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Sabato, 17 Settembre 2016
Pubblicato in Interviste

«La cancellazione della nostra memoria è proporzionale all'accelerazione della società tecnologica – spiega il compositore Andrea Liberovici -. Ho l'impressione che assistere e partecipare a questa nostra grande evoluzione tecnologica ci porti inevitabilmente a un'involuzione culturale. Affrontare Faust vuol dire affrontare uno dei miti fondanti della nostra cultura occidentale, le sue trasformazioni, mi verrebbe voglia di dire il suo tramonto». Il mito di Faust è messo in scatola da Andrea Liberovici, con Faust in Box, opera da camera contemporanea che debutterà sabato 17 settembre alla Philarmonie di Parigi in prima assoluta. Lo spettacolo ha come protagonista la cantante-attrice newyorkese Helga Davis, protagonista dell'ultima edizione di Einstein on the beach di Bob Wilson che in Faust's Box è interprete, prestando la propria voce, dell'ombra di Faust. Sulla scena ci sarà lo straordinario ensemble francese Ars Nova ensemble instrumental diretto da Philippe Nahon, abituato alla commistione fra musica e teatro anche perché direttore, per molti anni, di tutti i lavori musicali di Peter Brook. Andrea Liberovici recentemente ha ricevuto il premio Le Maschere del Teatro Italiano per le musiche di Macbeth Remix.

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Macbeth Remix e ora Faust in box, sembra che le grandi figure della cultura occidentali siano destinate a una riduzione di senso e di spazio... Macbeth ridotto a un remix e Faust messo in scatola...
«E' una necessità, come mi ha insegnato Edoardo Sanguineti che mi disse: studia molto i classici e poi fai di tutto per dimenticarli. Tradire i classici è necessari per essere loro fedeli».

E allora chi è il suo Faust?
«Il Faust, come Goethe stesso l'ha definito, è un'opera 'incommensurabile', al centro della quale c'è l'uomo. Faust appunto: un uomo che nel suo continuo interrogare se stesso, interroga di fatto anche tutta l'umanità contemporanea. Le grandi rivoluzioni della modernità e della tecnologia hanno certamente mutato in meglio le condizioni di vita, ma per paradosso hanno prodotto una società d'individui soli. Il racconto di Faust's Box inizia da questa condizione».

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A tal punto che Faust e Mefistofele finiscono con l'essere un'unica persona...
«Le due figure coincidono. Come diceva Lukas Mefistofele segna la transizione fra il mondo antico e la modernità, Faust incarna l'uomo contemporaneo, si è per così dire, democraticizzato».

E che viaggio compie?
«Il suo viaggio è un viaggio immobile. Faust oggi vive in un eterno presente, un tempo – il nostro – in cui si è azzerata la memoria. Faust rappresenta la nostra condizione: siamo costretti a un presente costante che ci sottrae il futuro e la speranza in un futuro. E' questa la vera dannazione di Faust. La nostra dannazione è l'esplosione dell'ego e il narcisismo, ampliato dai newmedia. Il mio Faust è imprigionato in questo piccolo mondo iperconnesso, in cui a farla da padrone è la seduzione dell'audiovisivo».

Come definirebbe Faust in box?
«Faust's Box è un'opera da camera contemporanea, una tragedia/commedia dell'ego e dell'immaginazione perché ogni cambiamento sociale gli è precluso dalla solitudine e l'unica mutazione possibile è quella del suo sguardo: da se stesso, molto faustianamente, agli altri. Mutazione che diventa esplicita alla fine, quando nello specchio Faust vedrà il pubblico oltre al suo riflesso, e capirà».

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In tutto ciò il testo goethiano?
«E' assente, è un'eco. L'opera goethiana è presente nella sua struttura. Goethe ha scritto che le scene del suo Faust sono come un elenco di 'ballate popolari' chiuse in se stesse e, grazie a questa suggestione ho immaginato una struttura, per questo viaggio, suddivisa in 13 scene/movimenti musicali. 13 è la somma delle lettere che compongono i due nomi di Faust e di Mephisto perché il nostro personaggio è entrambi. Ogni scena/movimento affronta un tema della sua memoria: l'amore, la giovinezza, il tempo, la felicità, la solitudine ecc. Una sorta di monologo interiore ma 'sonoro' amplificato e udibile».

E dal punto di vista della partitura musicale quale è stato il suo lavoro?
«Far risuonare i linguaggi della nostra contemporaneità, partendo dall'audiovisivo. Io sento la necessità di mettere a pieno le mane nel mondo in cui vivo, nei codici linguistici che caratterizzano la nostra comunicazione quotidiana. Da lì parte per farne risuonare non solo il senso, ma la voce segreta. Faust in box si articola, come dicevo, su tredici scene, tredici parole e tredici motivi racchiusi in altrettante canzoni».

In tutto questo signora indiscussa è Helga Davis, cantante e attrice di Biob Wilson, fra i protagonisti dell'ultima edizione di Einstein on the beach del regista texano.
«E per avere nel cast Helga Davis ho dovuto aspettare che si chiudesse la tournée d Einstein on the beach. Ma l'attesa ne è valsa la pena perché con Helga c'è stato subito feeling, non potevo chiedere un Faust migliore per il mio lavoro».

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In più c'è la presenza in voce di Bob Wilson...
«Dovevo trovare qualcuno che leggesse le tredici parole che danno la scansione allo spettacolo. E' stata Helga a chiedere a Bob Wilson se voleva pronunciare quelle parole. Gliele abbiamo inviate, spiegandogli il senso del progetto. I risultato è stato che Wilson ci ha inviato la registrazione».

Faust in Box debutterà a Parigi, ma poi arriverà in Italia?
«Saremo al teatro Duse di Genova dal 30 novembre al 4 dicembre. Poi si vedrà... Faust in box si pone fra musica e teatro, fa della contaminazione dei linguaggi la sua ossatura, come il mio modo di comporre parte dagli audiovisivi, dalle canzoni, generi pop all'interno dei quali i muovo per cogliere musicalmente lo spirito del nostro tempo. Questo meticciato linguistico ed estetico rende difficilmente collocabile la mia opera da camere in un sistema di organizzazione dello spettacolo e dei cartelloni che procede per compartimenti stagni, soprattutto quando si tratta di cercare riconoscimenti e fondi ministeriali. Comunque sia, si va avanti...».

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