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INTERVISTA a DUNJA JOCIC - di Michele Olivieri

Dunja Jocic. Foto Marinus Groothof Dunja Jocic. Foto Marinus Groothof

Nata a Belgrado, Dunja Jocic dopo un'eccellente carriera nella ginnastica ritmica (World Cup nel 1992), studia danza alla "Rotterdam Dance Academy" e successivamente avvia l'attività di performer in diverse compagnie tra cui "Club Guy and Roni" (Olanda), "Ballet du Nord" (Francia) ed "Emio Greco/PC" (Olanda). Nel Dunja Jocic 2007 crea il suo primo lavoro, "No flowers, please", ottenendo il riconoscimento del Pubblico e il "Premio innovazione" al "Festival of Choreographic Miniatures" di Belgrado che le commissiona, insieme al "Grand Theatre di Groningen", la successiva produzione a serata intera "Not Me".

Gentile Dunja, il linguaggio verbale è un tramite fondamentale per scoprire più a fondo il movimento?
Sono i miei pensieri che sono fondamentali per il movimento non il linguaggio verbale, ma il linguaggio verbale migliora forse, aiuta, arricchisce ma non necessariamente.

Come si acquisisce la libertà fisica mediante il suo lavoro coreografico?
Non sono sicura che questo sia ciò che cerco o cerco di realizzare quando creo. Ma quando ballo e ora parlo come performer, cerco di raggiungere quell'incredibile momento di essere un tutt'uno con ogni elemento: tecnica, sentimento, espressione ecc., quando si ha la sensazione di sentirsi connessi a tutti e a tutto e di "essere". È vero duro lavoro fisico e forte visualizzazione (tutto risiede nella nostra mente).

Nel luglio scorso presso il Teatro Vascello di Roma, ha presentato nell'ambito del Festival Internazionale di Danza "Fuori Programma" diretto da Valentina Marini, la sua creazione "Don't talk to me in my sleep". Di cosa parla e come ha impostato il rapporto autore-interprete?
Per prima cosa devo esprimere la mia felicità nell'aver fatto parte di questo fantastico Festival, creato da Valentina Marini, una donna profondamente ispiratrice. Il pezzo presentato "Don't talk to me in my sleep" è davvero speciale per me e sono stata felicissima di presentarlo nella mia città preferita, Roma! È una storia alquanto intima tra due persone. È una storia psicologica ed è una strana storia tra madre e figlio che vivono insieme. Ispirato e liberamente basato sulla vita di Andy Warhol e sua madre Julia.

Come racchiudere i sentimenti che fanno da sfondo in questo lavoro?
Relazione personale e psicologica, claustrofobica tra due persone in uno strano contesto di piccolo spazio confinato. Madre e figlio adulto che vivono insieme, e figlio che cerca di rivendicare la sua indipendenza.

In "Don't talk to me in my sleep" cosa ha voluto maggiormente focalizzare nella ricerca?
Il rapporto madre-figlio, la psicologia di quella relazione come ispirazione principale. Andy Warhol e Julia Worhola.

In ambito contemporaneo è facile confondere gli stili. A suo avviso come meglio distinguere ciò che è danza contemporanea da ciò che non le appartiene esteticamente?
Devo dire che non mi interessa molto. Questo è un argomento serio e lungo di cui non posso scrivere senza tempo, ho paura!

Per definire il suo stile coreografico da cosa si lascia ispirare nell'atto della creazione?
Le persone mi ispirano, gli errori mi ispirano e le restrizioni mi ispirano. Con questo ultimo elemento ancora combatto, ma ho imparato ad attraversarlo e confrontarmici.

Quali progetti nutre per il futuro?
Ci sono molti progetti in fila per il prossimo futuro. Innanzitutto una nuova creazione per la Compagnia "Conny Jansen" a Rotterdam, "Protagonista" la nuova creazione che debutterà in anteprima a gennaio al "Cadance Festival" e la preparazione del film "Isotopes of souls".

 

Michele Olivieri

Ultima modifica il Venerdì, 19 Ottobre 2018 22:30

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