di Ruggero Cappuccio
con Euridice Axen
costumi Carlo Poggioli
musiche Ivo Parlati
Progetto luci e scene Nadia Baldi
Regia Nadia Baldi
Produzione Teatro Segreto
Cologna Veneta (Verona), teatro C. Ferrini, 10 marzo 2024
Avvolta in un iconico vestito di tulle rosso e distesa su una poltrona dove predomina, anche lì, il colore vivo e scarlatto di fuoco e vita, inserita come matrioska in un elegantissimo drappeggio scuro che dona alla scena splendore, la donna-Moana troneggia in questo raffinato testo di Ruggero Cappuccio, con l’accurata regia di Nadia Baldi. Siamo in un hotel a Ravello, sulle alture della Costiera Amalfitana, e quello a cui assistiamo è un dialogo imaginario tra un uomo e appunto una donna, che, riconosciuta nella diva del porno, sale in cattedra, senza insegnamenti, solo dichiarato pensiero. E’ un dialogo immaginario ma quello che i due si scambiano è diretto, realistico e soprattutto è la memoria di questa donna divisa in due, personaggio e reale. L’ambientazione, come detto è di un’eleganza da far paura (bellissima la scenografia e perfette le dosatissime luci, tutto di Nadia Baldi) , che esalta e al tempo stesso immalinconisce. Il monologo di Moana, che si rivolge al giornalista-uomo ma che si intende allargato a tutti, è una parafrasi precisa della propria esistenza. Moana, chioma bionda mossa, movenze languide e sensuali, studiate, sciorina lo scandire del suo passato e del suo mestiere di porno attrice mostrando una visione lucida, mancano i tocchi del tempo ma che importa? Al loro posto sono i brani , altrettanto iconici, del suo mondo, e i suoni curatissimi, di una determinazione all’unisono con tutto il resto, di Ivo Parlati, che accompagnano Moana. Divisa tra il personaggio e il suo profondo essere la donna analizza la pornografia, la mette sul piano non condiviso nell’immaginario, la distribuisce nelle peggiori carneficine umane, quotidiane, com’è giusto che sia: quella è, quella rimane e sarà. E la lista è infinitamente lunga, un protrarsi accusatorio e centrato, che vai dai politici e il loro agire, le bombe sugli inermi e le immagini tristi che ne derivano, derivanze dalle guerre quelle sì condivise, il sangue, la morte in mare, sui barconi, degli innocenti dunque la discesa negli inferi dell’uomo. Moana, tra poesia e dolcezza, tra reale sentenza e immaginazione decreta su se stessa e sul mondo, oscena è la lingua di chi comanda ,ed è un tutto dire, una mesta realtà condizionatrice, dove chi detiene il potere di qualsiasi tipo sovrasta il resto del mondo. Il testo di Cappuccio affonda, solo a tratti è come fosse spezzettato e non collima, ma sono attimi. L’omaggio a Moana è profondo come lo è lei, ma non si eccede mai, anzi, si porta tutto sul piano della concretezza, dell’aspetto vero delle cose. Aspetto che è verità, anche se vige un disegno contorto di affossarla, questa verità. Il porno stesso, e la sua definizione, il sesso, il corpo e il peccato voluto per far racchiudere in se stessi con vergogna. E’ ancora lo schiacciamento del potere verso le masse, usato volutamente in questo senso, e per giocare con il titolo, un settimo senso. Che invece è il gioco tra i due, narrato e da trovare tra le pieghe dell’essere e non dell’avere. Bene ha fatto Carlo Pupe con i suoi collaborato a portare a Cologna Veneta questo spettacolo, penultimo degli otto della stagione teatrale locale, perché Euridice Axen è perfetta in una signorile interpretazione che porta lo spettatore dentro a una fantasticheria, dove è il pensiero la forza pregnante, la maturità e non certo il resto, cioè l’apparenza soporifera usata a danni di terzi, di quello che la stragrande maggioranza delle persone nulla può contro chi determina con forza e persuasione, molto anche occulta. Che non risparmia infatti né i sogni di ognuno né la verbalità, indirizzata anch’esso a uso e consumo utile e a piacere di chi detiene. Le chiamate all’attrice sono state tante e affettuose come gli applausi. Francesco Bettin