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Alejandro CASONA - Gli Alberi muoiono in piedi

Corriere Lombardo, 6 gennaio 1951

Oh, le vecchine di Emma Gramatica. Un'altra, ancora. Incantevole. C'è sempre, nella carriera di ogni attore un personaggio prediletto al quale egli ritorna volentieri e del quale spesso finisce con l'impregnare tutte le sue altre interpretazioni. Quello di impregnare di esso le sue altre interpretazioni non è certamente il caso della Gramatica, artista sempre tanto varia, intensa, sofferta e accanitamente tesa in ognor nuovi sondaggi d'anima e di coscienza, ma quello di tornarci spesso e volentieri, sì lo è, fin dal tempo che umiliare la fresca e incontenibile vitalità degli anni in grigie e minute figurine di vecchia, era un eroismo. Ed è curioso constatare come questa grande e forte attrice, romantica di temperamento, intellettuale di gusto e idealista di cultura, arsa da un inappagato bisogno di ricerca, prediliga tali incantate, stupite, sognanti, svagate e semplicette figurine di nonne mielate e di candide zitelle trapunte di fragili sogni fatti di estri trasparenti, patetiche ingenuità e gozzaniane gentilezze. Forse che la musa segreta di Emma sarebbe la malinconia? Quante mai essa ne ha allineate nella sua così gloriosa e così ardua carriera. Tutte parenti e tutte diverse. Sembra quasi che del gioco delle variazioni, delle impercettibili e sapienti sfumature, del differente ritmo dei modi, del vario aspetto dei volti e dell'infinito mutare dei cuori di un unico tipo, essa abbia fatto un segreto compiacimento e un raffinato puntiglio. Una bravura meticolosa al servizio di una rosea ispirazione, un continuo prodigio sul filo della maniera, la fantasia sempre vigile e vittoriosa applicata al luogo comune, il virtuosismo capace di liberare la poesia.

Del senor Alejandro Casona del quale, ieri sera, al teatro Nuovo, Emma Gramatica ha varato Gli alberi muoiono in piedi, possiamo dire soltanto una cosa, che cioè deve trattarsi di un uomo dotato di due orecchi sensibili come le antenne di una radio. Nella sua commedia, mediocre ed approssimativa ma niente affatto priva di gentile disinvoltura e di patetico garbo, confluiscono non so quanti echi di numerose forme di teatro le quali, dopo essere state, come si dice, di eccezione, ci vengono restituite nei modi casalinghi e confidenziali del teatro popolare. Per quanto all'avanguardia, state pur certi, arriva sempre il giorno che un movimento letterario finisce nei fumetti; e Pirandello ed anche Giraudoux salgono sui palcoscenici delle filodrammatiche, e le tricromie dei quadri di Picasso occhieggiano alle pareti dei salotti borghesi di provincia di fronte alle statuette di gesso di Lucca.

Esiste una commedia di Nicola Evreinov: Ciò che più importa, assai più celebre di quel che merita, nella quale uno strano tipo di benefattore assolda una compagnia di attori per impiegarli a recitare, nella vita, casi e personaggi adatti a consolare e a ricondurre alla fiducia gli afflitti, i delusi e coloro che sono sul punto di suicidarsi.

Non diversamente, anzi esattamente, la stessa cosa succede nella commedia dell'autore argentino recitata ieri sera. C'è una misteriosa società che concepisce la pietà come una delle belle arti e si è proposta l'ambizioso e fantasioso programma di "arrivare alla carità attraverso il cammino della poesia". I suoi componimenti hanno il compito di dar corpo alle fantasie, di creare giuochi di illusioni "più vere del vero" e cose simili a conforto, beneficio e salvamento dei pericolanti e degli addolorati. Tutto il primo atto è impiegato nella piacevole e divertente descrizione di questo ambiente.

Successivamente, la commedia restringe sempre più il proprio orizzonte ed indirizza le vele verso lidi meno ampi e più battuti. Nei due atti che seguono ci viene raccontato il caso di due giovani componenti della società, maschio e femmina, i quali hanno ricevuto l'incarico di recitare la parte di un nipote, figliuol prodigo – e della sua giovane moglie – del quale si erano perdute le tracce e che era, ed è tutta la ragione di vita di una vecchia signora, una cara commovente ed intelligente nonnina. E ci siamo. Entra in scena Emma Gramatica.

Il gioco delle parti riesce tanto bene e la finzione finisce col prendere così esattamente il posto della realtà che quando il nipote vero si rifarà vivo, tutto diverso dal modello che era stato ricreato, verrà respinto dalla nonna. Ma essa – che ha tutto compreso – cercherà perfino di far apparire di nulla sapere per beneficare a sua volta e col medesimo gioco di una generosa finzione, i due giovani benefattori i quali nella commedia di una amore finto hanno scoperto, come era prevedibile, un sentimento sinceramente e profondamente vero.

Teatro di poesia, dunque? Altroché. Basterebbe che tutto questo potesse lievitare nel linguaggio - che so? - di Intermezzo di Giraudoux o anche soltanto e più modestamente in quello dell'Ufficiale della guardia o, magari dei Giuochi al Castello di Molnar. E non è proprio il caso. Restiamo, invece, alla terrestre quota di quella Lampada alla finestra nella quale, da vent'anni a questa parte, scialano tutti i nostri dilettanti. La commedia si limita a una patetica gentilezza e ad una acquerellata verniciatura roseomalva delle sue convenzioni piccole e borghesi, raccomandandosi, soprattutto, a una sciolta ed educata comicità che mi pare la nota più personale dell'autore.

Ieri sera Emma Gramatica mica ha rappresentato una commedia. Essa ha sfogliato davanti agli spettatori stupefatti una antologia di formidabili pezzi del grande recitare. Tutti i toni, tutti i registri di una sensibilità, un'inventiva e una sapienza sbalorditiva sono stati messi al servizio del mediocre personaggio per farne una figura umanamente perfino eccessiva. Giulio Stival ha detto la sua parte con pulita, netta ed elegante verità, Pina Cei con la sua semplice e non comune interiorità non ancora valutata quanto merita. E tutti gli altri a posto: il Tassani, il Lombardi, la Borelli, la Savelli, il Caldani, il Volo e il Carlini che, non solo ha reso con arte intelligente la sua parte, ma, fra una battuta e l'altra, ha fatto dei divertenti giochi di prestigio.

La serata è stata un continuo susseguirsi di applausi, di feste, di ovazioni, di sorrisi e di sospiri, di divertimento e di commozione, di esclamazioni di "brava", di assiepamenti alla ribalta; e uno ha gridato anche "encantadora". Se continua così, in seguito bisognerà mettere una passerella.

Carlo Terron

Ultima modifica il Lunedì, 08 Dicembre 2014 18:37
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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