giovedì, 09 maggio, 2024
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INTERVISTA A ANNA ZAGO - di Francesco Bettin

Anna Zago. Foto Alice Mattiolo Anna Zago. Foto Alice Mattiolo

Nel 2001 fonda assieme a Aristide Genovese e Piergiorgio Piccoli, a Vicenza, Theama Teatro, realtà che si espande nel tempo diventando sicuro punto di riferimento teatrale, molto attivo, nel Veneto ma non solo. Anna Zago è attrice, regista, responsabile formativo della compagnia, ha una grande esperienza recitativa  e diretto numerosi spettacoli, partecipando a rassegne d’importanza nazionale, lavorando e collaborando con (tra gli altri) Massimo De Francovich, Eugenio Allegri, Giulio Scarpati, Anna Valle, Natalino Balasso, Giancarlo Marinelli. E’ certamente interprete sicura, lucida, anche per il cinema (ad esempio Malacarne di Lucia Zanettin), mentre a teatro è stata ottima interprete, e autrice, di Clitennestra, I morsi della rabbia al 73.mo Ciclo degli Spettacoli Classici del Teatro Olimpico di Vicenza. 

Sei una delle “anime” di Theama Teatro. Come nasce questa vostra avventura?
Nasce nel 2001 insieme a Piergiorgio Piccoli, Aristide Genovese e Ester Mannato. Due famiglie unite nel segno dell’arte. Ci conoscevamo già da un po’, e avevamo già iniziato a lavorare insieme ma poi abbiamo strutturato meglio l’attività e creato la compagnia. Da allora poi all’interno di questa grande famiglia sono entrati altri artisti, una in particolare, che è con noi da tantissimo tempo, è Anna Farinello. La nostra avventura da allora ci vede impegnati sia nel campo della produzione teatrale sia in quello dell’organizzazione che della formazione, grazie anche al Teatro Spazio Bixio, a Vicenza, che gestiamo dal 2006 e che è ormai la nostra casa. 

E la storia tua personale? Una passione giovanile per il teatro, una predisposizione sentita?
È la classica storia di una passione nata sui banchi di scuola. Frequentavo il liceo classico e la mia scuola, che era il liceo Tito Livio di Padova, aveva una grande tradizione di teatro classico e frequentando il laboratorio teatrale mi sono appassionata sempre di più a questo tipo di espressione. Non ero convinta che sarebbe diventato il mio lavoro tant’è vero che il mio percorso di studi è andato in un’altra direzione: io sono laureata in architettura, ma il teatro è arrivato da me ugualmente e questa la considero una fortuna. Ad un certo punto del mio cammino di studi ho avuto un’occasione di lavoro in questo settore e ho deciso di coglierla. Da lì è iniziata la mia carriera teatrale parallelamente al mio percorso universitario. 

Quanto è necessario, a tuo avviso, una formazione dell’individuo che passi per questa disciplina?
Noi siamo impastati di fragilità. Ma la mentalità comune la associa alla debolezza. In realtà nella fragilità si nasconde quell’intuizione dell’invisibile della vita, (di cui il teatro come la poesia tratta) che ci consente di immedesimarci con più facilità negli stati d’animo e nelle emozioni degli altri. Questo significa prendersi cura di noi stessi come degli altri. Prendersi cura significa compromettersi con l’altro. Il teatro insegna a compromettersi, arrischiarsi, ma senza danno, anzi facendo fiorire l’umano. Credo che oggi questa necessità di fioritura sia l’urgenza vera del nostro vivere e credo che gli strumenti che il teatro può metterci a disposizione siano una chiave diversa per comprendere la vita che stiamo vivendo e i rapporti su cui la stiamo costruendo. Non so se ho risposto alla domanda però. 

Certo, una bella riflessione.  Ma in che stato versa oggi lo spettacolo dal vivo, a tuo parere?
Lo spettacolo dal vivo verso nello stesso stato in cui versa la società viva di cui è espressione e quindi credo che l’aggettivo più calzante sia a mio avviso …diviso, scisso, consapevole della crisi dell’individualismo, ma ancora incapace di un pensiero collettivo. 

La provincia può essere un osservatorio speciale per agire nel teatro, o essere a Roma sarebbe più bello, più costruttivo?
Io adoro la provincia e non credo che potrei vivere altrove. E non credo ci sia nessuna differenza dal punto di vista dell’agire teatrale tra la provincia e la grande città, non sono le dimensioni geografiche, ma il tipo di attività che fai, il come lo fai, e con quali obiettivi. Una volta che questo ti è chiaro il luogo dove sei non è importante, o meglio è importante nella misura in cui è il tuo luogo. 

Un tuo progetto, qualcosa che ti sta a cuore, che vorresti realizzare al più presto c’è?
Credo sia una delle domande più difficili a cui rispondere. Potrei dirti che tutto quello che realizzo mi sta a cuore. Amo questo lavoro al punto che ogni progetto che affronto è il progetto.

Ti consideri attrice e regista a tutto tondo, o sei più inclina a un genere piuttosto di un altro?
Ho un animo contemporaneo e tragico che spesso prende il sopravvento. 

Lo spettacolo che hai fatto che più ti è rimasto nel cuore?
Sono una appassionata di mitologia e di epica e negli ultimi anni mi sono dedicata molto a questo. Sto studiando e scrivendo tanto su questi argomenti, quindi posso dire che lo spettacolo che ha dato il via a questa mia azione è Clitennestra - i morsi della rabbia, con cui ho debuttato nel Ciclo dei Classici nel teatro Olimpico di Vicenza nel 2020. Questo spettacolo rappresenta un inizio importante per me anche dal punto di vista del lavoro drammaturgico, quindi sì,è questo che ho nel cuore. 

Sei anche insegnante di teatro…come rispondono le giovani generazioni?
C’è interesse per questa forma artistica, e da cosa vengono incuriositi i giovani, per iscriversi a dei corsi? Ecco, qui si apre una parentesi molto importante. Esiste un interesse enorme ma del tutto inconsapevole. Il teatro rappresenta un’esperienza trasformativa dal punto di vista dell’educazione alla relazione con se stessi e con gli altri. Il teatro educa all’emotività, che oggi diventa sempre più necessaria per vivere all’interno di una società sempre più complessa, anche in rapporto al crescente sviluppo tecnologico che ha ridotto la comunicazione faccia a faccia, restringendo gli spazi della relazione. Dietro uno schermo telefonico, che diventa barriera, la nostra comunicazione si modifica in uno dei suoi aspetti fondamentali, quello relazionale emotivo. Perché quando i soggetti ai quali ci rivolgiamo non sono presenti e i corpi quindi non entrano in relazione, la lettura emotiva dell’altro subisce inevitabilmente una trasformazione. Giovani e meno giovani avvertono questo bisogno, in maniera indefinita ma pressante. Il punto è che spesso si confonde con il bisogno di emergere e di distinguersi. Non c’è niente di sbagliato in questo, ma è come se avessi il raffreddore e andassi in farmacia chiedendo di poter comprare dei calzini, ovvero sono nel posto giusto ma faccio la richiesta sbagliata. 

Tornassi indietro rifaresti ancora questo mestiere?
Assolutamente! 

Quale sarà la tua prossima sfida?
Nel 2024 mi aspettano tre nuove produzioni, tutte stimolanti: a gennaio sempre con Theama Teatro debutteremo con La scuola dei mariti e delle mogli, tratta dai testi di Moliere; a giugno mi confronterò con Jean Cocteau (due testi in uno.. davvero una bella sfida…) e per fine estate dovrei finire il lavoro iniziato già nel 2023 sul testo de La signorina Margherita, di Athayde. Insomma un anno impegnativo! Teniamo le dita incrociate!

Francesco Bettin

Ultima modifica il Lunedì, 20 Novembre 2023 10:12

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