, senza esserne veramente convinti. Nella seconda parte ragioni e personaggi acquistano più rilevanza. Una bella scena in campi di erba alta dove Helen s’incontra con la collega Omolara, la bravissima <strong>Akiya Henry</strong>, che con la voce ed il ritmo del discorso alza l’efficacia dell’azione e così è ogni volta che riappare in scena. Altra scena parzialmente felice è quando alla sua festa di compleanno, Helen scoprendo che Isolde, la figlia è incinta si scaglia contro di lei, mentre l’ex-marito, all’annuncio della gravidanza, rendendosi conto della propria infertilità, fa rovinare tutto quello che c’è dalla tavola imbandita. Come si può intuire la scena sembra giocata a livello di melodramma famigliare perché i troppi personaggi secondari e le loro ragioni smorzano l’impatto della tragedia che si vorrebbe vedere di un verosimile ritratto di divampante gelosia e cieca passione.<br />Così dopo due ore di spettacolo si giunge alla scena finale, che in un quarto d’ora, in una grande carrellata di rivelazioni e personaggi nuovi - la moglie, l’amica, il figlioletto che muore-, e conosciuti -Helen ed il marito-, portano alla tragica soluzione. Da rilevare che il ritmo frenetico della scena non permette allo spettatore di farsi inondare dalla compassione catartica di solito associata alla tragedia.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Sirine_Saba_and_Assaad_Bouab_in_Phaedra_at_the_National_Theatre._Photo_by_Johan_Persson_24229.jpg" alt="Sirine Saba and Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Photo by Johan Persson 24229" width="500" height="333" /><br /><strong>Sirine Saba and Assaad Bouab in <em>Phaedra</em> at the National Theatre. Foto Johan Persson.</strong></p> <p style="text-align: justify;">I problemi di questa produzione sono vari come si è visto, ma allo stesso tempo si percepiscono errori nella scelta dell’azione che equivalgono a opportunità tralasciate. Soprattutto nella decisione di dar vita al padre morto di Sofiane solo in soprattitoli e sottotitoli che mettono per iscritto quanto la sua voce declama, in inglese ed in arabo, a sipario calato. A questo padre che origina i sentimenti tragici di rabbia e di gelosia del figlio, e d’amore in Helen, non viene dato modo di vivere scenicamente, se non in modo parziale, a cui si unisce la difficoltà di vedere e leggere lunghe, e nella scena finale, troppo veloci scritture, troppo in alto o troppo in basso e laterali.<br />Il personaggio di Sofiane, interpretato dall’attore <strong>Assaad Bouab</strong> (ottimo come il mellifluo imprenditore che compra l’agenzia nella serie francese <em>Call My Agent</em>!), è giocato su toni calmi, ragionevoli, come da asceta, che ben contrastano l’egoismo isterico di Helen; ma che fanno sparire il personaggio dalla scena del compleanno in poi, quando resta sullo sfondo e non prende posizione nel difendere Isolde incinta. Psicologicamente incongruente col personaggio, è da quel momento perso all’azione, visto solo come figura evocativa.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Assaad_Bouab_in_Phaedra_at_the_National_Theatre._Photo_by_Johan_Persson_15635.jpg" alt="Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Photo by Johan Persson 15635" width="500" height="333" /><br /><strong>Assaad Bouab in <em>Phaedra</em> at the National Theatre. Foto Johan Persson.</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’interazione linguistica di un’attrice inglese con un attore francese - l’inglese di <strong>Assaad Bouab</strong> è ineccepibile, ma parla anche in francese- è felice. L’esotismo della lingua araba del padre, il francese della moglie libanese, arricchiscono il discorso scenico - si ricordi Peter Brook- ma quando velocemente affastellati come nel finale, contribuiscono a offuscare il discorso. <br />La scenografia di <strong>Chloe Lamford</strong> è un’enorme scatola rotante, trasparente e tagliata verticalmente da righe nere, che oscurano la scena dall’angolo di visione di qualsiasi spettatore, dato che sono ripetute a brevi intervalli. Forse trovano la loro spiegazione nella scena finale dove potrebbero riferirsi alla morte di Sofiane in prigione o forse il cubo suggerisce un’esistenza dei personaggi come in un acquario. O forse si adegua all’estetica scenografica imperante. Resta l’indimenticabile visione dei campi d’erba alta.</p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/883871e5a2f5a5f047cb7fa2413c8b01_S.jpg" alt="Janet McTeer in "Phaedra", National Theatre. Foto Johan Persson." /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Phaedra. Sperimentando con la tragedia.<br />di Simon Stone<br />Regia di Simon Stone, scenografia di Chloe Lamford<br />Con Janet McTeer (Helen), Mackenzie Davis (Isolde), Paul Chahidi (Hugo), Assaad Bouab (Sofiane), Akiya Henry (Omolara). Lyttelton, National Theatre, Londra, dal 1 febbraio all’8 aprile 2023.<br />di Beatrice Tavecchio </strong></p> <p style="text-align: justify;">Sul frontespizio del programma il regista e drammaturgo australiano <strong>Simon Stone</strong>, - premiato con l’Olivier per il suo adattamento di <em>Yerma</em> di <strong>F.G. Lorca</strong> all’Young Vic, ora in streaming- subito chiarisce che questa è ‘una nuova drammaturgia tratta da <strong>Euripide</strong>, <strong>Seneca</strong> e <strong>Racine</strong>’, e nell’intervista che segue, asserisce di aver voluto mettere in scena un soggetto tabù, e cioè la sessualità di una donna anziana. “Che cos’è sentirsi sessualmente emotivamente prese in un modo nuovo ad un’età quando senti, in certa misura, di essere invisibile come agente sessuale? È da lì che volevo iniziare ad esplorare la storia.”<br />Una drammaturgia scritta a ridosso e improntata anche dall’interpretazione degli attori in un lavoro che sembra ancora non ben definito, con scene lodevoli ed altre ridondanti, con un’ evoluzione dell’azione a volte chiara, ma specie nel finale decisamente confusa e pasticciata.<br /><strong>Sarah Bernhardt</strong>, <strong>Glenda Jackson</strong>, <strong>Diana Rigg</strong>, <strong>Isabella Huppert</strong>, <strong>Janet Suzman</strong> e <strong>Helen Mirren</strong> hanno interpretato la tragica regina, che perdutamente s’innamora del figlio di primo letto del marito Teseo e che rifiutata, ne provoca la morte ed eventualmente la propria. Questo con variazioni è il nocciolo della storia messa in scena nei capolavori della drammaturgia greca, latina e francese, e cioè nell’’<em>Ippolito</em> di <strong>Euridice</strong>, nella <em>Fedra</em> di <strong>Seneca</strong> e nella <em>Phèdre</em> di <strong>Racine</strong>.<br />La versione di <strong>Simon Stone</strong> è decisamente aggiornata. Fedra qui si chiama Helen, è deputata del Consiglio del Partito d’Opposizione, ha una figlia Isolde sposata, ma infelice, un figlio adolescente, un marito d’origine iraniana, ora diplomatico. Quando il figlio, Sofiane, dell’amante marocchino, ucciso in un incidente d’auto, viene a farle visita, se ne innamora perdutamente. Ma Sofiane, ora rifugiato politico, ha le sue ragioni per andare a trovarla: un misto di rabbia contro il padre distaccato e dominante ed un desiderio sessuale represso verso la donna che aveva visto abbracciarsi col padre e che era con lui sull’auto alla sua morte. La storia si complica: Sofiane s’innamora di Isolde, che si separa dal marito e rimane incinta. Helen, disperata, impreca contro la figlia e fa deportare Sofiane che rimpatriato in Marocco, dove ha una moglie libanese ed un figlioletto che muore perpetuando la tragedia famigliare anche lui in un incidente d’auto, finisce in prigione dove viene ucciso. Helen che pentita l’ha seguito, si taglia la gola.<br /><strong>Simon Stone</strong> ha voluto spiegare questa evoluzione dettagliatamente, cercando di dar peso e ragioni a tutti i personaggi. Così facendo ha però appesantito l’azione, facendola finire in rivoletti d’azione secondaria, invece che nel fiume della tragedia. L’esposizione iniziale che dipinge le personalità dei famigliari si dilunga, gioca sul comico -bravo l’attore <strong>Paul Chahidi</strong>, il marito iraniano-, ma serve relativamente poco a costruire la personalità di Helen e dei suoi famigliari. Quando Sofiane appare, la scena sembra acquistare un pò di più di consistenza, ma sempre il personaggio di Helen rimane freddo, nonostante la bravura di <strong>Janet McTeer</strong> nel caratterizzare, non mostra profondità d’emozioni umane, forse perché giocato solo su un timbro, quello di un’isterica egoista. La scena ‘sessuale’ tra i due è anch’essa di routine e non emana concomitanza d’affetti o anche di passione. Dobbiamo così solo credere alle parole di Helen quando descrive di essere rinata e di aver riscoperto sessualmente il proprio corpo, senza esserne veramente convinti. Nella seconda parte ragioni e personaggi acquistano più rilevanza. Una bella scena in campi di erba alta dove Helen s’incontra con la collega Omolara, la bravissima <strong>Akiya Henry</strong>, che con la voce ed il ritmo del discorso alza l’efficacia dell’azione e così è ogni volta che riappare in scena. Altra scena parzialmente felice è quando alla sua festa di compleanno, Helen scoprendo che Isolde, la figlia è incinta si scaglia contro di lei, mentre l’ex-marito, all’annuncio della gravidanza, rendendosi conto della propria infertilità, fa rovinare tutto quello che c’è dalla tavola imbandita. Come si può intuire la scena sembra giocata a livello di melodramma famigliare perché i troppi personaggi secondari e le loro ragioni smorzano l’impatto della tragedia che si vorrebbe vedere di un verosimile ritratto di divampante gelosia e cieca passione.<br />Così dopo due ore di spettacolo si giunge alla scena finale, che in un quarto d’ora, in una grande carrellata di rivelazioni e personaggi nuovi - la moglie, l’amica, il figlioletto che muore-, e conosciuti -Helen ed il marito-, portano alla tragica soluzione. Da rilevare che il ritmo frenetico della scena non permette allo spettatore di farsi inondare dalla compassione catartica di solito associata alla tragedia.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Sirine_Saba_and_Assaad_Bouab_in_Phaedra_at_the_National_Theatre._Photo_by_Johan_Persson_24229.jpg" alt="Sirine Saba and Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Photo by Johan Persson 24229" width="500" height="333" /><br /><strong>Sirine Saba and Assaad Bouab in <em>Phaedra</em> at the National Theatre. Foto Johan Persson.</strong></p> <p style="text-align: justify;">I problemi di questa produzione sono vari come si è visto, ma allo stesso tempo si percepiscono errori nella scelta dell’azione che equivalgono a opportunità tralasciate. Soprattutto nella decisione di dar vita al padre morto di Sofiane solo in soprattitoli e sottotitoli che mettono per iscritto quanto la sua voce declama, in inglese ed in arabo, a sipario calato. A questo padre che origina i sentimenti tragici di rabbia e di gelosia del figlio, e d’amore in Helen, non viene dato modo di vivere scenicamente, se non in modo parziale, a cui si unisce la difficoltà di vedere e leggere lunghe, e nella scena finale, troppo veloci scritture, troppo in alto o troppo in basso e laterali.<br />Il personaggio di Sofiane, interpretato dall’attore <strong>Assaad Bouab</strong> (ottimo come il mellifluo imprenditore che compra l’agenzia nella serie francese <em>Call My Agent</em>!), è giocato su toni calmi, ragionevoli, come da asceta, che ben contrastano l’egoismo isterico di Helen; ma che fanno sparire il personaggio dalla scena del compleanno in poi, quando resta sullo sfondo e non prende posizione nel difendere Isolde incinta. Psicologicamente incongruente col personaggio, è da quel momento perso all’azione, visto solo come figura evocativa.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Foto_15_16/Assaad_Bouab_in_Phaedra_at_the_National_Theatre._Photo_by_Johan_Persson_15635.jpg" alt="Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Photo by Johan Persson 15635" width="500" height="333" /><br /><strong>Assaad Bouab in <em>Phaedra</em> at the National Theatre. Foto Johan Persson.</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’interazione linguistica di un’attrice inglese con un attore francese - l’inglese di <strong>Assaad Bouab</strong> è ineccepibile, ma parla anche in francese- è felice. L’esotismo della lingua araba del padre, il francese della moglie libanese, arricchiscono il discorso scenico - si ricordi Peter Brook- ma quando velocemente affastellati come nel finale, contribuiscono a offuscare il discorso. <br />La scenografia di <strong>Chloe Lamford</strong> è un’enorme scatola rotante, trasparente e tagliata verticalmente da righe nere, che oscurano la scena dall’angolo di visione di qualsiasi spettatore, dato che sono ripetute a brevi intervalli. Forse trovano la loro spiegazione nella scena finale dove potrebbero riferirsi alla morte di Sofiane in prigione o forse il cubo suggerisce un’esistenza dei personaggi come in un acquario. O forse si adegua all’estetica scenografica imperante. Resta l’indimenticabile visione dei campi d’erba alta.</p></div>
The Burnt City (La città bruciata). Teatro immersivo e l’esperienza dello spettatore. -di Beatrice Tavecchio
2023-02-19T17:50:11+01:00
2023-02-19T17:50:11+01:00
https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/14944-the-burnt-city-la-citta-bruciata-teatro-immersivo-e-l-esperienza-dello-spettatore-di-beatrice-tavecchio.html
Beatrice Tavecchio
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/aed00012f509d37a8c8cb454cc90cebd_S.jpg" alt="Punchdrunk's" the Burnt City". Foto Julian Abrams. Performer Omagbitse Omagbemi" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong><em>The Burnt City (La città bruciata)</em>. Teatro immersivo e l’esperienza dello spettatore.<br />Creata da Punchdrunk in collaborazione con la Compagnia. Regia di Felix Barrett e Maxine Doyle; <br />coreografia di Maxine Doyle; suono di Stephen Dobbie, luci di FragmentNine, Ben Donoghue e Felix Barrett.</strong><br /><strong>di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Lo spettatore entra in quello che sembra un abbandonato capannone. Non ci sono scritte pubblicitarie o locandine fuori per indicare che è un teatro. Si entra, niente telefoni, borse o cappotti. Si è subito informati che si deve indossare la maschera muta, bianca, sembra un po’ quella di Pantalone, sulla mascherina protettiva del Covid. Si è infilati in un buio corridoio che si apre su uno spazio, chiamato PEEP, tipo bar Cabaret anni Venti, con un banco vendita minimo ma costoso e un piccolo palco con intorno tavolini con rose luminose che danno un pò di luce. Le pareti sono tappezzate con vecchi sipari polverosi. Si è chiamati a gruppi secondo il colore della carta da gioco che ci era stata data prima nel corridoio. Si accede a un’altra stanza sempre col minimo di luce, dove ci vengono date le ultime istruzioni: proibito parlare, seguire un percorso proprio, dividersi da partner ed amici, è possibile entrare in tutti gli ambienti, stare a rispettosa distanza da attori e da altri spettatori. Alcuni di noi sono effettivamente guidati a porte diverse e separati da amici, nell’accedere allo spazio performativo.</p> <p style="text-align: justify;">Il buio è quasi totale, delle flebili candele elettriche indicano il percorso che ha livelli accidentati e gradini; difficile vedere dove mettere i piedi. I corridoi sono lunghi, tortuosi, con porte che permettono l’accesso ad altri corridoi o spiazzi, ma molte chiuse. Delle stanzette si aprono lungo questi corridoi, dicono più di cento stanzette con o senza attori ad animarle: un negozio di un fioraio, uno scrittoio, una stanza con piccoli reperti archeologici greci, un’ altra con una mezza pagina di giornale degli anni Trenta con titoli di omicidi plurimi di donne contro uomini.</p> <p style="text-align: justify;">Si, perché siamo a Troia in questo primo edificio, ex-arsenale, - ci troviamo a Woolwich nel sud-est di Londra, in riva al Tamigi, armeria ed arsenale del diciottesimo secolo, oggi restaurati e ottimamente inseriti in un ambito complesso residenziale- collegato ad un altro arsenale di due piani, dov’è collocata l’azione ambientata a Micene, Grecia. <em>The Burnt City</em> si ispira all’<em>Agamennone</em> di Eschilo e all’ <em>Ecuba</em> di Euripide. Ne trae due temi: quello della vendetta di Clitennestra sul marito Agamennone per aver sacrificato la figlia Ifigenia agli Dei e quello della vendetta di Ecuba che acceca Polimestore per avergli ucciso il figlio Polidoro.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque il labirintico corridoio porta nel primo edificio,Troia, ad uno spiazzo, piazza, circondata da ambienti/ stanze come il ‘Caffè Alighieri’, con scritte al neon e canzoni e musiche di sottofondo tipo quelle di Kurt Weill o del periodo. Luci soffuse, l’azione è al centro della scena, la figlia di Ecuba è subito immortalata e sospesa a testa in giù su un gancio. Il pubblico è tutt’intorno, l’arena performativa definita da un raggio di luce che forma una passerella visiva intorno agli attori. Ancora lungo il tortuoso corridoio, altri stanzini con ritagli di informazioni e poi si entra nell’altro arsenale, Micene. Qui l’azione è amplificata, gli spazi sono enormi, rettangolari, e l’azione è giocata sui due piani. A pianterreno, la scenografia appresta due superbe strutture, una un po’ più grande dell’altra, formate da due transenne di ferro incrociate a triangolo, falciate da una terza che si appoggia sulle prime come un cannone, su cui prima Ifigenia ed in seguito Agamennone sono sacrificati. Al primo piano - i due piani sono collegati da un’ampia scala-, l’azione parte dal lato più lontano dalla scala nello spazio, dalla camera di Ifigenia, dove vediamo l’affetto di Clitennestra mentre la prepara per la vestizione del preteso matrimonio; per poi srotolarsi sul lunghissimo tavolo su cui si dipana l’amore di Clitennestra per Egisto ed in seguito il suo dolore straziante per la morte della figlia; e finisce dal lato opposto a dove l’azione era incominciata, come in una linea retta che attraversa tutto il salone, sotto lo scroscio della doccia dove Clitennestra strozza il nudo Agamennone.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Punchdrunks_the_Burnt_City_Photo__Julian_Abrams._Performer_Morgan_Bobrow-Williams_2_1.png" alt="Punchdrunks the Burnt City Photo Julian Abrams. Performer Morgan Bobrow Williams 2 1" width="500" height="333" /><br /><strong>Punchdrunks <em>the Burnt City. F</em>oto Julian Abrams. Performer Morgan Bobrow Williams</strong></p> <p style="text-align: justify;">A questo punto è bene chiarire che questo spettacolo non è parlato. Non muto perchè ci sono suoni gutturali e ritmi e musiche, specialmente drammatiche in Micene con rombi di guerra ed esplosioni assordanti sottolineate da lampi stroboscopici. E’ drammaticamente coreografato e agito da una compagnia cosmopolita di danza contemporanea.</p> <p style="text-align: justify;">È teatro allora? Sí, perché la tensione drammatica della storia, l’interpretazione emotiva e suggestiva degli ‘attori’, si riversa sugli spettatori creando immagini che ricostruiscono gli avvenimenti in una sequenza personale, non data, nelle loro menti, attivando un loro personale processo mentale. Direi di più, perché un lavoro su questa scala rompe gli schemi tradizionali. Lo spettatore in Micene, sia che sia sulla balconata al primo piano che a pian terreno, o sullo scalone che li connette, - via d’accesso per gli ‘attori’ da un livello all’altro e su cui si svolge la scena finale coreografata come Requiem ispirata dal quadro di un pittore fiammingo, con tutta la Compagnia che come un grappolo di dannati, cade mentre tenta di risalire la scala-, lo spettatore assiste a storie fluidamente concatenate, vitali, vibranti, che si svolgono su tre livelli, che lui spettatore ha contemporaneamente presenti. Mai, nè al cinema, nè in un teatro tradizionale è possibile catturare una tale visione d’insieme, con scene multiple ma concatenate che si sviluppano su tre livelli contemporaneamente presenti. È un’esperienza entusiasmante e spero indicherà il modo di un futuro sviluppo del teatro. Ci sono già altri esperimenti di teatro immersivo, ma questa compagnia, Punchdrunk, è unica nella cura verso i dettagli, nella presentazione di ambienti, luci, costumi e musiche, e soprattutto per l’eccellenza della coreografa Maxine Doyle che conta su una materialità e profondità d’interpretazioni non comuni. La doppia coppia di Dei, Apollo e Artemide e quelli degli inferi Persefone e Ade, si muovono ed agiscono come se statue greche fossero state animate o come i guerrieri dei Bronzi di Riace, il torso coperto e ristrutturato con corazze di splendenti muscoli camuffati, i loro gesti pesanti di significati. La discesa all’Ade in una sala pavimentata di sabbia, tra ritmi tribali e parete funeraria a lumini, con una coreografia che usa sabbia, movimenti e oggetti mischiando sacro e profano nella resurrezione di Ifigenia/Persefone, è tra le scene drammaticamente più potenti.</p> <p style="text-align: justify;">Qual è e come è, allora, l’esperienza dello spettatore? Direi che è data non tanto dal perdersi in labirinti oscuri e nel ricercare significati negli stanzini, pur dettagliatamente ricostruiti. L’attrazione, e gli spettatori mascherati correvano, per così dire, verso questi spazi, era dove si svolgeva l’azione drammatica, attirati non solo dalla storia che man mano indipendentemente ricostruivano, ma anche dalla presenza scenica degli interpreti. Il poter muoversi in modo da veder meglio o rivedere un’azione -la storia viene raccontata per ben tre volte in diverse riprese, nello spazio delle tre ore della rappresentazione- appaga maggiormente la curiosità, la voglia di capire e il piacere captare per intero o di nuovo una bella scena. La facoltà di scegliersi un posto da cui osservare, e la possibilitàs qui data, di poter assistere a multiple azioni allo stesso tempo, sono le innovazioni principali di questo spettacolo.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Vedi anche su <em>Punchdrunk</em>, di Beatrice Tavecchio, Il teatro digitale in Gran Bretagna. <a href="https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/13586-il-teatro-digitale-in-gran-bretagna-parte-terza-di-beatrice-tavecchio.html" target="_blank" rel="noopener">Parte terza, sipario.it , 23 gennaio 2021</a>.</strong></p></div>
<div class="K2FeedImage"><img src="https://www.sipario.it/media/k2/items/cache/aed00012f509d37a8c8cb454cc90cebd_S.jpg" alt="Punchdrunk's" the Burnt City". Foto Julian Abrams. Performer Omagbitse Omagbemi" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong><em>The Burnt City (La città bruciata)</em>. Teatro immersivo e l’esperienza dello spettatore.<br />Creata da Punchdrunk in collaborazione con la Compagnia. Regia di Felix Barrett e Maxine Doyle; <br />coreografia di Maxine Doyle; suono di Stephen Dobbie, luci di FragmentNine, Ben Donoghue e Felix Barrett.</strong><br /><strong>di Beatrice Tavecchio</strong></p> <p style="text-align: justify;">Lo spettatore entra in quello che sembra un abbandonato capannone. Non ci sono scritte pubblicitarie o locandine fuori per indicare che è un teatro. Si entra, niente telefoni, borse o cappotti. Si è subito informati che si deve indossare la maschera muta, bianca, sembra un po’ quella di Pantalone, sulla mascherina protettiva del Covid. Si è infilati in un buio corridoio che si apre su uno spazio, chiamato PEEP, tipo bar Cabaret anni Venti, con un banco vendita minimo ma costoso e un piccolo palco con intorno tavolini con rose luminose che danno un pò di luce. Le pareti sono tappezzate con vecchi sipari polverosi. Si è chiamati a gruppi secondo il colore della carta da gioco che ci era stata data prima nel corridoio. Si accede a un’altra stanza sempre col minimo di luce, dove ci vengono date le ultime istruzioni: proibito parlare, seguire un percorso proprio, dividersi da partner ed amici, è possibile entrare in tutti gli ambienti, stare a rispettosa distanza da attori e da altri spettatori. Alcuni di noi sono effettivamente guidati a porte diverse e separati da amici, nell’accedere allo spazio performativo.</p> <p style="text-align: justify;">Il buio è quasi totale, delle flebili candele elettriche indicano il percorso che ha livelli accidentati e gradini; difficile vedere dove mettere i piedi. I corridoi sono lunghi, tortuosi, con porte che permettono l’accesso ad altri corridoi o spiazzi, ma molte chiuse. Delle stanzette si aprono lungo questi corridoi, dicono più di cento stanzette con o senza attori ad animarle: un negozio di un fioraio, uno scrittoio, una stanza con piccoli reperti archeologici greci, un’ altra con una mezza pagina di giornale degli anni Trenta con titoli di omicidi plurimi di donne contro uomini.</p> <p style="text-align: justify;">Si, perché siamo a Troia in questo primo edificio, ex-arsenale, - ci troviamo a Woolwich nel sud-est di Londra, in riva al Tamigi, armeria ed arsenale del diciottesimo secolo, oggi restaurati e ottimamente inseriti in un ambito complesso residenziale- collegato ad un altro arsenale di due piani, dov’è collocata l’azione ambientata a Micene, Grecia. <em>The Burnt City</em> si ispira all’<em>Agamennone</em> di Eschilo e all’ <em>Ecuba</em> di Euripide. Ne trae due temi: quello della vendetta di Clitennestra sul marito Agamennone per aver sacrificato la figlia Ifigenia agli Dei e quello della vendetta di Ecuba che acceca Polimestore per avergli ucciso il figlio Polidoro.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque il labirintico corridoio porta nel primo edificio,Troia, ad uno spiazzo, piazza, circondata da ambienti/ stanze come il ‘Caffè Alighieri’, con scritte al neon e canzoni e musiche di sottofondo tipo quelle di Kurt Weill o del periodo. Luci soffuse, l’azione è al centro della scena, la figlia di Ecuba è subito immortalata e sospesa a testa in giù su un gancio. Il pubblico è tutt’intorno, l’arena performativa definita da un raggio di luce che forma una passerella visiva intorno agli attori. Ancora lungo il tortuoso corridoio, altri stanzini con ritagli di informazioni e poi si entra nell’altro arsenale, Micene. Qui l’azione è amplificata, gli spazi sono enormi, rettangolari, e l’azione è giocata sui due piani. A pianterreno, la scenografia appresta due superbe strutture, una un po’ più grande dell’altra, formate da due transenne di ferro incrociate a triangolo, falciate da una terza che si appoggia sulle prime come un cannone, su cui prima Ifigenia ed in seguito Agamennone sono sacrificati. Al primo piano - i due piani sono collegati da un’ampia scala-, l’azione parte dal lato più lontano dalla scala nello spazio, dalla camera di Ifigenia, dove vediamo l’affetto di Clitennestra mentre la prepara per la vestizione del preteso matrimonio; per poi srotolarsi sul lunghissimo tavolo su cui si dipana l’amore di Clitennestra per Egisto ed in seguito il suo dolore straziante per la morte della figlia; e finisce dal lato opposto a dove l’azione era incominciata, come in una linea retta che attraversa tutto il salone, sotto lo scroscio della doccia dove Clitennestra strozza il nudo Agamennone.</p> <p><img src="https://www.sipario.it/images/Punchdrunks_the_Burnt_City_Photo__Julian_Abrams._Performer_Morgan_Bobrow-Williams_2_1.png" alt="Punchdrunks the Burnt City Photo Julian Abrams. Performer Morgan Bobrow Williams 2 1" width="500" height="333" /><br /><strong>Punchdrunks <em>the Burnt City. F</em>oto Julian Abrams. Performer Morgan Bobrow Williams</strong></p> <p style="text-align: justify;">A questo punto è bene chiarire che questo spettacolo non è parlato. Non muto perchè ci sono suoni gutturali e ritmi e musiche, specialmente drammatiche in Micene con rombi di guerra ed esplosioni assordanti sottolineate da lampi stroboscopici. E’ drammaticamente coreografato e agito da una compagnia cosmopolita di danza contemporanea.</p> <p style="text-align: justify;">È teatro allora? Sí, perché la tensione drammatica della storia, l’interpretazione emotiva e suggestiva degli ‘attori’, si riversa sugli spettatori creando immagini che ricostruiscono gli avvenimenti in una sequenza personale, non data, nelle loro menti, attivando un loro personale processo mentale. Direi di più, perché un lavoro su questa scala rompe gli schemi tradizionali. Lo spettatore in Micene, sia che sia sulla balconata al primo piano che a pian terreno, o sullo scalone che li connette, - via d’accesso per gli ‘attori’ da un livello all’altro e su cui si svolge la scena finale coreografata come Requiem ispirata dal quadro di un pittore fiammingo, con tutta la Compagnia che come un grappolo di dannati, cade mentre tenta di risalire la scala-, lo spettatore assiste a storie fluidamente concatenate, vitali, vibranti, che si svolgono su tre livelli, che lui spettatore ha contemporaneamente presenti. Mai, nè al cinema, nè in un teatro tradizionale è possibile catturare una tale visione d’insieme, con scene multiple ma concatenate che si sviluppano su tre livelli contemporaneamente presenti. È un’esperienza entusiasmante e spero indicherà il modo di un futuro sviluppo del teatro. Ci sono già altri esperimenti di teatro immersivo, ma questa compagnia, Punchdrunk, è unica nella cura verso i dettagli, nella presentazione di ambienti, luci, costumi e musiche, e soprattutto per l’eccellenza della coreografa Maxine Doyle che conta su una materialità e profondità d’interpretazioni non comuni. La doppia coppia di Dei, Apollo e Artemide e quelli degli inferi Persefone e Ade, si muovono ed agiscono come se statue greche fossero state animate o come i guerrieri dei Bronzi di Riace, il torso coperto e ristrutturato con corazze di splendenti muscoli camuffati, i loro gesti pesanti di significati. La discesa all’Ade in una sala pavimentata di sabbia, tra ritmi tribali e parete funeraria a lumini, con una coreografia che usa sabbia, movimenti e oggetti mischiando sacro e profano nella resurrezione di Ifigenia/Persefone, è tra le scene drammaticamente più potenti.</p> <p style="text-align: justify;">Qual è e come è, allora, l’esperienza dello spettatore? Direi che è data non tanto dal perdersi in labirinti oscuri e nel ricercare significati negli stanzini, pur dettagliatamente ricostruiti. L’attrazione, e gli spettatori mascherati correvano, per così dire, verso questi spazi, era dove si svolgeva l’azione drammatica, attirati non solo dalla storia che man mano indipendentemente ricostruivano, ma anche dalla presenza scenica degli interpreti. Il poter muoversi in modo da veder meglio o rivedere un’azione -la storia viene raccontata per ben tre volte in diverse riprese, nello spazio delle tre ore della rappresentazione- appaga maggiormente la curiosità, la voglia di capire e il piacere captare per intero o di nuovo una bella scena. La facoltà di scegliersi un posto da cui osservare, e la possibilitàs qui data, di poter assistere a multiple azioni allo stesso tempo, sono le innovazioni principali di questo spettacolo.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Vedi anche su <em>Punchdrunk</em>, di Beatrice Tavecchio, Il teatro digitale in Gran Bretagna. <a href="https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/londra/item/13586-il-teatro-digitale-in-gran-bretagna-parte-terza-di-beatrice-tavecchio.html" target="_blank" rel="noopener">Parte terza, sipario.it , 23 gennaio 2021</a>.</strong></p></div>