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Giovedì, 30 Aprile 2015
Pubblicato in Interviste

Partiamo dal presente. Torino, il vostro pubblico, il cartellone e qualche dato. Come sta andando la Stagione in corso?

"Il Teatro Regio ha oggi circa dodicimila abbonati, questo nonostante le famiglie sentano sempre più il peso di anni e anni di crisi e abbiano una visione di sfiducia nel futuro. Abbiamo un ottimo rapporto con il macro territorio che ci circonda, perché il nostro è un pubblico che non viene solo da Torino, o dal Piemonte, ma anche dalla Liguria, dalla Lombardia e dalla Francia. Il pubblico, sia esso costituito da abbonati sia da persone che acquistano il biglietto per un singolo spettacolo, è in crescita così come è in crescita la reputazione a livello nazionale e internazionale del nostro Teatro, confermando che il Regio è sempre di più un punto di riferimento culturale importante.
Un dato negativo invece è legato al costo elevato del biglietto, che siamo costretti a praticare e che non è in linea con la situazione economica del paese. Si crea così il pericolo di "selezionare" il pubblico non per le sue preferenze, ma per la sua capacità di spesa. E questo è un tema su cui dovremo discutere perché rischiamo di trasformare l'opera, da spettacolo popolare – nato in Italia come ben sappiamo – da bene comune della cultura del nostro paese, in prodotto d'élite. Inoltre, esiste anche il pericolo di non riuscire a coinvolgere il pubblico più giovane, che tra l'altro paga quella scandalosa mancanza dell'educazione musicale tra le materie di studio nelle scuola in Italia. E devo dire che questo teatro, e lo dico volentieri non avendone la paternità, svolge un grande lavoro di divulgazione e formazione con i giovani e le scuole. Perché viviamo in un Paese che ritiene che Guido Cavalcanti sia importante, e lo è sicuramente, per il percorso formativo di un individuo, mentre invece non lo sono Bach, Mozart, Beethoven, Verdi, Schubert ... e questo quando in Cina, Kazakistan, Corea si aprono teatri d'opera come investimento per la crescita culturale di quei Paesi. In Italia abbiamo anche avuto un ministro che affermò che con la cultura non si mangia e che i nostri teatri andrebbero stati da chiudere. Credo che una visione più allargata sull'importanza che viene data dell'opera lirica nel resto del mondo, ci porterebbe ad altre considerazione su un bene culturale che da sempre identifica il nostro paese."

Il Decreto Cultura ha sollevato sia delle perplessità, soprattutto in ambito teatrale nazionale, sia delle novità che alcuni hanno indicato come delle possibilità da cogliere. Come ha reagito il sistema Fondazioni in generale? Per il Regio quali prospettive positive?

"Ricordiamo allora che cosa riguarda e perché nasce il Decreto Cultura in riferimento alle Fondazione Liriche, oltre alle nuove normative per i teatri e i musei. Il Decreto nasce soprattutto per salvare quelle Fondazioni liriche che si trovavano in profonda crisi fornendo loro strumenti per evitare il fallimento. Mi auguro che questo obiettivo venga raggiunto mettendo così in salvezza ben otto teatri su quattordici, il che sarebbe un ottimo risultato. Il resto delle normative è più una forma di maquillage che non una riforma del sistema. Il Sovrintendente ora viene nominato direttamente dal Ministro su indicazione del Consiglio di Indirizzo e diventa l'unico organo di gestione del teatro ma questo non modifica sostanzialmente la struttura e le responsabilità che già precedentemente aveva. Semmai la novità importante è l'Art Bonus, che considero un valido e innovativo strumento che viene dato alle Fondazioni Liriche. Esso potrebbe infatti consentire un aumento di risorse da parte dei privati e anche il coinvolgimento di altri soggetti che, finora, non hanno investito nei nostri teatri potendo usufruire di una detrazione del 65% non dall'imponibile, ma dall'imposta stessa. Auspichiamo che l'Art Bonus possa proseguire anche dopo il 2016, che già prevede una diminuzione al 50%, mantenendo queste percentuali di detrazione che sono per noi un importante strumento. In questo senso penso che il Ministro Franceschini ci abbia messo a disposizione un'importante novità, così come prima la legge Bray per il salvataggio delle Fondazioni.

Qual è la sua opinione sul sistema misto pubblico-privato?

"Il sistema misto pubblico-privato nasce nel 1996 con la legge 367 voluta da Veltroni che però prevedeva un sistema "aggiuntivo" all'impegno dello Stato. Vale a dire: chi trovava risorse private avrebbe avuto un aumento del contributo pubblico. Strada facendo queste risorse sono invece diventate per lo più "sostitutive", così quello che la Legge Veltroni prevedeva come un punto di forza è diventato un punto di debolezza. Chiedere a un privato di intervenire a sostegno di una Istituzione nel momento in cui viene a ridursi il sostegno pubblico diventa una operazione sempre più difficile.
Non c'è dubbio che al di fuori dell'Italia, a esclusione ma solo in parte dell'Inghilterra, e naturalmente dell'America, i teatri in Europa siano a forte valenza pubblica, molto di più che nel nostro paese. Pensiamo che l'investimento che la Francia fa per il Teatro dell'Opera di Parigi è quasi pari a quello che l'Italia spende per tutti i suoi teatri lirici. La Royal Opera House di Londra ha un contributo maggiore della Scala di Milano ed è noto che l'Inghilterra è uno stato che poco contribuisce con pubblico denaro alle attività culturale."

teatroregiosala

La stagione in corso ha un bel elenco di grandi classici di sicuro richiamo. Ma qual è la visione del Regio sulla musica contemporanea? Il sistema produttivo è ancora in grado di farsi mandante di nuove scritture musicali, sia concertistiche che operistiche, o il rischio è troppo alto?

"Una delle criticità del nostro sistema lirico attuale – a differenza di quanto accadeva negli anni '80 – è la scarsa commissione di opere nuove, cosa che non avviene negli altri paesi. Il taglio dei fondi pubblici ci ha di fatto obbligato per tenere i conti in ordine a orientarci su un cartellone con in prevalenza grandi titoli capaci di realizzare significati incassi di botteghino. Oltre ai costi che una nuova opera comporta, nel nostro sistema vi è quasi sempre il rischio di avere "prime esecuzioni" alle quali non fanno seguito riprese di questo titolo in altri teatri o del suo mantenimento in repertorio. Per quel riguarda il nostro Teatro abbiamo commissionato una nuova opera a Marco Tutino in coproduzione con la San Francisco Opera House, formula che ci consente non solo una condivisione dei costi di produzione ma anche una circuitazione di questo titolo."

Torino ha avuto un grande exploit culturale e turistico, le Olimpiadi, Il Museo del Cinema, Ronconi, il Teatro Stabile, Artissima, Venaria, MITO, che hanno ridato spinta e fama internazionale alla città, oltre al Regio, naturalmente. Qual è la vostra politica per il futuro?

"Nel 2000 Torino elaborò un piano strategico in sette punti. Uno di questi era proprio la cultura. Torino avrebbe potuto imboccare un declino post-industriale drammatico come conseguenza della grave crisi che colpì la Fiat e tutto il suo indotto, passando rapidamente da una factory town a una deserta Detroit italiana. L'amministrazione della città affrontò questo spettro predisponendo questo piano di rilancio anche puntando sulla cultura che, ricordiamo, non richiede investimenti così importanti come il rilancio di un piano industriale o la costruzione di grandi infrastrutture ma che in tempi brevi avrebbe potuto cambiare fortemente l'immagine della città. Fu una scelta intelligente, perché Torino era allora una città conosciuta nel mondo soprattutto per la Fiat, appunto, e per la Juventus. In tempi brevi, e grazie anche all'ottima gestione delle Olimpiadi Invernali del 2006, puntando sulla bellezza stessa della città e sulla sua ricca offerta culturale, Torino è diventata una meta turistica importante, con oltre otto milioni di visitatori solo lo scorso anno. questo processo è stato possibile perché tutte le istituzioni culturali sono state chiamate a raccolta proponendo loro un progetto che le coinvolgesse tutte. A differenza di altre città dove le attività culturali vivono per conto proprio se non addirittura una contro l'altra noi abbiamo ritenuto che lavorare insieme sia un plus e, ad esempio, vi è non concorrenza con il Teatro Stabile o con l'Orchestra Sinfonica della RAI ma semmai lavoriamo insieme a un progetto condiviso e coerente con quello della città. Tant'è che per Expo, ricordiamo che siamo a soli 35 minuti di treno dalla sede dell'Esposizione, Torino ha predisposto un programma culturale di grande interesse e impegno. Nel mese di luglio noi avremo quattro opere che verranno presentate una dopo l'altra (La bohème, Il barbiere di Siviglia, La traviata e Norma), cambiando ogni sera titolo. Questo per consentire a chi alloggerà a Torino per visitare Expo di scoprire anche il valore culturale di questa città. E aggiungo: da anni abbiamo deciso di aprire sempre di più il teatro per farlo diventare un punto d'incontro per la cittadinanza e oggi vengono qui realizzate molte delle più importati manifestazioni promosse non solo dalla Città, come Biennale Democrazia da poco terminato con grande successo, ma da molte altre istituzioni sia pubbliche che private. Operazione che ci ha consentito di diminuire la distanza con chi non è un appassionato d'opera e quindi potrebbe essere portato a pensare che i nostri teatri siano una costosissima macchina destinata a esclusivo vantaggio degli appassionati della lirica. Insomma il nostro è un teatro sempre di più aperto a tutta la cittadinanza.

Il Teatro Regio è tra i più attivi nella ricerca di una internazionalità. Progetti futuri se può anticiparceli?

"Si, e grazie all'impegno di tutti ci siamo conquistati una fama importante di qualità in tutto il mondo. Abbiamo fatto investimenti importanti per aumentare la qualità e la produttività e di conseguenza è aumentato il pubblico e l'entusiasmo con il quale ci segue. Da qui sono nati i primi inviti internazionali e che adesso ci impegnano in modo sempre più intenso, portandoci nei più bei teatri del mondo. I prossimi impegni sono a Hong Kong, a Parigi (al Théatre des Champes-Elysées), a Essen, al Festival di Savonlinna in Finlandia e poi torneremo per la terza volta in Giappone."

Il team che compone con Lei, la direzione del teatro, Gianandrea Noseda e Gastón Fournier-Facio è rimasto con il detto "Squadra che vince non si cambia", come sarà la prossima stagione?

"Beh una piccola crisi c'è stata, e anche eccessivamente pubblicizzata. La nostra responsabilità è stata quella di non aver saputo viverla e risolverla all'interno del teatro ma esserci esposti pubblicamente.
Grazie anche all'intervento del Sindaco Fassino abbiamo lavorato per cercare di superare questi problemi; l'arrivo del nuovo Direttore artistico Gastòn Fournier-Facio è stato un positivo contributo anche su questo piano e il progetto artistico che abbiamo presentato per la prossima Stagione ha certamente giovato a ristabilire gli equilibri. Se questa necessaria "pace sociale" è stata nuovamente e definitivamente raggiunta lo dirà il tempo ma, soprattutto per il bene il teatro, spero che sia davvero così".

 

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